Neurologia delle emozioni |
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Molti di questi valori non ho conosciuto. Erri De Luca
PASSIONE ED ISTINTO
È difficile dare una definizione netta di passione ed istinto, ma la spiegazione più semplice è quella che deve tener conto dei complessi fenomeni biologici che giustificano l’insorgenza di determinati stati emotivi.
In psicologia per passione s’intende una tendenza in forte tensione, capace di perdurare e dominare attraverso emozioni, immagini, idee e tutte le altre forze dello spirito. Nella passione soprattutto durante la sua fase acuta o dispotica, domina una logica di sentimenti che si distingue da quella razionale. Sappiamo bene che non è tutto così roboticamente spiegabile, e che le emozioni implicano processi cognitivi non trascurabili: emozione e agire cosciente sono cioè indissolubilmente legati nel nostro cervello. Eppure, fino a mezzo secolo fa la scienza biologica considerava istinto e passione anatomicamente separabili in ammassi di cellule nervose della materia cerebrale.
Tale serie di modificazioni è scatenata da reazioni neuroendocrine controllate dal sistema nervoso simpatico (il principale regolatore delle funzioni viscerali) e accompagna l’esperienza emozionale, fatta anche di elementi cognitivi e di segnali di comunicazione fra individui della stessa specie volti a trasmettere istinti e passioni. I metodi di studio dell’espressione delle emozioni nell’Homo sapiens hanno risentito di studi sul comportamento animale. L’espressione di emozioni quali paura, gioia e collera può venire accuratamente valutata mediante la caratterizzazione dei gruppi muscolari implicati nelle mimiche facciali tramite il sistema di codificazione delle azioni facciali oppure quello che discrimina i movimenti del viso. Lo studio dei moti dell’anima, e delle loro manifestazioni visibili sul volto umano, ha dato vita a una lunga tradizione di “Trattati delle Passioni”. È soprattutto con Cartesio, e con il suo Trattato delle passioni dell’animo del 1649, che la classificazione sembra assumere una struttura completa e definitiva. Nella teoria cartesiana, sei diverse passioni fondamentali giocano nell’animo e sul viso dell’uomo: l’ammirazione, l’amore, l’odio, il desiderio, la gioia e la tristezza.
Fin dai tempi antichi filosofi e studiosi sono stati affascinati dai misteri che circondano l’espressione di emozioni e sentimenti nell’uomo. L’antica arte medica cinese riconduceva emozioni e passioni ai vari organi del corpo, ed in particolare a cuore, polmoni e fegato. Ciò probabilmente era legato agli effetti somatici che accompagnano queste esperienze emotive, e che traspaiono anche da espressioni tuttora di uso comune, basti pensare a frasi quali ‘spezzare il cuore a qualcuno’, ‘avere uno stravaso di bile’ o ancora ‘avere il cuore in gola’ che vengono usate frequentemente per connotare diversi stati emotivi. Ipotizzato già dagli antichi greci, il ruolo del cervello nelle funzioni cognitive ed emotive nel corso dei secoli è stato oggetto di studi sempre più sofisticati che hanno tentato di attribuire singole funzioni o comportamenti a ben precise localizzazioni cerebrali, come ricordano le numerose e dettagliate mappe frenologiche realizzate tra l’ottocento ed il novecento. Nella seconda metà del secolo appena conclusosi, lo sviluppo di nuove metodologie per lo studio in vivo dei processi biochimici cerebrali, unitamente alla messa a punto di sempre più sofisticate tecniche di visualizzazione cerebrale, ha consentito di progettare l’esplorazione dei correlati neurobiologici di alcune funzioni cerebrali in maniera non invasiva anche nell’uomo. Nella ricerca neuropsicologica e clinica, questo approccio sperimentale costituisce un’innovazione notevole, in quanto ha aperto alla ricerca la possibilità di determinare il ruolo delle strutture cerebrali nelle diverse attività cognitive e comportamentali direttamente in vivo nell’individuo sano ed in presenza di processi patologici, superando il limite dell’osservazione clinica, cui si devono le magistrali descrizioni delle alterazioni neuropsicologiche e comportamentali che fanno seguito a lesioni traumatiche o neurodegenerative del cervello.
Mo
Osserviamo come l’esperienza emotiva nel suo complesso sia costituita da tre stati distinti: uno stato di attivazione fisiologica (vegetativa, ormonale), una componente comportamentale (attivazione muscolare) e una componente cognitiva.
*[Rizzolatti G., Fadiga L., Fogassi L., Gallese V. (2001) Visuomotor neurons: ambiguity of the discharge or ‘motor’ perception?, in "International Journal of Psychophysiology", 2000, n.35, 165-77.]
Medicina Tradizionale Cinese e Naturopatia
La teoria dei meridiani ritiene che lo squilibrio energetico in un meridiano possa dipendere non solo dal meridiano stesso, m anche dall'organo con cui è in corrispondenza. La disfunzione di un organo, d'altra parte, può dipendere da una disarmonia del meridiano in un punto lontano dall'organo stesso. La scienza occidentale definisce con precisione le caratteristiche somatiche di un organo, vale a dire il suo aspetto; la medicina tradizionale cinese invece tende a considerarne la funzionalità. Il polmone per un medico occidentale è definito prima di tutto dalla sua struttura fisica; per un medico orientale dalle sue funzioni. Questo spiega perché nel Sistema dei Meridiani sono presenti organi non considerati dalla scienza occidentale, quale, per esempio, il triplice riscaldatore e il mastro del cuore, mentre mancano riferimenti a organi quali il pancreas o le ghiandole surrenali.
Gli organi del primo gruppo sono definiti yin e sono situati nella parte più interna del corpo. Gli organi del secondo gruppo sono al contrario definiti yang e sono posti in superficie. A ogni organo yin ne corrisponde uno yang: al cuore corrisponde l'intestino tenue; ai polmoni l'intestino crasso; alla milza lo stomaco; al fegato la vescicola biliare; ai reni la vescica; al pericardio il triplice riscaldatore. Nei meridiani yin scorre l'energia che sale dalla Terra in movimento di espansione; yang è l'energia che scende e si radica nella Terra: movimento di contrazione.
Nella mappa di Masunaga ogni coppia dei meridiani è espressa in uno stesso colore: polmone e colon (intestino crasso) viola; milza e stomaco marrone; cuore e intestino tenue rosso; rene e vescica nero; costrittore del cuore (pericardio) e triplice focolare o riscaldatore verde; fegato e vescicola biliare (cistifellea) blu.
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La teoria dei cinque elementi nasce dalla teoria dello Yin e dello Yang, due forze complementari e contrapposte che generano movimento e vita ai diversi fenomeni della natura (lo Yin lo si puó paragonare alla figura femminile mentre lo Yang a quella maschile). Attraverso la teoria dei cinque elementi possiamo rafforzare la nostra consapevolezza nell'osservazione dei fenomeni naturali e nella pratica di armonizzazione con essi: Legno, Fuoco, Terra, Metallo, Acqua sono in relazione con i nostri organi interni, con i tessuti e gli organi di senso del nostro corpo, con le sue secrezioni, ma anche con i colori, i sapori, i suoni, le emozioni, le stagioni, i climi, i punti cardinali ecc.
Principali caratteristiche associate a Yin e Yang
Tabella delle relazioni tra 5 elementi, organi, visceri, ecc. secondo la M.T.C.
I dodici meridiani principali
MERIDIANI DEL POLMONE E DELL'INTESTINO CRASSO - Sono associati con la funzione di scambio e di eliminazione. I polmoni assorbono l'essenza sottile dell'aria, mentre l'intestino crasso elabora materia più grezza. Entrambi risiedono in prossimità della superficie del corpo e svolgono il ruolo vitale di scambio di energia con il mondo esterno. I polmoni assorbono dall'ambiente esterno i componenti del Ki vitale, essenziali per la sopravvivenza, raffinandoli e distribuendoli per attivare le risposte di adattamento del corpo. L'intestino crasso assiste i polmoni e svolge la funzione di elaborazione ed eliminazione delle sostanze alimentari assorbite dal corpo. Questo processo ha il compito di rimuovere ostruzioni al Ki.
