Schegge 3

 

CONSIGLIO LA VISIONE DELLA PUNTATA DI REPORT (RAI 3):

 

«COME TU M'INSEGNI»

di Stefania Rimini
andato in onda domenica 19 aprile 2009 alle 21.30

 

 

 

Giovani

&

SCUOLA

 

 

Corriere della Sera Prima Pagina

da un articolo di Francesco Alberoni

 

 

 

"[...] Adesso i ragazzi sembrano stanchi, trascinano le gambe, vagolano come se fossero storditi, non corrono. [...] Per scuoterli, per suscitare il loro interesse, occorre uno stimolo forte. Non è mancanza di intelligenza, ma di motivazione, di vigore, di slancio. Perché? Fin dalla prima infanzia il bambino cresce in mezzo a genitori, zii e nonni attenti, premurosi, che si sforzano in ogni modo di interpretare i suoi desideri. Gli lasciano fare ciò che vuole, gli danno subito tutto ciò che chiede. Gli fanno regali non perché li abbia meritati, ma per il piacere di vederlo contento. [...] La nostra società, con l'educazione permissiva, ha formato persone duttili, capaci di adattarsi ad ogni tipo di innovazione. Però anche meno motivate, meno forti. E che quando incontrano un ostacolo, reagiscono con la depressione (o gli attacchi di panico n.d.a.). [...] Forse è giunto il momento di ripensare da capo il nostro sistema educativo, fin dalla prima infanzia. Ricominciare ad abituare i nostri figli a combattere la dura lotta della vita. All'autocontrollo del proprio corpo, al senso del dovere, a porsi delle mete e a perseguirle con tenacia. A rinunciare, a dilazionare il desiderio, ad affrontare gli ostacoli, a provare e riprovare, stringendo i denti. Come si fa nello sport, come fanno gli atleti." di Francesco Alberoni 

 

 


 

 

 

 

Discorso di Piero Calamandrei in difesa della Scuola nazionale       



Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.  Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime... Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico"

Piero Calamandrei - discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l'11 febbraio 1950

 

 

Costituzione dimenticata
di MIRIAMA MAFAI

Giulio Tremonti era noto fino ad oggi come il più rigoroso, persino spietato ministro dell'Economia, tanto da essere soprannominato "signor no". Qualcuno, non solo dell'opposizione ma anche della maggioranza, gli chiedeva di allargare i cordoni della borsa a vantaggio dei pensionati, o dei licenziati, o dei precari? No, non si possono purtroppo sforare le cifre del bilancio, rispondeva il nostro ministro. La riposta fino a ieri era sempre la stessa: no. "Tagliare, tagliare le spese" era il suo mantra. Crolla il soffitto di una scuola a Rivoli e si scopre che molte altre scuole sono a rischio?

Occorrono fondi per mettere le nostre scuole a norma? No, la risposta è sempre no. Il bilancio dello Stato non lo consente.

Eppure ieri, finalmente il ministro Tremonti ha detto sì. Nel giro di un paio d'ore ha trovato i soldi per soddisfare la richiesta che gli è venuta dal Vaticano di aumentare lo stanziamento già fissato in bilancio per le scuole cattoliche. Contro il taglio originario di circa 130 milioni di euro aveva tuonato monsignor Stenco, direttore dell'Ufficio Nazionale della Cei per l'educazione, minacciando una mobilitazione nazionale delle scuole cattoliche contro il governo Berlusconi e il suo ministro delle Finanze.

La minaccia ha avuto ragione delle preoccupazioni del ministro. Nel giro di poche ore il sottosegretario all'economia Giuseppe Vegas, a margine dei lavori della Commissione Bilancio del Senato sulla Finanziaria, rassicurava il rappresentante delle scuole cattoliche. "Abbiamo presentato un emendamento che ripristina il livello originario di finanziamento.

Potete stare tranquilli. Dormire non su due ma su quattro cuscini?" . Dunque il taglio previsto in finanziaria non ci sarà. E non ci sarà la minacciata mobilitazione delle scuole cattoliche contro Berlusconi e Tremonti. Soddisfatti, ma solo per ora, i vescovi italiani. Soddisfatto, per ora, il Pontefice che però alza il prezzo e chiede nuove misure "a favore dei genitori per aiutarli nel loro diritto inalienabile di educare i figli secondo le proprie convinzioni etiche e religiose".

In parole più semplici, c'è qui la richiesta rivolta allo Stato italiano di smantellare il nostro sistema scolastico a favore della adozione del principio del "bonus" da assegnare ad ogni famiglia, da spendere, a seconda delle preferenze, nella scuola pubblica o nella scuola privata.

Naturalmente nessuno contesta il diritto "inalienabile" delle famiglie di educare i figli secondo le proprie convinzioni etiche e religiose. E non ci risulta che nella nostra scuola pubblica si faccia professione di ateismo. E l'insegnamento della religione non è affidato a docenti scelti dai rispettivi Vescovi? Cosa si vuole dunque di più?

Anche a costo di essere indicati come "laicisti" vale la pena di ricordare che l'articolo 33 della nostra Costituzione, ancora in vigore, afferma che "enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato". E che nel lontano 1964 un governo presieduto da Aldo Moro, venne battuto alla Camera e messo in crisi proprio per aver proposto un modesto finanziamento alle scuole materne private. Bisognerà dunque aspettare quasi quarant'anni perché un governo e una maggioranza parlamentare prendano in esame la questione delle scuole private e della loro possibile regolamentazione e finanziamento.

E saranno il governo D'Alema e il suo ministro dell'Istruzione Luigi Berlinguer a volere, e far approvare, una legge sulla parità scolastica che prevede, ma a precise condizioni, un finanziamento non a tutte le scuole private ma a quelle che verranno riconosciute come "paritarie". Tutta la materia in realtà, nonostante alcuni provvedimenti presi nel frattempo, è ancora da regolare (non tutte le scuole private, ad esempio, possono essere riconosciute come "paritarie").

Anche per questo, per una certa incertezza della materia, ho trovato per lo meno singolare l'intervento di due autorevoli esponenti del Partito Democratico, a sostegno della richiesta delle gerarchie. Maria Pia Garavaglia, ministro dell'istruzione del governo ombra del Pd, e Antonio Rusconi, capogruppo del Pd in Commissione Istruzione al Senato hanno subito e con calore dichiarato di apprezzare le rassicurazioni fornite, a nome di Tremonti, dal sottosegretario Vegas. Ma non ne sono ancora soddisfatti. Chiedono di più. Sempre per le private. Chiedono cioè che vengano garantiti "pari diritti agli studenti e alle famiglie" È, quasi con le stesse parole, la rivendicazione già avanzata dalle gerarchie.

Ma è davvero questa, in materia scolastica, la posizione alla quale è giunto il Pd? E se sì, in quale sede è stata presa questa decisione? È giusto chiederselo, è indispensabile saperlo. Anche perché ha ragione chi, come don Macrì, presidente della Federazione che riunisce la scuole cattoliche, lamenta che la strada che porta al bonus trova un ostacolo "nell'articolo 33 della Costituzione che sancisce che le scuole private possono esistere senza oneri per lo Stato".