MERIDIANI DI MILZA E STOMACO - Sono associati con le funzioni di ingestione e digestione, che comprendono l'assunzione di cibo per la nutrizione e i processi di digestione e assimilazione. Secondo alcuni studiosi di
Piccola e grande circolazione celeste Il Vaso del Governo, il Vaso della Concezione e il Meridiano della Cintura sono l'origine di tutti gli altri vasi, sono responsabili del controllo e della regolazione dell'energia che circola nel sistema dei meridiani e agiscono compensando gli eccessi e le carenze dell'equilibrio del corpo. Il flusso dell'energia è continuo e quello che varia è la qualità e la quantità dell'energia. Le carenze o gli eccessi determinano lo stato di salute.
Stati emozionali associati
Il brano seguente, tratto dal primo paragrafo del capitolo 11 del libro Medicina cinese: le radici e i fiori di Giulia Boschi (CEA ED:), concerne il rapporto psiche-soma nella patogenesi M.T.C.
[...] Secondo il Neijing Suwen la causa ultima di qualsiasi malattia è da ricondursi a un ‘deterioramento spirituale’. L’armonia dell’ambiente psicofisico interno dipende infatti dallo Shen; se lo Shen è danneggiato, le emozioni sregolate diventeranno fattori patogeni, inoltre, poiché gli eccessi emotivi pregiudicano l’equilibrio dei flussi di Qi (da cui dipende la funzionalità degli organi), l’individuo risulterà più vulnerabile agli attacchi dei fattori patogeni esterni: [Gli antichi] non lasciavano che la concupiscenza o l’invidia logorassero il loro interiore, né permettevano che l’ambizione incontrollata esaurisse il loro esteriore [corpo fisico]. Essi vivevano in un mondo pacifico e quieto e non potevano essere attaccati dai malanni. Per questa ragione non avevano bisogno di medicine per curare il loro interno, né di aghi di pietra per curare il loro esterno; semplicemente incrementavano la loro Essenza e pregavano. Oggi gli uomini non vivono nello stesso mondo; l’ansia e la tristezza logorano il loro interno, il lavoro eccessivo esaurisce il loro esterno e inoltre essi non rispettano le quattro stagioni. [1]
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In ambito patologico, le relazioni tra un determinato tipo di emozione e un organo interno servono per inquadrare diagnosticamente i rapporti psicosomatici (un eccesso di una determinata emozione danneggia in maniera preferenziale la funzionalità dell’organo-orbita correlato) o somato-psichici (se la funzionalità di un determinato organo è pregiudicata, ciò tende a manifestarsi con lo squilibrio emotivo corrispondente)[2].
Si può agire con mezzi psicologici sulla psiche (es. produrre rabbia per ovviare a un rimuginare eccessivo), attraverso mezzi fisici sulla ‘forma’ (es. assumere sostanze piccanti per indurre diaforesi), oppure si può agire sulla psiche per risolvere problemi fisici e viceversa [3]. In ogni caso l’azione terapeutica influisce inevitabilmente su entrambi gli aspetti; la valutazione diagnostica che distingue tra patogenesi psico-somatica e patogenesi somato-psichica serve a discernere le ‘radici’ (dove intervenire con un trattamento di fondo) dalle ‘foglie’ (dove intervenire con un trattamento sintomatico) senza perdere di vista ‘l’albero’.
Note
(Traduzione Orazio Maria Valastro) Sabine Parmentelot
Dottoranda in Scienze dell'Educazione, Università di Pau e dei paesi dell'Adour.
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I vocaboli sono a priori perfettamente comprensibili, ma quando si tratta di definirli, alcune precisazioni sono necessarie. Il ricorso all'etimologia si rende imprescindibile, prima di qualsiasi altro approfondimento. Emozione deriva dal latino "emovere"; mettere in movimento, provocare, far nascere [1]. Vi è pertanto il principio di una manifestazione, la reazione non è senza conseguenze, ed essa si esprime in modi diversi, spesso molto visibili dall'esterno, mostrandosi alle volte fino all'impercettibile, anche interiormente. Le emozioni hanno dato luogo a numerose definizioni. Senza dilungarsi sulle differenti correnti che hanno permesso di precisare le caratteristiche di un'emozione, noi possiamo riprendere il "processo complesso" in cui Paul Fraisse distingue: Somatizzazione ha per origine "soma" dal greco, il corpo. La somatizzazione implica un'affezione, dunque un'alterazione della salute più o meno grave, la cui origine è psichica. Ciò che è percepito con la "psukhê", o anima in greco, considerato in quanto principio, origine della vita, si riflette sul corpo. Noi dobbiamo ugualmente definire il termine affezione, dal latino "adfectio". Facendo riferimento al Gaffiot [1], "l'affezione (fenomeno affettivo) è una modificazione dello stato morale o fisico subito, derivando da una causa o da un'altra". Riguardo alla somatizzazione, l'affezione è passata "da una modificazione dello stato morale" ad una trasformazione fisica. L'etimologia mostra l'intima relazione tra lo spirito e il corpo, ciò che noi ritroviamo a livello delle emozioni. Bisogna precisare infine che secondo le epoche, le emozioni si sono definite affezioni o passioni, quest'ultimo termine è adesso riservato alle emozioni molto forti. Una volta espressi questi primi ragionamenti, tenteremo di tessere qualche rapporto tra gli avvenimenti che ci mettono in movimento (che ci muovono e che ci commuovono) e le eventuali ripercussioni rispetto al corpo. Numerosi sono stati gli autori, filosofi o psicologi in maggioranza, che si sono interessati alle emozioni. Non si tratta di citarli tutti, l'impresa potrebbe non essere esaustiva, ma grazie ad alcuni loro studi, tenteremo di focalizzare cosa sono le emozioni cominciando dalle loro ripercussioni sul corpo. Consacreremo la prima parte di quest'articolo alle manifestazioni corporee dell'emozione. La psicologia sperimentale, insieme alla neuro-biologia, hanno evidenziato le differenti risposte corporee più o meno percettibili. Ma al di là di queste manifestazioni puramente oggettive le cui percentuali e oscillazioni possono essere valutate, misurate ... E' l'aspetto soggettivo e le loro ripercussioni che c'interessa. Quali significati possono avere le emozioni per la persona che le prova? Questi temi saranno l'oggetto della seconda parte. Ci situiamo in quanto ricercatori che interrogano altri soggetti, ma è evidente che non possiamo fare astrazione delle nostre passioni. I Manifestazioni fisiologiche Il comportamento di alcune persone che avevano subito vari traumi al cervello, ha intrigato nel passato i ricercatori. Ma prima di disporre delle attuali tecniche, tra cui le tecniche di imagineria medica, bisognava spesso attendere il decesso di un individuo per tentare di comprendere le cause fisiologiche delle sue reazioni. Queste condizioni hanno reso lo studio di alcuni casi molto lento, e non hanno favorito lo sviluppo della ricerca. Gli scienziati, al contrario, hanno realizzato diverse esperienze sugli animali, con apprendimenti-ricompense (labirinto, dolci quando il percorso era esatto), poi "punizioni" (con situazioni dolorose a causa di scariche elettriche), gatti posti alla presenza di cani … per tentare di comprendere come l'animale reagiva in caso di sovramotivazioni positive e negative. Hanno ugualmente misurato le reazioni delle persone, durante e dopo la proiezione di film più o meno violenti, li hanno sollecitati attraverso delle esperienze impossibili da realizzare, per osservare i loro comportamenti di fronte a questi fallimenti ripetuti … Le situazioni erano molteplici come anche i criteri di valutazione. Queste hanno permesso di mettere in evidenza numerose reazioni fisiologiche, rispetto a differenti sollecitazioni, ma obliteravano totalmente la stessa persona. Se gli insegnamenti rispetto alle reazioni corporee sono stati numerosi, il vissuto, la cultura, l'educazione di ognuno non erano prese in considerazione. a) Le reazioni neurovegetative Le manifestazioni emozionali possono essere molto diverse. Seguiremo la classificazione adottata da Fraisse prima di evocare le emozioni propriamente dette. Paul Fraisse cita inizialmente le manifestazioni neurovegetative. Si distingue abitualmente il sistema nervoso che obbedisce alla nostra volontà (i nervi motori che dirigono i nostri muscoli, per esempio) e il sistema neurovegetativo, che dirige le nostre viscere, indipendentemente dalla nostra volontà. E' da questo sistema che dipende il colore del viso, la traspirazione, i muscoli viscerali, le mimiche facciali involontarie, i diversi dolori che proviamo ... "La lista delle manifestazioni neurovegetative che possiamo distinguere è lunga per l'una o l'altra emozione: conduttanza della pelle [2], velocità cardiaca, livello della tensione sanguigna, vaso costrizioni e vaso dilatazioni, velocità, oscillazioni