E allora, che facciamo? Per rispondere alle esigenze delle scuole cattoliche butteremo alle ortiche l'articolo 33 della Costituzione?
(6 dicembre 2008)
 

 

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Corriere della Sera Prima Pagina

 

LA CRISI DI UN’ISTITUZIONE
UNA SCUOLA PER L’ITALIA

di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

 

 

 

 

Tra neppure un mese la macchina della scuola italiana ricomincerà a macinare lezioni ed esami. Una gigantesca macchina fatta di circa un milione di dipendenti, di migliaia di edifici frequentati da milioni di studenti, pronta anche quest’anno ad allestire milioni di iniziative le più varie, a sfornare tra circolari, lettere, verbali e registri, il solito astronomico numero di tonnellate di carta. Una macchina gigantesca, appunto. Ma senz’anima: che non sa perché esiste né a che cosa serva, e che proprio perciò si dibatte da decenni in una crisi senza fine. Crisi la cui gravità non è testimoniata tanto dai pessimi risultati ottenuti dagli studenti della nostra scuola nei confronti internazionali, ma da qualcosa di più profondo e di più vero. Dal fatto che essa si sente un’istituzione inutile e in realtà lo è: apparendo tale, e dunque votata ineluttabilmente al fallimento, innanzi tutto alla coscienza dei suoi insegnanti, dei migliori soprattutto. La scuola italiana non riesce più a conferire alcuna autorevolezza a nessun fatto, pensiero, personaggio o luogo di cui si parli nelle sue aule. Non riesce più a creare o ad alimentare in chi la frequenta alcun amore o alcun rispetto, alcuna gerarchia culturale. E perciò non serve a legittimare culturalmente — e cioè ideologicamente o storicamente — più nulla: non il Paese o il suo passato, la sua tradizione, e tanto meno lo Stato, la Costituzione, il sistema politico: nulla. Si possono tranquillamente frequentare le sue aule e non essere mai sfiorati dal sospetto che l’azione del conte di Cavour, o il Dialogo sopra i massimi sistemi , o una terzina del Paradiso rappresentano vertici d’intelligenza, di verità e di vita, posti davanti a noi come termini di confronto ideali, ma anche concretissimi, destinati ad accompagnarci in qualche modo per tutta l’esistenza.
Il sintomo politico più evidente della crisi in cui versa la scuola è il sostanziale disinteresse, venato di disprezzo, di cui, al di là di tutte le chiacchiere di maniera, essa è ormai circondata dall’intera classe dirigente, a cominciare per l’appunto dalla classe politica. Se il responsabile del Tesoro può impunemente tagliare i fondi destinati all’istruzione, infischiandosene di ogni possibilità di commisurare i risparmi alle esigenze di qualcuna delle ipotesi di cambiamento proposte dal volenteroso ministro Gelmini, ciò accade precisamente perché in realtà Tremonti, come tantissimi altri suoi colleghi, non sa a che cosa questa scuola possa davvero servire, e in essa non riesce a vedere altro che una macchina erogatrice e sperperatrice di risorse. Come di fatto, peraltro, essa rischia ormai di essere.
La verità è che la scuola pubblica che l’Europa conosce da due secoli non è solo un sistema per impartire nozioni. Nessuna scuola autentica del resto lo è mai stata: deve impartire nozioni, come è ovvio, ma può riuscirvi solo se insieme — aggiungerei preliminarmente — è anche qualcos'altro, e cioè se al suo centro vi è un’idea, una visione generale del mondo. La scuola pubblica europea è nata intorno al compito di testimoniare un’idea del proprio Paese, i caratteri e le vicende della collettività che lo abita, sentendosi chiamata a custodire l’immagine di sé e gli scopi di una tale collettività.
CONTINUA A PAGINA 47
SEGUE DALLA PRIMA
Non può esistere una scuola pubblica mondial-onusiana, una scuola italiana che parli in inglese o esperanto. Un sistema d’istruzione pubblico appartiene sempre a un contesto culturale nazionale. Questo è il punto, dunque qui sta il cuore del problema: alla fine, nella sua sostanza più vera, la crisi della scuola italiana non è altro che la crisi dell’idea d’Italia. E’ lo specchio della profonda incertezza di coloro che a vario titolo la guidano o le danno voce - i governanti, gli apparati dello Stato, gli imprenditori, gli intellettuali, l’opinione pubblica - circa il senso e il rilievo del suo passato, circa i suoi veri bisogni attuali e quello che dovrebbe essere il suo domani.
Il profondo marasma della nostra scuola, il grande spazio preso in essa dal burocratismo, dalle riunioni, dalle questioni di metodo, dalle futilità docimologiche, a scapito dei contenuti, è lo specchio di un Paese che non riesce più a pensarsi come nazione da quando la sua storia ha attraversato negli anni ’60-’80 la grande tempesta della modernizzazione. E’ da allora che l’idea del nostro passato si sta dileguando insieme alla consapevolezza dei suoi grandi tratti distintivi. E non a caso è da allora che è diventato sempre più difficile anche organizzare il presente e immaginare il futuro. Da qui, per esempio, ha tratto origine la crisi che ha colpito a suo tempo le tradizionali culture politiche della democrazia repubblicana, e sempre qui sta oggi la difficoltà di vederne sorgere di nuove. Da qui, anche, la generale sensazione d’immobilismo che abbiamo da anni, quasi che dopo il trauma della modernizzazione non sapessimo più ritrovarci, non riuscissimo più a riprendere il bandolo della nostra storia e dunque non riuscissimo più a muoverci. Negli anni ’90 la cesura che era andata producendosi nei tre decenni precedenti è venuta finalmente alla luce: ha definitivamente preso forma un’Italia nuova, ma questa Italia nuova non riesce più a pensare se stessa, non riesce più a pensarsi come un intero, come nazione, a progettare il suo futuro, perché non riesce più a incontrare il suo passato.
Riappropriarsi di questo passato e della propria tradizione per ritrovarsi: questo è il compito urgente che sta davanti al Paese che sa e che pensa. Ed è alla luce di questo compito che esso deve ripensare anche l’intera istituzione scolastica, la quale solo così potrà riavere un senso e una funzione, e sperare di tornare alla vita.
Ridare profondità storico-nazionale alla scuola, ma naturalmente in vista delle esigenze che si pongono all’Italia nuova di oggi e tenendo conto dell'ambito e dei contenuti propri degli studi. E cioè, non volendo sottrarmi all’onere di qualche indicazione, mirare innanzi tutto a ricostituire culturalmente (e per ciò che riguarda l’istituzione anche organizzativamente) il rapporto centro-periferia e Nord-Sud, riaffermando il carattere multiforme ma unico e specifico dell'esperienza italiana; in secondo luogo porre al centro, ed esplorare, il nostro tormentato rapporto con la modernità e i suoi linguaggi, mettendone a fuoco debolezze e punti di forza e cercando anche in questa maniera di costruirci un modo nostro di stare nei tempi nuovi, di averne l’appropriata consapevolezza senza snaturamenti e scimmiottamenti; e infine ribadire la funzione della scuola nella costruzione della personalità individuale, principalmente attraverso l’apprendimento dei saperi, delle nozioni, e la disciplina che esso comporta. Tutto ciò facendo piazza pulita delle troppe materie e degli orari troppo lunghi che affliggono la nostra scuola, e ricentrando con forza i nostri ordinamenti scolastici intorno a due capisaldi: da un lato la lingua italiana e la storia della sua letteratura, cioè intorno alla voce del nostro passato, e dall’altro le matematiche, cioè il linguaggio generale del presente e del futuro universali.
A questo punto ci si può solo chiedere: esiste un governo, esistono dei ministri in Italia? Personalmente mi ostino a pensare di sì. E a credere che ogni tanto gli capiti perfino di ascoltare i gridi di dolore, come questo, che si levano dai giornali.

21 Agosto 2008

 


 

 

EmbarassedWinkLaughing

 

Dopo l'intesa governo-sindacati il ministro parla di piccola correzione di rotta ma di fatto sul maestro unico a decidere saranno genitori e scuole.


Gelmini: "Nessuna retromarcia"
Ma i documenti la smentiscono
di SALVO INTRAVAIA


Manifestazione contro la riforma Gelimini
Ventiquattro ore dopo l'inattesa marcia indietro del governo sulla scuola restano diversi dubbi. Insegnanti e dirigenti scolastici si chiedono: ma il maestro unico c'è oppure no? Secondo il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, quella di ieri pomeriggio è stata soltanto una piccola correzione di rotta sul piano e "non c'è nessuna retromarcia".

"E' tutto confermato", dichiara il giorno dopo la responsabile del dicastero di viale Trastevere che aggiunge: "Un unico maestro sarà il punto di riferimento educativo del bambino e viene abolito il modello a più maestri degli anni 90". Per la Gelmini, quindi, per il cosiddetto "modulo" di tre insegnanti su due classi è tempo di andare in soffitta. "Chiunque affermi in queste ore che è cambiato qualcosa sta semplicemente dicendo una falsità - incalza - e cerca in maniera strumentale di mettere in discussione la linea del governo che non è mai cambiata e che non cambia".

Ma come stanno le cose? Per stabilirlo basta rileggere le carte. La versione del Piano-Gelmini passata dalle commissioni di Camera e Senato (atto numero 36) in proposito dice che "nella scuola primaria va privilegiata l'attivazione di classi affidate ad un unico docente e funzionanti per un orario di 24 ore settimanali". Per il governo "tale modello didattico e organizzativo, infatti, appare più funzionale all'innalzamento degli obiettivi di apprendimento, (...) favorisce l'unitarietà dell'insegnamento soprattutto nelle classi iniziali, rappresenta un elemento di rinforzo del rapporto educativo tra docente e alunno, semplifica e valorizza la relazione tra scuola e famiglia".

Ma, chiamata a esprimere un parere, la commissione Cultura della Camera ha condizionato l'approvazione del Piano precisando che (punto d) "in relazione alla scuola primaria sia previsto che l'attivazione di classi affidate ad unico docente, funzionanti per un orario di 24 ore settimanali, sia effettuata sulla base di specifiche richieste delle famiglie e siano garantiti gli insegnamenti specialistici di religione e di inglese". E che (punto e) "sia stabilito il tempo scuola in funzione non soltanto delle esigenze di riorganizzazione didattica, ma soprattutto in ragione della domanda delle famiglie e pertanto siano garantiti differenti articolazioni dell'orario scolastico a 24, 27, 30 e 40 ore, mantenendo la figura dell'insegnante prevalente" secondo quanto previsto dal decreto Moratti.

E il testo dell'accordo tra governo e sindacati firmato ieri sembra proprio pendere verso questa strada. "In particolare, per l'orario a 24 (solo prime classi per l'anno scolastico 2009/2010) e 27 ore, si terrà conto delle specifiche richiesta delle famiglie", specifica il punto b del verbale. Non sembrano esserci dubbi. Saranno le famiglie e le scuole nell'ambito della loro autonomia, e non più il ministero attraverso la leva degli organici, a determinare quanti insegnanti entreranno in classe. A questo punto occorrerà aspettare le scelte delle famiglie. Quanti saranno i genitori disposti ad accompagnare i bambini alle 8 e riprenderli alle 12.30?

"Riteniamo più che positivo il ruolo attivo dato alle famiglie e ai genitori nel settore scuola grazie alla possibilità di scelta tra diversi modelli di orario e di conseguenza tra diversi modelli formativi", dichiara il movimento dei genitori (Moige) attraverso il suo responsabile. "Questo nuovo elemento lascia un margine decisionale importante ai genitori - continua Bruno Iadaresta - che potranno, quindi, decidere insieme alle autorità scolastiche il metodo educativo migliore per i propri figli".

Le altre novità, marcia indietro o no, riguardano le lezioni pomeridiane nel primo ciclo (scuola dell'infanzia, scuola primaria e media) che continueranno ad essere garantite. La scuola materna ed elementare a 40 ore, che continueranno a funzionare con due insegnanti per classe. La scuola media che, anziché 29 ore di orario obbligatorio, ne avrà 30. Il congelamento "in connessione con l'attivazione dei piani di riqualificazione dell'edilizia scolastica" dell'innalzamento del numero massimo di alunni per classe. Sarà, inoltre, "tutelato il rapporto di un docente ogni due alunni disabili" mentre la riforma della scuola superiore partirà dal 2010/2011.

Il governo si è anche impegnato "a costituire un tavolo permanente di confronto per ricercare le possibili soluzioni a tutela del personale precario attualmente con nomina annuale o fino al termine delle attività didattiche, per favorire continuità delle attività di insegnamento e di funzionamento" e "a prevedere, qualora le risorse di bilancio lo consentano, l'estensione degli sgravi fiscali previsti in materia di salario accessorio" anche per il personale della scuola.

La riforma del secondo ciclo (licei, istituti tecnici e istituti professionali), inizialmente prevista per il primi settembre 2009, partirà dal 2010/2011. L'informazione per famiglie e ragazzi sul "nuovo corso" inizierà dal primo gennaio 2009.

Dal 2009 partiranno i regolamenti riguardanti il Dimensionamento della rete scolastica, quello relativo all'intero primo ciclo e il regolamento sull'utilizzo delle risorse della scuola (del personale). I tagli, insomma, sono confermati ma con le modifiche apportate oggi potrebbero non raggiungere le 132 mila unità in tre anni previste dal Piano.
(12 dicembre 2008)

 

 

Orari, precari e classi numerose
ecco tutte le novità congelate

di SALVO INTRAVAIA


Bambini a mensa
ROMA - Marcia indietro in 11 mosse. Il parziale dietrofront del governo sulla riforma della scuola è tutto nell'accordo di ieri pomeriggio tra governo e sindacati. Le novità rispetto al cosiddetto Piano Gelmini, che tante proteste aveva suscitato tra gli studenti e i professori, e aveva portato allo sciopero generale del 30 novembre scorso, sono tante. Vediamole. 

La riforma dei licei e degli istituti tecnici, cui si dovrebbe aggiungere quella degli istituti professionali, non partirà più il primo settembre 2009 ma dal 2010. Le famiglie avranno più di un anno di tempo per familiarizzare con una riforma che modificherà indirizzi scolastici, materie e quadri orario. 

La riforma del primo ciclo (scuola dell'infanzia, primaria e media) e il Dimensionamento della rete scolastica partiranno dal 2009/2010. Ma il "maestro unico" (con 24 ore settimanali in una sola classe alla scuola elementare) non fa tempo a vedere la luce. Accanto a classi funzionanti con 27 e 30 ore settimanali, le 24 ore diventano una opzione che le famiglie che potranno richiedere. 