e regolarità della respirazione, temperatura della pelle, sudorazione, diametro pupillare, secrezione salivare, funzionamento peptico, contrazione o rilassamento degli sfinteri, attività elettrica cerebrale, analisi chimica e ormonale del sangue, delle urine e della saliva, metabolismo basico sono più o meno modificati." (Fraisse e Piaget, 1975, pagina 137-138) Queste manifestazioni sono incontestabili e si rimarcano nella maggior parte delle emozioni in tutti i soggetti. Ma, se è provato, che una persona reagisce spesso secondo un medesimo processo, è ugualmente certo che due individui che provano un'emozione simile, non reagiranno fisiologicamente nello stesso modo. Non vi è quindi relazione tra la forza delle manifestazioni e l'intensità di un'emozione. La questione del significato delle emozioni è stata quindi posta da molto tempo. b) Le espressioni del viso e le attitudini corporee Se è evidente che le emozioni si manifestano sul viso, in modo particolare a livello degli occhi e della bocca, gli studi su questo tema mettono in evidenza che queste sono molto difficili da interpretare. Quando presentiamo delle foto di persone che mostrano sorpresa, paura, collera ... a dei soggetti affinché li commentino, le risposte sono molto diverse. Il lessico che ci permette di nominare le emozioni, è molto vasto, e riconoscere le emozioni manifestate da una persona presenta delle grandi difficoltà, se queste non si associano ad un'espressione verbale. "Le espressioni del viso essendo sempre un poco ambigue, è normale che tutto quello che fornisce degli indizi supplementari faciliti l'identificazione delle emozioni." (Fraisse e Piaget, 1975, pagina 157). Bisogna prendere ugualmente in considerazione i movimenti delle mani e la postura del corpo. In caso di paura, di sorpresa, le mani fungono spesso da protezione. In quanto al corpo, gli si accorda spesso poca attenzione, ma è il riflesso del modo di essere di una persona. La conservazione corporea globale, il modo di tenersi più o meno dritto o curvato, segno di scoraggiamento, più o meno flessibile o rigido, riflesso della tensione, fino al movimento delle gambe e dei piedi che sono anch'essi molto significativi. Una persona può, in effetti, fare attenzione e controllare la propria mimica facciale, ma il controllo interesserà raramente l'insieme delle parti del corpo, tanto queste ultime sono spesso nascoste. Questi diversi elementi permettono di comprendere perché delle immagini statiche sono difficilmente interpretabili: "la discriminazione delle reazioni espressive è molto superiore quando queste sono presentate in modo dinamico" (Fraisse e Piaget, 1975, pagina 158). In un film, anche breve, le espressioni corporee sono molto più facili da interpretare che su di una foto. II Significato delle emozioni Le divergenze tra gli psicologi sono numerose. Queste riposano soprattutto sul fatto che la definizione dell'emozione resta vaga. Tutti gli autori concordano sulle sue manifestazioni, come anche sul fatto che nessuna manifestazione, né alcuna combinazione delle sue manifestazioni caratterizzano l'una o l'altra delle emozioni. Il cuore accelera a causa di una gioia intensa, come per la paura o la collera. "Le stesse reazioni viscerali diffuse e banali si producono in tutte le emozioni, e inoltre, queste reazioni appaiono in stati organici che non s'integrano in reazioni emotive" (Fraisse e Piaget, 1975, pagina 101). Certe malattie provocano delle modificazioni fisiologiche, identiche a quelle causate dalle emozioni, come un'accelerazione del ritmo cardiaco, una traspirazione eccessiva, dei disturbi digestivi ... Fraisse aggiunge: "considerando unicamente degli indizi di attivazione, noi non troveremo mai l'emozione propriamente detta la quale non si definisce che in relazione ad una situazione" (Fraisse e Piaget, 1975, pagina 138). Gli autori, invece, non concordano sul significato o il valore delle emozioni. L'emozione è estremamente difficile da definire. Un certo consenso esiste ciononostante su alcune caratteristiche: l'emozione è improvvisa, forte, non è di lunga durata rispetto al sentimento che è più debole e più durevole [3]. Questa è legata pur tuttavia al sentimento. Alla base delle emozioni, secondo Fraisse, si trovano i sentimenti. E' sui sentimenti provati che s'innestano le emozioni, vale a dire le manifestazioni emozionali. L'etimologia, anche in questo caso, ci chiarisce e conferma, se ce ne sarebbe ancora bisogno, la doppia appartenenza al corpo e all'intelligenza dell'esperienza personale. Il termine sentimento deriva, come il verbo sentire, dal latino "sentio", "percepire attraverso i sensi", ma ugualmente "percepire attraverso l'intelligenza" [1]. Il nostro sistema nervoso sensitivo funziona in base a questi due registri. Noi possiamo scrivere, per semplificare, che gli organi di senso dispongono tutti di recettori sensoriali che comunicano le loro impressioni al cervello. Quest'ultimo decodifica e ci rende coscienti dello stimolo avvertito. Sarebbe difficile trovare una relazione ancora più solida tra il corpo e lo spirito. Ma questa comprensione del corpo attraverso lo spirito non è immediata. L'individuo può provare molteplici sensazioni, gli accade spesso di non focalizzare la causa che determina l'emozione in una pluralità di fattori. A seconda delle teorie, delle epoche, le interpretazioni di semplici avvenimenti della vita quotidiana sono molto diverse. Possiamo attribuire molti significati alle emozioni. Ci siamo riferiti, più concretamente, alla presenza o all'assenza di previsioni per distinguere molti tipi di emozioni. a) Le emozioni imprevedibili Ci sembra necessario distinguere una certa progressione nelle emozioni. Situiamo al vertice la "vera" emozione, forte, improvvisa, imprevedibile, per la quale la consapevolezza può prodursi solo successivamente. L'individuo, in questo caso, può solo sorprendersi e non può mai anticipare e prepararsi. Al contrario, posteriormente, spesso riflettendo a quanto è accaduto e più frequentemente ancora parlando ad altri di ciò che ha vissuto, quando cerca di formalizzare e verbalizzare, egli prende realmente coscienza di ciò che ha provato. La personalità del soggetto, a seconda dell'evento, può reagire più o meno bene. Possiamo parlare di adattamento, in quest'ultimo caso, più o meno soddisfacente. Questa nozione di adattamento è al centro della maggior parte dei dibattiti. Fraisse chiarisce che per Darwin "l'emozione è un processo di adattamento grazie al coinvolgimento energetico che produce rispetto alle esigenze dell'ambiente" (Fraisse e Piaget, 1975, pagina 112). Darwin, in effetti, considerava l'emozione come un adattamento all'evento subito dall'individuo, conseguenza di una lunga evoluzione o presenza di abitudini ancestrali. La collera sarebbe, per esempio, l'elemento distintivo dell'aggressività necessaria alla difesa. L'organismo reagisce alla situazione generando la paura attraverso un'accelerazione della circolazione sanguigna, permettendo di irrorare in modo migliore i vasi sanguigni, approvvigionare dunque più adeguatamente i muscoli in ossigeno e in glucosio, alimenti specifici per la fatica. La reazione sembra del tutto adeguata alla situazione iniziale, l'adattamento è esemplare. Ma questa spiegazione sembra adesso semplicistica, le risposte ormonali di un soggetto prendono più di una decina di secondi, queste non possono spiegare l'immediatezza delle emozioni. Altre reazioni fisiologiche sarebbero all'origine della risposta dell'organismo. b) Le emozioni ricorrenti Si ripresentano regolarmente nelle stesse condizioni. Sono le emozioni così come li definisce Fraisse. Decifrano un sentimento, delle manifestazioni neurovegetative, delle espressioni facciali e corporee, ma non sono imprevedibili, al contrario. Sono delle emozioni, per esempio delle paure, provate in circostanze identiche. Se la persona può agire, controllando la propria respirazione, sforzandosi di camminare con calma per non lasciarsi soggiogare, le sue emozioni saranno più tollerabili, e potranno alle volte anche attenuarsi. Fraisse afferma invece chiaramente: "se si ripete uno stimolo che produce abitualmente delle reazioni emotive e se la situazione è tale che non vi sia adattamento tale da sopprimere la fonte dell'emozione, vediamo svilupparsi degli stati ansiosi, nevrotici" (Fraisse e Piaget, 1975, pagina 131). L'allievo che ha una sana fiducia in se stesso - conosce le proprie capacità, si è allenato mentalmente a rispondere alle domande ... - può provare un leggero stress nell'affrontare una prova, ma non si demoralizza. Le manifestazioni di stress, le mani sudate, malori vari, non lo perturbano enormemente né