Per il tempo pieno (con orario di 40 ore settimanali) continueranno ad essere utilizzati due insegnanti per classe. Nella scuola dell'infanzia (l'ex materna) il modello didattico principale sarà quello con 40 ore settimanali e due insegnanti: il cosiddetto tempo normale. Le classi che potranno funzionare con 25 ore settimanali (il tempo ridotto) costituiranno "un modello organizzativo residuale". Il Piano prevedeva "la progressiva generalizzazione" del modello antimeridiano. 

Novità anche per la scuola media: le prime classi del prossimo anno potranno avere un orario obbligatorio variabile tra le 29 e le 30 ore "secondo i piani dell'offerta formativa delle scuole autonome". E le classi a tempo prolungato "funzioneranno con non meno di 36 e fino ad un massimo di 40 ore" settimanali. 

La Gelmini aveva posizionato l'asticella dell'orario obbligatorio a 29 ore e condizionato l'apertura delle classi a tempo prolungato all'esistenza "dei servizi e delle strutture per lo svolgimento delle attività in fascia pomeridiana". Attraverso questa voce Tremonti aveva previsto di tagliare circa un quarto del tempo prolungato esistente: 4.275 classi. E ancora. "Sarà tutelato il rapporto di un docente ogni due alunni disabili", salvaguardando così la presenza nelle classi degli insegnanti di sostegno. 

Per i precari si apre uno spiraglio: "Il governo si impegna a costituire un tavolo permanente di confronto per ricercare le possibili soluzioni a tutela del personale precario" con nomina annuale o fino al termine delle attività didattiche. 

Viene, inoltre, congelato per un anno "l'incremento del numero massimo di alunni per classe in connessione con l'attivazione dei piani di riqualificazione dell'edilizia scolastica" e, se le risorse lo consentiranno, verranno estesi gli sgravi fiscali sul salario accessorio. 

E i tagli? Saranno attivate "misure compensative idonee a garantire i complessivi obiettivi di riduzione" (132 mila posti in tre anni) previsti dal Piano.
(12 dicembre 2008)
 

 

DOCUMENTI:

Il verbale della riunione sindacati-governo

Ecco il testo del verbale della riunione odierna Governo-sindacati sulla scuola: "In data odierna a Palazzo Chigi si è svolto un incontro, avente ad oggetto l'illustrazione delle linee guida di provvedimenti attuativi della legge 133/208. All'incontro, presieduto dal Sottosegretario di Stato Dott. Gianni Letta, hanno partecipato i Ministri Mariastella Gelmini, Maurizio Sacconi e Renato Brunetta, ed i rappresentanti delle OO.SS.: Domenico Pantaleo e M. Concetta Brigida per la Cgil; Raffaele Bonanni, Giorgio Santini e Francesco Scrima per la Cisl; Luigi Angeletti e Massimo Di Menna per la Uil; Fedele Ricciato e Achille Massenti per la Confsal; Alessandro Ameli per la Cgu; Alberto Sartori per la Cida; Gennaro Di Meglio della Gilda-Unams. A conclusione della riunione con le Organizzazioni sindacali confederali e quelle del comparto scuola in merito agli interventi previsti dal Piano programmatico di cui all'art. 64 della legge 133/2008, il Governo si impegna a recepire nei Regolamenti da emanarsi ai sensi del medesimo art. 64, i principi e le indicazioni che hanno costituito oggetto dei pareri delle Commissioni Cultura, scienze ed istruzione di Camera e Senato ed in particolare:

a) l'orario obbligatorio delle attività didattiche della scuola dell'infanzia garantirà prioritariamente il tempo di 40 ore con l'assegnazione di due insegnanti per sezione e provvederà soltanto come modello organizzativo residuale lo svolgimento delle attività didattiche nella fascia antimeridiana, sulla base della esplicita richiesta delle famiglie;
b) il tempo scuola della primaria sarà svolto, in relazione anche alla esigenza di riorganizzazione didattica, secondo le differenti articolazioni dell'orario scolastico a 24 (prime classi per l'a.s. 2009-10), 27, 30 e 40 ore. In particolare, per l'orario a 24 (solo prime classi per l'a.s. 2009-2010) e 27 ore, si terrà conto delle specifiche richiesta delle famiglie; c) nelle classi funzionanti a tempo pieno saranno assegnati due docenti per classe".

g) nella scuola secondaria di primo grado, sarà previsto un orario obbligatorio da 29 a 30 ore, secondo i piani dell'offerta formativa delle scuole autonome;
e) nella scuola secondaria di primo grado le classi con il tempo prolungato, ferma restando l'esigenza che si raggiunga il previsto numero di alunni frequentanti, funzioneranno con non meno di 36 e fino ad un massimo di 40 ore;
f) ferma restando l'adozione di misure compensative idonee a garantire i complessivi obiettivi di riduzione dell'art. 64 del Piano Programmatico sarà previsto il congelamento per l'a.s.
2009/2010 dell'incremento del numero massimo di alunni per classe in connessione con l'attivazione dei piani di riqualificazione dell'edilizia scolastica; g) sarà tutelato il rapporto di un docente ogni due alunni disabili;
h) dall'anno scolastico 2009/2010 troveranno attuazione i soli Regolamenti relativi al riordino del primo ciclo e al dimensionamento della rete scolastica e l'ottimale utilizzo delle risorse umane della scuola, con la contemporanea rimodulazione delle economie da realizzare per tale anno scolastico;
i) i regolamenti relativi al secondo ciclo si attueranno dall'a.s. 2010/2011. Si svolgeranno fin dal gennaio 2009 le iniziative e le attività di informazione al fine di far conoscere, diffondere e approfondire i contenuti dei nuovi percorsi di studio.

Il Governo si impegna inoltre:
1) a costituire un tavolo permanente di confronto per ricercare le possibili soluzioni a tutela del personale precario attualmente con nomina annuale o fino al termine delle attività didattiche, per favorire continuità delle attività di insegnamento e di funzionamento;
2) a prevedere, qualora le risorse di bilancio lo consentano, l'estensione degli sgravi fiscali previsti in materia di salario accessorio".
(11 dicembre 2008)

 

 

Questo era:


Gelmini: «Daremo stipendi migliori
riducendo professori e orario
»

 

 

Nel corso dell'audizione alla commissione Cultura della Camera la ministra Mariastella Gelmini ha tenuto a precisare che ogni nuova legislatura, per quanto riguarda il mondo della scuola, non può ripartire da zero. Il ministro intende preservare e mettere a sistema quanto di buono è stato fatto dai suoi predecessori, compresa la circolare sul recupero dell'ex ministro dell'Istruzione Fioroni. La Gelmini ha affermato che proporrà: «... modifiche legislative solo dove è strettamente necessario, e cercherò di contenere l'irresistibile tendenza burocratica a produrre montagne di regolamenti confusi e incomprensibili».
La ministra ha anche parlato delle retribuzioni degli insegnanti, che rispetto alla media europea sono molto più basse. «Lo stipendio medio di un professore di scuola superiore dopo 15 anni di insegnamento è pari a €27.500 lordi annui, tredicesima inclusa. In Germania gli toccherebbero €20mila in più, in Finlandia €16mila in più, e la media Ocse è superiore ai €40mila all'anno».
Un altro tema toccato dalla Gelmini è stato lo scontro politico, che deve restare fuori dal sistema scuola. Ha parlato della necessità di «... una grande alleanza per la scuola, perchè questo deve essere il momento del buonsenso, del pragmatismo e delle soluzioni condivise». Più avanti ha detto «... è necessario avere una posizione lontana da inutili visioni ideologiche, perché il Paese ci chiede a gran voce di lasciare lo scontro politico fuori dalla scuola. Il nostro compito è offrire al Paese una scuola che ciascuno, secondo le proprie propensioni individuali, senta come uno strumento utile e necessario».
La ministra ha attaccato anche l'immobilismo dell'attuale società italiana, che non permette nessun miglioramento, e che è ferma su stessa, e per rafforzare il suo concetto ha fatto un esempio: «Il figlio di un operaio è drammaticamente condannato, se è fortunato, a fare a sua volta l'operaio. Ditemi voi se questo non è un sistema iniquo».
Alle tre "I" (inglese, internet, impresa) volute del precedente governo Berlusconi, la ministra ne ha aggiunta una quarta, quella dell'italiano che riguarda soprattutto i figli degli immigrati. «L'apprendimento della nostra lingua è strettamente legato al processo di integrazione degli alunni extracomunitari. Nelle nostre classi ci sono quote sempre più ampie di studenti penalizzati dalla barriera linguistica: bisogna assolutamente trovare soluzioni per abbattere questa barriera».
Infine è emerso anche il fondamentale ruolo della scuola, soprattutto della sua funzione pubblica. La ministra dell'Istruzione sottolinea di come: «... non si debba scavare ancora di più il solco tra scuola pubblica e privata, ma andare incontro alle famiglie. Lavorare, sempre attraverso il confronto, per fare in modo che le famiglie possano scegliere la scuola dove educare i propri figli.... la scuola è pubblica sempre, anche quando viene svolta da organizzazioni private».
Ha fatto eco alla collega il ministro per la Pubblica Amministrazione e Innovazione, Renato Brunetta, che nel pomeriggio ha partecipato al convegno "Innovazione per la crescita e la qualità della vita" organizzato in occasione della "1° giornata Nazionale dell'Innovazione", al tempio di Adriano a Roma.
Brunetta, prima dell'inizio dei lavori del convegno, ha detto: «Bisogna aumentare le remunerazioni degli insegnanti che sono una risorsa fondamentale del paese. Bisogna aumentare la loro produttività, la loro competenza, il loro capitale umano. Noi dobbiamo avere gli insegnati più bravi e più pagati d'Europa. Attualmente non è proprio così».

 

 

gelminiROMA (11 giugno) - «Dobbiamo pensare a razionalizzare la rete scolastica e a ridurre l'orario, il più alto in Europa, come meccanismo di risparmio, elevando la qualità dell'insegnamento. Inoltre proseguiremo il piano di rientro del personale introdotto dal governo Prodi: non ha senso dividersi sull'istruzione»: lo ha detto il ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini. «Dobbiamo comprendere il valore del ruolo degli insegnanti e restituire loro dignità. E' una sfida - ha aggiunto - molto difficile, ci sono ristrettezze di bilancio molto forti, ma nelle loro mani c'è il futuro dei nostri figli. La soluzione è ridurre il numero degli insegnanti, ma pagarli decorosamente».

Quanto alla parità scolastica Mariastella Gelmini ha ribadito di voler difendere il diritto delle famiglie di poter scegliere l'istituto migliore per i propri figli. «Le risorse - ha detto - sono limitate e andranno distribuite equamente premiando gli istituti migliori, per favorire la concorrenza tra istituti e la trasparenza».

 

 

Scuola  "A salari europei orari di lavoro europei" è questa l'obiezione che si sente fare tutte le volte che si avanza la rivendicazione rivolta a portare entro i parametri europei gli stipendi degli insegnanti italiani

 

 

Gli orari di lavoro degli insegnanti in Europa
29-05-2002

"A salari europei orari di lavoro europei" è questa l'obiezione che si sente fare tutte le volte che si avanza la rivendicazione rivolta a portare entro i parametri europei gli stipendi degli insegnanti italiani. Ma quali sono gli orari di lavoro europei? E quale è negli altri paesi la rappresentazione contrattuale di un orario così difficile da definire quale è quello degli insegnanti?

Non solo lezioni.

Tutti coloro che si occupano di scuola sanno che ricondurre gli orari dei docenti al solo orario di lezione frontale è fuorviante. Esiste infatti un lavoro sommerso di cui da anni si rivendica la visibilità. Se non che tutte le volte che si cerca di codificare un orario, il timore, per non dire il panico, che serpeggia in categoria è che alla codificazione di un orario si accompagni una sua esigibilità tale da comportare un aggravio del peso della funzione docente. Non si tratta evidentemente solo di opportunismi, ma anche della difficoltà di codificare il lavoro docente, lavoro creativo per antonomasia: oltre alla difficoltà di catalogare impegni diversi e che non tutti hanno (pensiamo alla correzione dei compiti, al diverso numero di contatti con i con i genitori, a sua volta causato dal diverso numero di classi o dalla differente importanza attribuita alle discipline), c'è sempre il rischio che il codice registri un compito nuovo da svolgere e ne dimentichi uno già effettivamente svolto.

Questo ha fatto sì che nella storia contrattuale dei docenti italiani si siano assunte soluzioni di compromesso: le 20 ore mensili di gestione oltre l'orario di lezione in vigore nel periodo 1974-1982, le 210 ore annue in vigore dal 1982 al 1988, le 40 ore annue + 40 attualmente in vigore, ma non più comprensive di scrutini e ricevimento parenti.

Impiegati e/o professionisti.

Si trattava e si tratta di soluzioni a metà tra un "utopistico" orario onnicomprensivo e una altrettanto improbabile "età dell’oro" in cui si faceva solo lezione o, se si preferisce, tra una concezione del lavoro docente spesso denunciata come impiegatizia e una sua definizione come lavoro da professionista, qualcuno dice persino da artigiano, che non risponde quindi a vincoli di orario ma di qualità del prodotto.

Una concezione quest’ultima non priva di fascino per la categoria, fin quando non approda, appunto, alla strettoia della valutazione della qualità professionale, con tutti suoi corollari di imprevedibilità, soggettivismo e arbitrio.

E allora ecco che si torna al problema di dover riconsiderare in termini più oggettivi il lavoro e quindi ciò che da Ricardo in poi l’economia classica ha assunto come parametro tra i parametri: il tempo di lavoro.

E. sebbene la critica dell’economia politica abbia messo in luce i limiti e persino le mistificazioni della teoria ricardiana ai fini dell’emancipazione del lavoro salariato, è pur vero che da allora il riferimento all’orario di lavoro costituisce un arnese insostituibile dell’armamentario sindacale per la tutela del rapporto di lavoro.

Può consolarci il fatto che anche negli altri paesi europei questo problema non sia stato del tutto risolto, ma non vi è dubbio che in toto o in parte l’orario di lavoro resta una delle pietre angolari per definire il rapporto di lavoro nella scuola, che resta comunque, nonostante i suoi margini di creatività e autogestione, un lavoro dipendente.