lo mettono in difficoltà di fronte alla prova. E' una situazione che ha già incontrato, e sa che questa si ripeterà. Ma il candidato, in altri casi, può avere una crisi di panico. Afferma in quel caso di avere dei vuoti di memoria, non arriva più a ritrovare le proprie conoscenze. E' ciò che Fraisse interpreta come un livello di motivazione molto importante per le sue attuali facoltà. In una prospettiva meno positivista, l'allievo non ha più fiducia nelle sue capacità, in quanto ha vissuto antecedentemente numerosi fallimenti, si è tirato indietro. Ha ridotto dunque le sue aspettative, la sua motivazione è minore, non vi è più nulla di rilevante, non ha investito nella situazione proposta. c) Le emozioni "ricordo" Sono frequenti quando si evocano degli eventi tristi. Il ricordo di un amico adesso scomparso ci fa ancora piangere. E' l'interpretazione intellettualistica. Per i suoi adepti, in effetti, l'emozione risulta da un'opposizione tra le aspirazioni di una persona, i rimpianti del passato e la realtà (Fraisse e Piaget, 1975, pagina 98). Il ricordo di eventi causanti delle rappresentazioni che entrano in conflitto non ci autorizza a qualificare questo ricordo come inatteso. Negli esempi citati da Fraisse, ci si riferisce ai ricordi dell'individuo che non sono conformi con ciò che sperava di vivere. Queste emozioni sono totalmente prevedibili. La persona, per farvi fronte, può tentare di allontanare dal suo spirito ciò che lo fa soffrire. Persisterà quasi certamente un sentimento di tristezza che si mostrerà nella cura del corpo, la voce, ma può evitare le manifestazioni fisiologiche come le lacrime. Può inoltre consacrarsi a delle attività che offriranno un rimedio rispetto a ciò che l'opprime. Possiamo dire che le manifestazioni provate sono segni di adattamento o di difficoltà? Piangere, per alcuni, consola. La persona, dopo un certo tempo, non prova più il bisogno di piangere, come se avesse esteriorizzato ciò che vi era di più doloroso. Resta il ricordo, comunque più tollerabile. d) L'emozione, indice di adattamento o di "disadattamento" Nei vari tipi di emozioni che noi abbiamo enumerato, può esservi adattamento o disadattamento. E' una distinzione che ritroviamo spesso nei testi. Pradines definiva l'emozione come una deregolamentazione rispetto ai sentimenti, i quali sono propri della regolamentazione (Pradines, 1943). Fraisse non oppone i sentimenti alle emozioni, ma precisa: "come la maggior parte degli altri psicologi … Abbiamo supposto che l'emozione corrisponderebbe a questo calo di livello dell'adattamento che si manifesta quanto la motivazione è troppo intensa rispetto alle possibilità attuali del soggetto" (Fraisse e Piaget, 1975, pagina 112). Accade che l'intensità dell'evento sia tale che l'organismo non reagisca più in modo adeguato. Tanto che l'emozione è assimilata ad una reazione di adattamento dell'organismo rispetto ad un evento esterno, ed è considerata positiva. Invece, quando questa mette l'organismo in difficoltà per reagire, è considerata negativa. Parlare dell'emozione in questi termini ci sembra riduttivo. Sartre ha tutto un altro linguaggio (Sartre, 1995). Riprendendo un esempio citato da Janet, cita l'attitudine adottata da una paziente durante una consultazione. Le questioni poste da Janet sono troppo difficili per lei. La giovane donna sceglie di piangere per sfuggire allo scambio. Sartre non scrive in alcun momento che il comportamento sia adottato consapevolmente, come incontestabili argomentazioni il cui fine è quello di intenerire e che non mettono in evidenza reali emozioni. Ma sembra che si tratti di un perfetto adattamento del corpo ad una prova che ci è inspiegabile. Questa attitudine sembra negativa rispetto ad un codice di "buona condotta" che ci impone un certo ritegno quando siamo in pubblico. Ma è del tutto appropriata per proteggere una persona che si senta minacciata. Questa costituisce, per alcuni, una condotta inadeguata, rispetto ad un comportamento che sarebbe valutato come appropriato. Ma notiamo prima di tutto che permette all'individuo di proteggersi quando non arriva a far fronte alla situazione. Ciò che noi interpretiamo come un eccesso, un'affezione, non può essere considerato come una reazione di difesa, d'omeostasi dell'organismo? Utilizza allora tutte le proprie risorse per sottrarci al pericolo, per ristabilire un certo equilibrio. Possiamo anche parlare di fuga, di rinuncia della persona di fronte all'importanza del compito richiesto. Ma il termine di fuga in questo esempio mette in evidenza l'intenzionalità, ma non è sempre così. III Emozioni e retro-azioni Abbiamo fino ad ora considerato le emozioni da un punto di vista lineare. Alcuni eventi provocano dei sentimenti e delle manifestazioni fisiologiche. E' esatto, ma insufficiente. Sappiamo adesso che il corpo umano e in particolare il cervello, sono l'oggetto di numerose retroazioni. E' il campo della neurobiologia, molto complessa. Fraisse afferma ugualmente, riguardo alle emozioni, che il soggetto può agire sulle proprie reazioni neurovegetative. Quando prende coscienza dell'accelerazione del battito cardiaco, può sforzarsi di respirare con calma. E' ciò che preconizzava William James quando raccomandava di contare fino a dieci a qualcuno che sentiva la collera manifestarsi in se stesso. James pensava di agire direttamente sull'emozione (James, 1909). Le nostre reazioni, secondo lui, precedono i nostri sentimenti: se noi modifichiamo le reazioni, le emozioni muteranno inevitabilmente. E' stato molto criticato in seguito. Se la spiegazione che ne dava è contestabile, il processo è invece molto interessante. Consapevoli di una paura che avrebbe tendenza a farci fuggire, possiamo sforzarci di restare sereni, adottare l'attitudine più tranquilla possibile, al fine di non lasciarci sommergere dall'emozione e conservare la nostra calma. Invasi da un certo scoraggiamento possiamo sforzarci, al contrario, di restare energici e attivare i nostri movimenti, le nostre decisioni. Facciamo quindi intervenire la corteccia cerebrale, la volontà, al fine di non essere più subordinati al sistema neurovegetativo. Ma come abbiamo spiegato in precedenza, questo suppone di essere consapevoli delle nostre emozioni. Una persona, in alcuni casi, sa che ha la tendenza a perdere il proprio controllo. Considera allora di metter in atto dei metodi, sperimentati o intuitivi, per non cedere al panico. Se l'emozione, al contrario, è realmente improvvisa, imprevedibile, queste anticipazioni non sembrano possibili. Conclusione Le manifestazioni fisiologiche, espressioni facciali e corporee, sono segni delle nostre inquietudini, è incontestabile. Appaiono piuttosto imbarazzanti. Tentiamo molto spesso di nasconderle. Provocano vari disagi, spesso sono anche dolorose. E' comprensibile il non apprezzare le differenti sofferenze che rivelano i nostri sentimenti. Ma queste manifestazioni non costituiscono in alcun modo la griglia d'interpretazione del nostro sentire. Quale legame unisce invece ciò che noi proviamo interiormente e ciò che è percepito dall'esterno? Le emozioni ci permettono di adattarci o sono la prova di una "condotta inadeguata", di un'assenza di adattamento? E' necessario adattarsi ad ogni cosa? Non adattarsi all'intollerabile, alla sofferenza, sembra del tutto sano e normale. Abbiamo tendenza a desiderare unicamente le "buone" emozioni. Quelle che ci fanno piacere, che non ci mettono in difficoltà. E' spesso il contrario che avviene. Siamo sospinti, destabilizzati, dalle incognite della vita. Ci sembra importante insistere sugli aspetti positivi dell'emozione. Si tratta di un'attivazione, riferendoci ulteriormente agli studi di Fraisse. E' innanzi tutto un'attivazione, una motivazione ad agire o reagire. Alcuni vissuti non sono ugualmente stimolanti? Non c'è alcun dubbio. Boris Cyrulnik lo conferma chiaramente quando scrive: "Possiamo stabilire una sorta di scala dei traumi, […] in modo generale […]. Ma la scala non afferma che lo stress peggiore, è l'assenza di stress, in quanto l'assenza di vita prima della morte provoca un sentimento intenso di vuoto prima del nulla" (Cyrulnik, 2002, pagina 35-36). Bisogna confessare, infine, che il funzionamento del corpo, come quello dello spirito sia di una tale complessità, utilizza innumerevoli impulsi nervosi, retroazioni, che nessuna cosa può spiegarsi semplicemente, e che bisogna assolutamente rinunciare. Noi non comprendiamo tutto, non controlliamo tutto, anche se ogni passo nella conoscenza è un progresso. Ammettere che l'emozione sia proprio la manifestazione della vita, non è il passo più importante? Provare un'emozione, significa essere dotati di sensibilità, essere vivi.
1] Dizionario Gaffiot.
Cyrulnik Boris (1999), Un merveilleux malheur, Paris, Odile Jacob, 2002, p. 218.
Emozione, dissociazione e coscienza
PREMESSA Per la maggior parte del Novecento nei laboratori non si diede credito all’emozione. Si diceva che essa fosse troppo soggettiva, troppo fuggevole e vaga. Essa veniva considerata quale antagonista della ragione. Con Edelman nasce il pensiero evoluzionistico, il primo a tener conto della regolazione omeostatica e della base neurale della mente. Egli propone un’"epistemologia a fondamento biologico" ed ipotizza che la coscienza non sia un oggetto ma un processo: in questa prospettiva è adeguata come oggetto indagabile come scienza ("Un universo di coscienza", Edelman). Negli ultimi anni, le neuroscienze e le neuroscienze cognitive hanno finalmente approvato l’emozione; le ricerche di Damasio, per esempio, hanno dimostrato che l’emozione è parte integrante dei processi del ragionamento e della decisione, nel bene e nel male. Oggi sappiamo grazie a questo autore che le emozioni sono complicate collezioni di risposte chimiche e neurali, che formano una configurazione. Tutte le emozioni hanno un qualche ruolo regolatore da svolgere: assistere l’organismo nella conservazione della vita. L’apprendimento e la cultura alterano l’espressione delle emozioni, conferendogli nuovi significati, ma esse restano processi determinati biologicamente, dipendenti da dispositivi cerebrali predisposti in modo innato, stabiliti attraverso una lunga storia evolutiva. A partire dal livello del tronco encefalico per risalire verso l’alto, questi dispositivi regolano e rappresentano gli stati del corpo; nello stesso tempo influenzano la modalità di funzionamento di numerosi circuiti cerebrali. La collezione di tali cambiamenti costituisce il substrato delle configurazioni neurali che alla fine diventano sentimenti delle emozioni. Damasio ci dice ancora che le emozioni di fondo sopravvivono impavide alla malattia neurologica. Un punto assai interessante è che di solito le emozioni di fondo sono compromesse quando è compromesso il livello fondamentale della coscienza, la coscienza nucleare. Un esempio: gli automatismi epilettici. Durante la crisi di assenza non vi è il senso di sé – gli eventi accaduti durante la crisi non sono stati registrati nella memoria o comunque non sono recuperabili, in altre parole il paziente manifesta alcuni aspetti elementari della mente e nella mente ha alcuni contenuti relativi agli oggetti ed al suo ritorno, ma non ha coscienza normale, questo significa che il paziente non ha sviluppato, in parallelo all’immagine degli oggetti circostanti, un’immagine intensificata degli oggetti con i quali interagisce, manca cioè il motore dell’azione volontaria. Durante tutto il tempo della crisi, per concludere, si assiste alla sospensione dell’emozione. Le emozioni e la coscienza nucleare, insistiamo, tendono ad essere associate: sono entrambe presenti oppure entrambi assenti. Esse richiedono, in parte, gli stessi substrati neurali, per cui una disfunzione in una posizione strategica compromette i processi di entrambi i tipi. Secondo Damasio, la mancanza di emozioni, a partire dalle emozioni di fondo fino ai livelli superiori delle emozioni, indica che sono compromessi importanti meccanismi di regolazione del corpo. Dal punto di vista funzionale la coscienza nucleare è vicina ai meccanismi che subiscono la disgregazione, è intrecciata a tali meccanismi e quindi viene compromessa insieme a loro. Riteniamo questo esempio importante per due ragioni: primo perché nel nostro discorso è importante chiarirci in che rapporto stanno emozioni e coscienza, secondo perché la crisi di assenza e l’automatismo epilettico sono - nella valutazione categoriale - tra le ipotesi da scartare durante una diagnosi differenziale di "disturbo sensoriale somatoforme".