La difficoltà di una comparazione.

Mettendo in relazione i dati rilevati dalla Commissione Europea nel 1996 e quelli dell'inchiesta Aft del 1993, senza per altro escludere qualche incongruenza dovuta allo scarto temporale e soprattutto alla diversità delle fonti, si possono ricavare alcune tabelle.

L'intreccio tra i dati riportati nelle tabelle ci offre comunque tutta la multiformità dei modelli contrattuali esistenti in Europa.

Non si tratta complessivamente di comparazioni facili, perché vi entrano parecchi fattori turbativi quali:

1) la differenza dei calendari scolastici, col diverso numero di settimane di lezione e di lavoro nel corso dell’anno;

2) la differenza dovuta alle unità di lezione;

3) la differente organizzazione oraria tra i diversi ordini di scuola;

4) la differente metodologia di rappresentazione degli orari da un punto di vista contrattuale.

Soprattutto quest’ultimo aspetto merita attenzione. Grosso modo a livello europeo possiamo dire che la rappresentazione del lavoro docente dal punto di vista dell’orario divide quest’ultimo in tre aree:

1) l’orario di lezione,

2) l’orario per gli altri impegni,

3) l’orario contrattuale.

Normalmente la terza è comprensiva, talvolta ampiamente comprensiva, delle prime due e la seconda è aggiuntiva alla prima.

Questa sistemazione tuttavia non è esaustiva perché vi sono sistemi scolastici in cui orario di lezione ed orario contrattuale coincidono oppure anche sistemi in cui oltre le ore di lezione non sono previsti altri compiti e tuttavia vi è un orario contrattuale più ampio di quello frontale.

Inoltre, come si è già detto, vi sono differenze tra i diversi gradi di scuola. Per cui conviene affrontare separatamente gli orari della scuola primaria e quelli della scuola secondaria..

Gli orari di lezione.

Nel merito, per ciò che riguarda gli orari di lezione abbiamo nella tabella 1 un raffronto tra gli orari settimanali dei diversi paesi europei che fa giustizia di alcuni luoghi comuni.

 

 

Tabella n. 1 Gli orari di insegnamento in Europa. (settimanali)

Paese

Scuola Primaria

Scuola Sec. Inferiore

Scuola Sec. Superiore

Austria

20 – 22

20 – 22

20 – 22

Belgio

18 – 24

18 – 20

16 – 18

Danimarca

20 – 21

20 – 21

16 – 17

Regno Unito

24 –30

20 – 24

20 – 24

Finlandia

18

12 – 18

12 – 18

Francia

26 (+1)

21 – 23

15 – 18

Grecia

18

14 – 16

14 - 16

Germania

21

20

18

Irlanda

25

18 – 22

18 – 22

Italia

22 (+2)

18

18

Lussemburgo

27

17,5

17,5

Paesi Bassi

27

24

24

Portogallo

26

26

22

Spagna

25

25

15 – 18

Svezia

20

16

14 – 19

NB. Gli orari qui riportati sono calcolati in ore di 60 minuti. In numerosi paesi questi corrispondono a più spazi di 50 minuti ( Lussemburgo sec., Belgio, Paesi Bassi sec. ), 45 minuti (Danimarca, Finlandia, Germania) e anche 40 minuti (Regno Unito , Svezia)

 

 

La media degli orari di lezione settimanali europei si attesta a 23ore nella primaria, a 20 ore nella secondaria inferiore e a 18 ore e 20 minuti nella secondaria superiore e da questi dati emergono tre conseguenze:

1) gli orari di lezione italiani si discostano di poco da quelli europei;

2) paradossalmente risultano in linea più gli orari "bassi" (secondaria superiore) che quelli "alti" (scuola elementare);

3) bisogna fare attenzione alle diverse scansioni dei cicli: nella maggioranza dei paesi europei per scuola secondaria superiore si intendono solo gli ultimi due o tre anni della secondaria, mentre da noi si intendono gli ultimi cinque.

Gli orari di lavoro della scuola primaria.

Dalla tabella numero 2 balza agli occhi per primo il caso del Regno Unito, almeno per quello che riguarda Inghilterra Galles e Irlanda del Nord ( la Scozia ha un sistema a parte): è l'unico modello che non prevede un orario annuo di lezione, ma solo un orario contrattuale complessivo, anche se vediamo dall'inchiesta Aft che l'orario settimanale di lezione può oscillare tra le 24 e le 30 ore. Sappiamo però che nel caso inglese l'esigibilità dell'orario non fa sconti e quindi anche se non riportato, quello dedicato agli altri compiti oscilla tra le 8 e le 2 ore, a formare un orario complessivo settimanale di 32 ore, che moltiplicato per 39 settimane lavorative copre quasi completamente l'ammontare annuo. Se ne deduce anche che nella settimana lavorativa che non coincide con le lezioni l'orario viene comunque rispettato per intero.

All'estremo opposto si colloca la Germania, la quale non sembra avere invece nessun orario contrattuale complessivo. L'orario tedesco corrisponderebbe esattamente a quello frontale.

 

 

Tabella n. 2 L'orario di lavoro nella scuola primaria europea

Paese

Ore

lez./a.

Ore lez./s.

(*)

Ore altri impegni/a

Orario contratt. Annuo

Giorni di scuola

Settimane di lavoro

Contratt.

Settimane di scuola

Belgio

849

18/24

97

946

182

37

37

Danimarca

750

20/21

 

1680

200

47

40

Germania

840

21

     

46

40

Grecia

656

 

20

1045

175

39

35

Spagna

890

 

205

1230/1537

185

41

37

Francia

910

26

36

972

180

36

36

Irlanda

846

25

   

184

37

37

Lussemburgo

730

 

171

901

212

36

36

Paesi Bassi

988

27

 

1520

200

40

40

Austria

828

20/22

 

1520

180

36

36

Portogallo

875

   

1820

175

45

35

Finlandia

874

18

94

968

190

39 - 47

39

Svezia

617

20

280

897

178

37

36

Regno Unito

 

24/30

 

1265

190

39

38

Scozia

855/950

25

120

1070

190

39

38

Fonte: Eurydice 1996. (*) Aft 1993

 

 

Va notato che su 15 sistemi scolastici, 7 sulla colonna degli orari annuali non sembrano prevedere impegni ulteriori rispetto all'insegnamento, nonostante gli orari contrattuali prevedano un monte ore più ampio, oppure non quantificano questi impegni. Di Inghilterra e Germania abbiamo già detto. Nel caso della Francia sappiamo che la definizione reale dell'orario è formalmente di 27 ore (26 +1 conglobabile nell’arco dell’anno) analogamente a quello che accade nella nostra scuola elementare con le 24 ore che sono gestite a 22+2.

Se è poco chiaro che cosa si faccia effettivamente nel caso in cui per gli altri compiti non è previsto un tempo specifico, è possibile invece sapere quali sono gli altri compiti a cui sono chiamati maestri europei che questo impegno lo hanno dichiarato. In Belgio, Grecia, Spagna e Svezia costituiscono un monte ore obbligatorio disponibile per diverse attività. Le 36 ore francesi sono suddivise in 18 di equipe pedagogica, 12 di conferenza pedagogica e 6 di riunioni di consiglio. In Lussemburgo 18 sono disponibili per diverse attività, 18 per ricevimento parenti e 141 costituiscono il limite cautelativo entro cui si può essere impegnati per sorvegliare gli allievi. In Finlandia 76 ore servono per diverse attività obbligatorie e 18 per la formazione in servizio, mentre le 120 ore scozzesi sono suddivise in 90 per la formazione in servizio e 30 per il ricevimento parenti.