Le dissociazioni somatoformi possono essere in particolare associate a traumi che implicano contatto fisico oppure a forme di trauma senza contatto. La dissociazione somatoforme può essere compresa come un tipo di risposta adattativa al trauma, quando questo è vissuto come minaccia di offesa fisica alla quale non si riesce a dare una spiegazione razionale. Dopo gli studi sull’isteria di Freud, Janet vide nelle "depressioni" o nei bassi livelli di capacità di integrazione dell’individuo, definiti dallo stesso "tensione psicologica", il retroscena dei processi dissociativi. Egli osservò che i processi dissociativi di regola attaccavano l’intero organismo, trovando espressione nei disturbi somatoformi delle sensazioni, dei movimenti, delle parole, della visione e dell’ascolto, così come nei disturbi della coscienza, memoria e identità, ossia nelle dissociazioni psicologiche. Come possiamo rilevare il limite tra ciò che è psicologico e ciò che è somatico? Il termine dissociazione si riferisce ad una mancanza di integrazione dei processi psicologici e somatici che non trovano spiegazione nei referti medici. Al giorno d’oggi la dissociazione somatoforme può essere misurata utilizzando il Somatoform Dissociation Questionnarie, strumento utile sia per fini clinici che di ricerca. Studi recenti, in particolare quelli effettuati da Glenn Waller e colleghi, sostengono l’ipotesi che le dissociazioni somatoformi sono specificatamente associate ai traumi infantili sia fisici, sia verbali, in particolare questi ricercatori hanno dimostrato che la dissociazione somatoforme è associata a traumi fisici, mentre la dissociazione psicologica è associata a traumi senza contatto. Waller e colleghi concludono che la dissociazione somatoforme può essere compresa considerandola quale set di risposte adattative psicofisiologiche al trauma quando c’è una minaccia fisica incomprensibile, sebbene questo adattamento possa diventare patologico. La scoperta di una forte associazione tra somatizzazione e dissociazione non dovrebbe sorprendere, in quanto i due fenomeni sono storicamente legati; essi erano infatti considerati entrambi caratteristiche preminenti dell’isteria. Briquet (1859) metteva in relazione l’isteria con una quantità di esperienze traumatiche tra cui l’abuso sessuale. Anche Freud (1896; Breuer & Freud, (1893) nei suoi primi scritti sull’isteria attribuiva i sintomi fisici a dei traumi sessuali subiti nell’infanzia. In seguito egli abbandonò tuttavia questa teoria,dopo aver deciso che i racconti dei suoi pazienti di episodi di seduzione infantile erano in gran parte un prodotto della fantasia. Ci sembra importante prima di continuare, inserire qui il pensiero di un autore contemporaneo a Freud che insistette molto sull’importanza della nozione di trauma, Ferenczi. Leggendo dal "Diario clinico" -ci dice Martin Cabrè- possiamo comprendere Ferenczi allorchè si domanda: "che cosa succede quando la sofferenza aumenta e supera la capacità di sopportazione del bambino? ".Il bambino è in simili casi fuori di sé; ma se non è in sé, allora dov’è?, si chiede. Là dove si trova -è questa la risposta- non c’è il tempo. […] Ciò che Ferenczi vuole sottolineare con queste considerazioni è che qualcosa che ha a che vedere con la mente, qualcosa di irrappresentabile anche per Freud, è in gioco nella dinamica del trauma. La reazione al dolore appartiene all’ordine del non rappresentabile ed è inaccessibile alla memoria e al ricordo. Da questa prospettiva il trauma si "presenta", non si "rappresenta" e la sua presenza non appartiene ad alcun presente, distrugge anche il presente n cui sembra introdursi. E’ un presente senza presenza, un "presente impazzito", nel quale il soggetto esce dal tempo " cercando di collocare la sua sofferenza" impossibile "in una grande unità". […] Il ricordo , imprigionato nel corpo, lo trasforma in schiavo del suo ruolo di portavoce e martire di una parola che ha perso la voce. Le parole del bambino rimangono ,secondo l’espressione di N. Abraham e M. Torok (1978), "sotterrate vive" e, a causa di ciò, sotto la pressione di altri eventi traumatici, si può produrre una frammentazione della personalità, ossia l’ultima risposta possibile per difendersi dalla sofferenza. La descrizione ferencziana dell’"identificazione con l’aggressore" suggerisce l’immagine di un’invasione dell’Io del bambino. L’aggressore – dice Ferenczi – travalica il linguaggio e lo spazio dell’Io del bambino, dando esclusivamente la parola alla passione (passione e pazzia sembrano così dal suo punto di vista sembrare la stessa cosa…). Sono dovuti passare molti anni affinché l’importanza di queste affermazioni potesse essere ammessa e considerata… Fortunatamente noi oggi stiamo scrivendo questa ricerca e possiamo riportare queste considerazioni a conferma della nostra speculazione su emozione, coscienza e dissociazione.
Ai nostri giorni è più semplice trovare dati e teorie che spieghino e in un certo qual modo vadano a confermare ciò che pensiamo accadere:con le ultime teorizzazioni psicobiologiche possiamo per esempio andare a indagare l’incapacità di elaborare da un punto di vista cognitivo le intense emozioni evocate da un evento traumatico e gli effetti della risposta ad uno stress biologico prolungato. Attraverso una riconsiderazione del lavoro di Pierre Janet, van der Kolk e van der Hart (1989) hanno contribuito a chiarire alcuni meccanismi che potrebbero essere all’origine delle caratteristiche cliniche del PTSD ( Disturbo post-traumatico da stress) Secondo Janet (1889) sono le "emozioni veementi" che accompagnano le esperienze estreme a renderle traumatiche; queste emozioni fanno sì che i ricordi dell’esperienza siano dissociati dalla coscienza, e vengano immagazzinati come sensazioni somatiche ed immagini visive. E’ ora chiaro che le emozioni intense interferiscano con il funzionamento dell’ippocampo e di conseguenza con l’integrazione delle esperienze ad esse associate negli schemi di memoria preesistenti; al contrario, i ricordi di queste esperienze sono organizzati a un livello sensomotorio attivo o iconico, il che potrebbe spiegare l’emergere di sintomi somatici, incubi, flashbacks o episodi di riattualizzazione comportamentale nei soggetti affetti da PTSD. E’ inoltre sempre più chiaro che i ricordi somatosensoriali delle esperienze traumatiche possono essere richiamati dall’attivazione del sistema nervoso autonomo: il sistema noradrenergico viene attivato più facilmente, in particolare da circostanze che assomigliano a quelle dell’evento traumatico originale; ciò provoca una secrezione di noradrenalina e un aumento anormale della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca. E’ stato inoltre ipotizzato che queste risposte neurobiologiche acute a un evento traumatico possano provocare modificazioni permanenti della trasmissione sinaptica nei siti cerebrali del tronco e in quelli limbici e corticali; queste modificazioni hanno un effetto negativo sull’apprendimento, l’estinzione e la discriminazione dello stimolo. Ci chiediamo ora: allora non sarà per questo che in certe situazioni la nostra coscienza preferisce staccare la spina piuttosto che ritrovarsi con tutto il sistema in cortocircuito? E ancora, se una donna dovesse rivivere una scena di violenza totalmente gratuita tutte le volte che chiude gli occhi e/o quando si appresta ad avere un rapporto sessuale consenziente, e andasse tutto fuori squadro… potrebbe avere speranze di ritrovare una dimensione vivibile per la sua vita? - tutto questo chiaramente senza minimamente pensare che dissociandosi succeda un miracolo, anzi. Ma i problemi crediamo siano di natura diversa, o per lo meno, crediamo che non vadano a intaccare l’apparato neurobiologico che ha per riferimento l’ippocampo -.(vedi Appendice). Anche se l’associazione tra somatizzazione e dissociazione è stata sepolta all’interno del DSM-III con l’evoluzione dell’isteria nella categoria diagnostica dei disturbi somatoformi, la separazione dell’isteria dai disturbi dissociativi ci aiuta a chiarire la distinzione tra somatizzazione e conversione.
La "di-associazione"degli aspetti cognitivi dagli aspetti somatici viene descritta co precisione nella terza edizione del DSM. Le precedenti versioni del DSM hanno mantenuto i sintomi "isterici" sotto la stessa etichettatura (nevrosi isterica, conversione o tipologia dissociativa nella seconda edizione del DSM) ed hanno anche mantenuto un modello teorico psicodinamico rispetto a quello più neutrale della nosologia descrittiva. Sebbene la decisione da parte della commissione del DSM III di passare da una teoria particolare ad un modello più neutrale sia stata generalmente considerata come un passo avanti, essa ha anche prodotto una separazione teoricamente ed empiricamente ingiustificata dei sintomi dissociativi. Quelli che con maggior chiarezza si riferiscono ad aspetti cognitivi e affettivi sono etichettati sotto il termine "disturbi dissociativi". Quelli che si riferiscono ad eventi esperiti come somatici (ad esempio controllo motorio, sensazione) sono stati catalogati nella categoria di "disturbi somatoformi" e posti insieme ad altre condizioni pseudo-somatiche come l’ipocondria. Come indicato teoricamente ed empiricamente in precedenza, questo cambiamento da parte del DSM è difficile da giustificare
Questa era l’idea di Janet (1889),il quale propose che i ricordi delle esperienze traumatiche fossero immagazzinate al di fuori della coscienza ed espressi nella forma di sintomi somatici. Alla fine degli anni ottanta diversi studi hanno dimostrato un’associazione tra disturbi somatoformi e storie di traumi infantili: per esempio Krystal, van der Kolk e van der Hart (1989) hanno osservato che emozioni intense suscitate da un trauma possono interferire con l’elaborazione cognitiva dell’esperienza, così che gli affetti vengono codificati ad un livello sensomotorio ed attivo piuttosto che in una modalità semantica e linguistica. Questo deficit alessitimico impedisce all’individuo di stabilire un collegamento conscio tra i sintomi somatici e l’esperienza traumatica originaria. I ricordi dell’esperienza o delle esperienze traumatiche e degli affetti ad esse associati sono rimasti imprigionati in una modalità protosimbolica, e vengono agiti compulsivamente mediante comportamenti morbosi anormali, sintomi somatici e preoccupazioni ipocondriache. "Le persone che somatizzano negano gli aspetti psichici della (propria) condizione." [Tyrer,1973] Il diniego impiegato è di natura primitiva e corrisponde alla rimozione primaria, la quale coinvolge una restrizione e un blocco del funzionamento cognitivo e non risponde nella maniera abituale all’interpretazione delle difese: dissociazione, rimozione primaria il diniego primario rappresentano,oltre a essere dei meccanismi di difesa, anche un deficit dell’elaborazione cognitiva degli affetti dolorosi e un’incapacità di assimilare gli eventi traumatici nella loro totalità. Sono le emozioni "non-mentalizzate" e non regolate, piuttosto che gli eventi veri e propri, che sono alla base dei sintomi somatici. Queste sono le ultime scoperte dei teorici contemporanei che oggi cercano, dopo anni di querelle, di trovare un modello che renda la natura multifattoriale e interazionale dell’eziologia dei disturbi. Aggiungiamo un passaggio e terminiamo, vorremmo riportare una metafora, quella della gazzella e del leone,a noi suggeritaci dalle pagine di Liotti nella "Dimensione interpersonale della coscienza":
"si pensi ad un animale (ad esempio una gazzella) aggredito da un predatore ( ad esempio un leone) e che non possa più sfuggire ad esso. Se la gazzella entra in uno stato di anestesia/amnesia mentre è tra le zampe del leone e se il leone, prima di poter finire la preda, viene in quel momento messo in allarme dal sopravvenire di un evento per lui pericoloso (potremmo immaginarci l’avvicinarci di un branco di elefanti al galoppo o di un fulmine che si abbatte su di un albero vicino), la gazzella potrà più facilmente organizzare il proprio comportamento di fuga se è scattato in lei un meccanismo che riduce la percezione del dolore ed il ricordo della paura."
Quindi: la gazzella dissocia per non subire un deficit causato dallo stress in caso di "ultima chance"; la donna invece dissocia perché il trauma a cui è sottoposta "gratuitamente" non trova in lei possibili spiegazioni, inoltre il ricordo del trauma potrebbe provocare serie conseguenze.
Anche Jerome Bruner, nel "La ricerca del significato", sostiene con fermezza che la costruzione del significato ha un ruolo centrale nella psicologia umana, e ci fa osservare come il Sé emerga dalle interazioni tra persone in un ambito culturale, sotto l’influenza di narrazioni. Insomma, di dissociazioni e di riflessioni e di cause e concause ce ne sono tante, e tanti sono stati i tentativi per cercare di fare un po’ di chiarezza su come funzioniamo normalmente e "sotto pericolo" … non sappiamo dare una risposta univoca alla nostre domande, quindi abbiamo preferito riflettere con voi e con quanti prima di noi l’hanno fatto … Ci piace lasciarci con un grande pensatore del nostro secolo, Edelman, che forse ci dà un monito e uno stop sulla nostra brama di conoscenza: "Fino a quando non si saranno costruiti artefatti dotati di coscienza e capaci di parlare i metodi biologici continueranno a essere troppo rozzi per poter stabilire correlazioni tra l‘attività neurale di un "pensatore puro", impegnato in un processo di ragionamento, e il significato dei suoi pensieri.
APPENDICE MODELLO DI LE DOUX Si devono a Joseph Le Doux ed al suo laboratorio gli studi fondamentali sull’emozione della paura e sul ruolo centrale dell’amigdala (la sua opera principale è "The emotional brain. The misterious underpinning of emotional life". Simon and Shuster, New York 1996-tradotto in italiano con il titolo "Il cervello emotivo. All’origine delle emozioni".Baldini e Castoldi, Firenze, 1998): Nel pensiero di Le Doux si possono evidenziare in particolare tre temi: Il concetto di sistema limbico; Il rapporto tra emozione e cognizione; La questione della plasticità cerebrale in relazione alle psicoterapie-gli ipotizzabili effetti somatici di una cura non "chimica", ma verbale.
Tutti gli animali reagiscono con la paura agli stimoli estremamente avversi, come gli shock, inoltre ogni specie è vulnerabile ad alcuni stimoli specifici che provocano la paura in quella specie, ad esempio i topi reagiscono con la paura agli spazi aperti. Nonostante la specificità degli stimoli, le strutture cerebrali, gli ormoni, le reazioni del sistema nervoso autonomo ed i comportamenti della paura sono simili in tutti gli animali, perciò la paura studiata nei topi o nelle scimmie può ragionevolmente essere usata per capire gli aspetti della paura negli esseri umani. L’esperimento classico sul condizionamento della paura fatto nei ratti implica l’accoppiamento di uno stimolo inizialmente neutrale, come un suono, con un leggero battito del piede. L’animale (sottoposto a questa stimolazione) mostra immediatamente una reazione di paura che comprende il "freezing", dei sussulti improvvisi, defecazione, accresciuto ritmo cardiaco e cortisolo.Dopo una singola esposizione l’animale è condizionato ad interpretare il suono come avverso e nelle occasioni successive risponderà con la stessa paura alla semplice stimolazione acustica. Anche gli esseri umani mostrano lo stesso rapido condizionamento a shock moderati. Una volta stabilito, il condizionamento alla paura è relativamente permanente, come dimostrato negli studi sull’estinzione. Quando il suono è presentato frequentemente in assenza di shock, la reazione di paura alla fine si estinguerà. La risposta, comunque è soltanto inibita, non cancellata completamente. Se il ratto viene esposto ad altri stress senza legami con i precedenti, come la deprivazione di acqua, la paura condizionata del suono ritornerà all’intensità originaria. I dettagli sui circuiti della paura risultano evidenti negli studi che si occupano di soggetti con regioni cerebrali lesionate sottoposti ad esperimenti di condizionamento.
IL RUOLO DELL’AMIGDALA E LA CORTECCIA
L’amigdala, essenziale nelle reazioni di paura condizionata, è il luogo di maggior rilievo deputato all’elaborazione degli imput e degli output. Nell’azione svolta dall’amigdala vengono identificate due vie principali: una rapida e breve via sottocorticale; una lenta e lunga via corticale. Ognuna di queste vie dà luogo ad un identico output, la reazione della paura, ma in risposta a stimoli diversi. Nella via (1) l’informazione sensoriale è diretta dal talamo direttamente all’amigdala, la reazione della paura scatta rapidamente in risposta a stimoli semplici. Nella via (2) l’informazione sensoriale è diretta dal talamo alla corteccia ed all’ippocampo e in seguito proiettata all’amigdala. In questo percorso la reazione della paura viene esplicitata più lentamente e in risposta a stimoli più complessi. Ciò che maggiormente colpisce gli scienziati è il fatto che la corteccia uditiva, che è richiesta nella consapevolezza conscia degli stimoli uditivi, non è richiesta per la paura condizionata! Quando la corteccia del ratto è lesionata avviene ancora il condizionamento alla paura, perché la via sottocorticale (1) rimane intatta, persino quando l’animale non può consapevolmente udire il suono. L’implicazione è che l’emozione può essere scatenata da situazioni delle quali la persona non è consapevole. La via corticale può inibire la reazione di paura scatenata dalla via sottocorticale. Questi studi implicano che, sebbene le prime reazioni di paura al trauma non possono mai scomparire completamente, la consapevolezza conscia può aiutare a diminuire queste risposte di paura. Studi confermano il ruolo dell’amigdala nella paura umana.