In conclusione sui 15 sistemi presi in esame in 5 l'orario contrattuale corrisponde approssimativamente alla somma dell'orario frontale e dell'orario dedicato agli altri impegni, in due (Germania e Irlanda) combacia con l'orario di lezione, in uno (Regno Unito, esclusa la Scozia) corrisponde a sé stesso e i diversi impegni ne costituiscono solo una variabile, negli altri 7 abbiamo la tripartizione prima descritta: un orario contrattuale ufficiale, che suddiviso formalmente per il numero di settimane lavorative registrato si colloca tra le 25 e le 40 ore settimanali e che comprende un orario frontale di lezione, un orario di impegni collaterali più o meno consistenti, quando sono definiti, e un'area puramente formale, probabilmente a "gestione individuale".

Gli orari della scuola secondaria .

La scuola secondaria mostra un numero maggiore di articolazioni orarie al suo interno. Incidono le differenze tra scuola secondaria inferiore e superiore, e all'interno di quest'ultima tra istruzione generale e istruzione professionale. Ma vi sono anche differenze vistose negli orari annui e settimanali di lezione, differenze che sono riconducibili sia a modulazioni periodiche dell'orario, sia differenti orari per le differenti materie: vi sono paesi, come la Francia ad esempio, dove gli orari frontali sono differenti a seconda che l'insegnante sia di materie artistiche o tecniche piuttosto che generali oppure di educazione fisica, senza contare gli orari diversi a seconda dei diversi inquadramenti professionali di carriera.

 

 

Tabella n. 3 L'orario di lavoro nella scuola secondaria inferiore europea

Paese

Ore

lez./a.

Ore lez./s.

(*)

Ore altri impegni/a

Orario contratt. Annuo

Giorni di scuola

Settimane di lavoro

Contratt.

Settimane di scuola

Belgio

667/728

18/20

 

728

182

37

37

Danimarca

750

20/21

 

1680

200

47

40

Germania

690/840

20

     

46

40

Grecia

472/551

 

30

721/1170

175

39

35

Spagna

623

25

492

1230/1537

180

41

37

Francia

630

21/23

 

630

180

36

36

Irlanda

648/792

18/22

 

792

180

37

37

Lussemburgo

501/648

 

36

648

212

36

36

Paesi Bassi

912

24

 

1520

200

40

40

Austria

720/828

20/22

 

1520

180

36

36

Portogallo

490/770

   

1820

175

45

35

Finlandia

798

12/18

94

892

190

39 - 47

39

Svezia

570/617

16

280

897

178

37

36

Regno Unito

 

20/24

 

1265

190

39

38

Scozia

950

23

120

1070

190

39

38

Fonte: Eurydice 1996. (*) Aft 1993

 

 

Gli orari frontali diminuiscono sensibilmente rispetto alla primaria e il fenomeno si accentua nella secondaria superiore di carattere generale, meno in quella di carattere professionale.

Anche gli orari dedicati ad altri compiti diminuiscono. Guardando la colonna degli orari annui dedicati ad altri impegni, su 15 sistemi sono 9 quelli che non prevedono un orario destinato a questo scopo. Comunque a quelli già individuati, che non sembrano imporre ai loro insegnanti orari quantificati diversi da quelli di lezione, si aggiungono nella scuola secondaria la Francia e il Belgio.

A colpo d'occhio si ha subito l'impressione che il fatto che gli insegnanti della secondaria "lavorino meno" sia un fenomeno europeo e non solo italiano. Vi sono casi, come il Lussemburgo dove a fronte di una diminuzione frontale di circa 250 ore annue, spariscono anche 141 ore di sorveglianza alunni.

Al contrario vi sono paesi dove si registrano aumenti di ore, soprattutto di quelle dedicate agli altri compiti: è il caso della Grecia e della Spagna. In quest'ultimo caso il fatto sembra dovuto al tentativo di mantenere costante l'orario contrattuale e il rapporto tra questo e quello effettivamente esigibile.

Complessivamente sono 7 gli orari contrattuali che non mostrano modificazioni tra primaria e secondaria ( tra questi l'ineffabile Regno Unito) e uno che non mostra differenze tra primaria e secondaria inferiore: si tratta della Svezia che è anche l'unico paese in cui cresce l'orario contrattuale, e in qualche caso anche quello frontale, nel passaggio alla secondaria superiore.

Questo conferma l'idea che il modello di rappresentazione oraria prevalente è quello concentrico costituito da un orario ufficiale "largamente comprensivo" dell'orario frontale e degli altri impegni, laddove ci sono. Negli altri casi si riproduce quanto già detto per la primaria con un solo modello ad orario assolutamente onnicomprensivo, il Regno Unito, e altri praticamente col solo frontale.

 

 

Tabella n. 4 L'orario di lavoro nella scuola secondaria superiore europea

Istruzione generale

Istruzione professionale

Paese

Ore

Lez./a.

Ore lez./s.

(*)

Ore altri impegni/a

Orario contratt. Annuo

Ore

lez./a.

Orario contratt. Annuo

Belgio

607-667

16-18

 

667

607-1001

1001

Danimarca

750

16-17

 

1680

750

1680

Germania

690/840

18

   

690/840

 

Grecia

472/551

 

30

721/1170

472/551

721/1170

Spagna

623

15/18

492

1230/1537

623

1230/1537

Francia

625-630

15-18

 

630

625-630

1365

Irlanda

648/792

18/22

 

792

756-828

828

Lussemburgo

501/648

 

36

648

501/648

648

Paesi Bassi

912

24

 

1520

912

1520

Austria

720

20/22

 

1520

720-828

1520

Portogallo

420/700

   

1820

880-1000

1820

Finlandia

760

12/18

94

854

855

1650-1950

Svezia

498-640

14-19

280

920

498-640

920

Regno Unito

 

20/24

 

1265

   

Scozia

950

23

120

1070

   

Fonte: Eurydice 1996. (*) Aft 1993

 

Testimonia l'impostazione il fatto che gli stessi 7 sistemi scolastici di cui sopra, con l'aggiunta della Grecia, hanno un orario contrattuale annuo che supera le mille ore.

La cosa si riproduce in maniera più vistosa nell'istruzione professionale dove l'orario contrattuale supera le mille ore in 9 casi su 13 (i sistemi del Regno Unito non distinguono tra istruzione professionale e istruzione generale). Nella stessa istruzione professionale, dove mancano i dati circa le ore dedicate ad altri compiti ovvero dove si può presumere che queste siano uguali a quelle previste nella secondaria superiore generale, le ore frontali rimangono le stesse dell'istruzione generale solo nella metà dei casi e le ore contrattuali in 8 casi su 13.