IL RUOLO DELL’IPPOCAMPO
L’ippocampo fornisce informazioni circa la posizione contestuale. Gli indizi contestuali permettono agli animali di imparare ad evitare il pericolo. Queste scoperte implicano che i suggerimenti spaziali attivano la paura nelle situazioni che non sono per lungo tempo pericolose, ma nelle quali l’animale è soltanto nello stesso luogo in cui era durante un evento traumatico. Questo spiega il perché le vittime di una violenza evitano assiduamente la situazione specifica in cui furono assalite. Nessun deterioramento dell’ippocampo può far generalizzare la paura ad altri luoghi. Oltre al ruolo nella memoria, l’ippocampo regola anche l’arousal emozionale perché è implicato nella regolazione di cortisolo. Gli eventi emozionalmente traumatici portano a livelli molto alti di cortisoloche possono realmente danneggiare le cellule ippocampali. (Brenner 1995, Salpolsky 1996). Perciò, una diminuzione dell’attività ippocampale può portare ad una carenza nella regolazione del cortisolo e un deterioramento nella memoria delle situazioni traumatiche. Viceversa l’attività dell’amigdala aumenta durante l’arousal emozionale (Corodimas). Queste scoperte implicano che allo stesso tempo lo stress "frena" la memoria conscia esplicita di un’esperienza traumatica e può accrescere la memoria emozionale inconscia di quell’esperienza.
RUOLO DELLA CORTECCIA PREFRONTALE
La corteccia prefrontale, in relazione alla sua funzione di working memory, anticipa la conseguenza di varie opzioni di risposta e considera ciò che sarebbe possibile sbagliare se un piano fallisse. L’ansia umana può essere l’alto prezzo dell’abilità di anticipare il pericolo e di pensare. Gli animali inferiori soffrono le conseguenze delle scelte sbagliate, ma non si preoccupano in anticipo.
L'emergere del Sé etico nelle sinapsi di: Fortunato Aprile
È però di particolare importanza tener conto che un certo modo di fare esperienza determina l’allacciamento di aree di neuroni piuttosto che di altre e che esiste comunque una qualità chimica dei neurotrasmettitori.
Di fatto, non è concepibile la responsabilità sociale al di fuori dell’assunzione della morale che tende al superamento di livelli gravi dell’egocentrismo. Il concetto di Persona, per come emerge dalla pubblicistica di garanzia, è direttamente portatrice di valori morali, sia nei termini di diritti sia di doveri. E ciò va in accordo con le definizioni che di Persona danno i personalisti storici ed ermeneutici (cfr. Mounier, 1961; Maritain,1963; Ricoeur, 1998).
Molto interesse presentano invece le posizioni che danno della coscienza e del Sé un’interpretazione processuale come quella di Damasio della coscienza nucleare e della coscienza estesa; quella di Fodor e Karmiloff- Smith degli apprendimenti dominio specifico e di dominio generale; e quella riferita dallo stesso Le Doux (Op. cit. p. 29) per la quale si effettua una distinzione tra il Sé minimo, che rappresenta una consapevolezza immediata del proprio Sé e il Sé narrativo che rappresenta una lucida autonsapevolezza.
Si è prima affermato che l’esperienza può modificare i sistemi e le funzioni originarie degli apparati sinaptici, conferendo in tal modo all’apprendimento un ruolo decisivo nella capacità di orientamento del soggetto nel mondo. In tal modo vi sono sicure gravi ripercussioni sulla chimica dei neurotrasmettitori. E allora è probabile che quella perdita di classe di alunno significhi disintegrazione del Sé. Inversamente, se le altre domande vengono a giacere nel campo di pertinenza del tipo di esperienza e di conoscenza possibile del soggetto, può affermarsi che è in atto un processo di apprendimento nei termini di incidenza positiva nelle connessioni sinaptiche.
È da questo Sé-sinaptico che “conosce”, che può emergere il Sé etico come forma più avanzata della conoscenza che si fa tale per l’assunzione di strategie ermeneutiche e interpretative. Perché, oltre ai numeri, vi sono le interpretazioni delle condotte dei personaggi presenti nei saperi. Nel condurre una ricognizione sullo stato del problema, Andreoli (2003, p.7) riferendosi alla “diluizione” dell’etica personale nel gruppo che si fa branco, rileva la contraddizione che si realizza nel fatto che proprio mentre viviamo fasi storiche in cui, più che nel passato, è forte la pressione del gruppo, l’educazione risulti centrata prevalentemente sul singolo.
Si badi: sul singolo, che è cosa diversa dalla persona. Il singolo è una monade, la persona è per definizione soggetto con un Sé desto e orientato alla prospettiva sociale, alla responsabilità, insomma che ha attiva la coscienza. (cfr. Maritain 1951 )
L’assunto è il seguente: la conoscenza di sé implica la conoscenza delle proprie emozioni, le quali comportano conseguenze motivazionali. Da qui si diparte il Sé operante che sintetizza una sorta di storia personale consapevole e volta al futuro in termini molto dinamici; “è il sottoinsieme disponibile al pensiero cosciente della persona in un particolare momento, ed è in parte determinato dalla memoria e dalle aspettative, e in parte dalla situazione immediata” (Id. ).
Il rilievo è dato dal fatto che il Sé operante è considerato come guida all’azione, perché i suoi costituenti influenzano la percezione, l’attenzione, il pensiero e la memoria.
Ora tocca compiere una scelta: o al processo di costruzione del Sé operante forniamo le opportunità perché ciascuno opti per i contenuti di pensiero in modo che i Sé passati costituiscano un back-ground per le scelte del Sé futuro o la pura conoscenza del processo decisionale e il controllo comportamentale diviene puro esercizio di ricerca teorica.
Sorge allora un sospetto: che manchi non solo una scienza di processamento dell’etica che sia correlata alla conoscenza delle forme di proposizione dei suoi contenuti, ma che sia anche legata alle fasi di evoluzione della competenza etica.
E chi la insegna l’etica può farlo se egli stesso si situa nelle fasce alte di una scala di evoluzione della capacità di giudizio di Piaget e di Kohlberg.
In tale contesto è suggestiva, e dunque tutta da chiarire, la questione del possibile emergere dalle sinapsi di un Sé etico. Vale a dire di una strategia fondante che acceleri la qualità formativa di apprezzamento delle metodologie derivanti dalle scienze e di apprezzamento dei valori di una civiltà che non vuole votare alla dispersione le sue straordinarie risorse e potenzialità. Allora l’ipotesi dell’emergere di un Sé-etico dalle connessioni sinaptiche non è priva di fondamento, se il tutto è visto, intanto, come occasione per far accedere ai saperi non visti mediante l’attivazione mirata di strategie ermeneutiche che, di fatto, attivano una percezione più profonda della realtà. Che deve restare, beninteso, sempre una libera costruzione personale.
Allego la tesi interessante di Bioginnastica dell'amico Luca e della sua collega Giorgia.
I cibi che mangiamo sono in grado di influenzare ciò che siamo e ciò che proviamo?
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Il cibo può addirittura renderci più o meno sicuri di noi stessi, può aumentare la concentrazione, la determinazione o l'aggressività. Anzitutto, va sottolineato che una dieta monotona o sbilanciata intossica l'organismo provocando risveglio difficoltoso, bocca amara, lingua patinata, stato dell'umore peggiorato e instabile. Questo rende molto importante il variare, il mangiare un pò di tutto, non siate pigri e sperimentate sempre cibi nuovi, comunque, dando a pane, pasta, riso e patate il giusto spazio. Infatti, pane , pasta riso e patate sono in grado di calmarci placando ansia e nervosismo poichè contengono il triptofano, un amminoacido essenziale, che favorisce il rilascio della serotonina noto neurotrasmettitore che da benessere e calma.
Tra gli amminoacidi, che sono costituenti essenziali delle proteine, c'è anche la tirosina in grado di favorire la comunicazione tra le cellule celebrali, ossia, di migliorare l'umore e contrastare le emozioni negative.
Invece, cacao, caffè, tè e bevande a base di cola e alcol contengono sostanze nervine eccitanti il sistema nervoso e sono poco indicate per gli ansiosi. La neurobiologia ha stabilito alcuni legami tra cibi e emozioni:
Agrumi = Allontanano la malinconia e stimolano il cervello |