Allo stesso modo non si può dire che la scuola europea richieda un impegno degli insegnanti anche nei periodi di vacanza degli alunni: in 9 casi su 15 le settimane di lavoro si identificano con quelle di scuola o le sopravanzano di una sola settimana, giusto il tempo per fare gli scrutini, verrebbe da dire, o per preparare la riapertura delle scuole, l'accoglienza ecc.. E in un decimo caso, la Finlandia, la rilevazione è ambigua, come se ci fossero due orari, uno "industriale" ufficiale e uno "scolastico " reale. In due casi, Grecia e Spagna, le settimane di lavoro oltre l'orario scolastico arrivano a quattro. Solo tre paesi, Danimarca, Germania e Portogallo prevedono un calendario lavorativo di tipo "industriale", che però nel caso tedesco non è neppure suffragato da un adeguato monte ore.

 

 

 

 

Stima della prestazione oraria media annua degli insegnanti italiani

1. Viene considerato il periodo di attività lavorativa settembre-giugno (prima decade di luglio per le superiori)

2. La prestazione oraria è considerata media nei vari settori e tra le diverse classi di concorso


Prestazioni orarie stimate

materna

Elementare

Media

Superiore

orario frontale settimanale

25

24

18

18

settimane di insegnamento

36

33

33

33

a) orario frontale annuo

900

792

594

594

b) collegio docenti

40

40

40

40

c) consigli classe/interclasse

12

12

20

12

d) assemblee e ricevimento genitori

10

20

20

20

e) scrutini e valutazione periodica

0

15

30

20

f) esami

0

15

20

40

ore settimanali preparazione lezioni

6

6

6

6

settimane di preparazione

35

32

32

32

g) preparazione lezioni (*)

210

192

192

192

ore settimanali correzione elaborati

0

5

6

6

settimane di correzione

0

32

32

32

h) correzione elaborati (*)

0

128

160

160

i) partecipazione attività aggiornamento (*)

20

30

20

20

l) impegni istituzionali (*)

10

10

10

10

Orario annuo

1.202

1.286

1.138

1.140

media settimanale (1 sett/30 giugno)

32

34

30

30

media mensile (settembre – giugno)

120

129

114

114

 

(*) stima

 

 

 

 

 

 

VARI PAESI EUROPEI A CONFRONTO RISPETTO AI SALARI CHE CORRISPONDONO AI DOCENTI (ANNO 2000)

 

 

PAESE

 

INIZIALE

 

PORTOGALLO

 

$16.429

 

SCOZIA

 

$19.658

 

GRECIA

 

$19.871

 

SVEZIA

 

$20.052

 

FINLANDIA

 

$20.149

 

ITALIA

 

$21.108

 

NORVEGIA

 

$21.498

 

FRANCIA

 

$22.579

 

INGHILTERRA

 

$22.661

 

AUSTRIA

 

$22.920

 

IRLANDA

 

$23.303

 

OLANDA

 

$25.762

 

DANIMARCA

 

$27.816

 

SPAGNA

 

$29.547

 

GERMANIA

 

$35.177

 

 

 

 

 

  tabella1

 

PAESE

 

CON 15 ANNI

GRECIA

 

$24.337

 

SVEZIA

 

$25.766

 

ITALIA

 

$25.773

 

NORVEGIA

 

$25.877

 

PORTOGALLO

 

$26.288

 

FINLANDIA

 

$29.127

 

FRANCIA

 

$29.615

 

AUSTRIA

 

$30.635

 

SCOZIA

 

$32.679

 

SPAGNA

 

$34.547

 

IRLANDA

 

$36.151

 

INGHILTERRA

 

$38.010

 

DANIMARCA

 

$40.934

 

GERMANIA

 

$43.307

 

OLANDA

 

$43.820

 

 

tabella2

 

PAESE

 

MASSIMO

 

NORVEGIA

 

$27.919

 

SVEZIA

 

$28.915

 

GRECIA

 

$29.165

 

FINLANDIA

 

$30.990

 

SCOZIA

 

$32.679

 

ITALIA

 

$33.115

 

IRLANDA

 

$40.708

 

DANIMARCA

 

$40.934

 

FRANCIA

 

$42.697

 

SPAGNA

 

$44.053

 

GERMANIA

 

$47.923

 

PORTOGALLO

 

$47.975

 

AUSTRIA

 

$50.220

 

OLANDA

 

$51.956

 

INGHILTERRA

 

$52.023

 

 

 

 

tabella3

 

 

NUMERI BUGIARDI

RELATIVI AL RAPPORTO DOCENTI ALUNNI NELLA SCUOLA ITALIANA A CONFRONTO CON ANALOGO RAPPORTO IN ALTRI PAESI EUROPEI

 

 

Tab.1 - Rapporto alunni/personale docente per livello di istruzione

 

 

 

 

Prescolare

 

Primaria

Secondaria

 

 

Germania

24,4

19,6

16,4

 

Danimarca

 

10,8

11,1

9,6

 

Inghilterra

 

28,1

21,2

15,5

 

Belgio

17,5

13,0

6,7

 

Francia

25,8

20,2

14,0

 

Norvegia

-

10,6

8,3

 

Spagna

21,5

18,8

15,3

 

Italia

 

11,8

 

10,5

 

9,0

 

 

Media paesi OCSE

 

20,2

 

17,4

 

13,8

 

 

Fonte: OCSE 1995

 

 

 

 

 

 

Tab.2 - Ore annue di scuola nei paesi europei

 

 

 

Paese

Elementari

Medie

Superiori

 

 

 

Minimo

Massimo

Minimo

Massimo

Minimo

Massimo

 

Germania

564

564

790

959

846

1.015

 

Inghilterra

840

893

931

931

935

935

 

Francia

846

846

842

990

957

1.039

 

Spagna

810

810

898

1.059

930

1.027

 

Italia

 

900

 

1.200

 

933

 

1.266

 

767

 

1.333

 

 

Media Europea

 

713

 

801

 

866

 

965

 

855

 

1.011

 

 

 

"Secondo le Nazioni Unite l'Italia è al quinto posto, dopo Svezia, Olanda Germania, Norvegia, tra i 17 paesi a più alto livello di sviluppo della condizione umana, per litercy, cioè grado di alfabetizzazione"

 

 

 

 

 

Fonte: Eurostat ed Eurydice, elaborazione Italia Oggi

 

 

 

E' ormai diventato un tormentone, ogni volta che si accende una fase contrattuale per gli insegnanti, la stampa padronale tira fuori i dati sul rapporto numerico tra alunni e insegnanti che sarebbe il più basso del mondo e questa sarebbe la ragione dei bassi stipendi degli insegnanti italiani. Si sono distinti sul tema recentemente L'economista Baldassarri sul Messaggero e Andrea Casalegno su  Il sole 24 ore, citando e ricitando che in Italia vi è un insegnante ogni 10 alunni (vedi tab.1). E' quindi importante chiarire a costoro ed ai lettori non addetti ai lavori quale realtà c'è dietro a questo dato.

 

1) Tempo Pieno - Lor signori ignorano, o fingono di ignorare, che in Italia la scuola dell'infanzia è una scuola a tempo pieno (8 ore al giorno) e che quindi il numero degli insegnanti è esattamente il doppio (78.000 insegnanti invece di 39.000) dei paesi nei quali i bambini fanno solo 4 ore di scuola al giorno. Ignorano che il numero di bambini per classe spesso è superiore ai 28 e che la media nazionale è di 23,4 bambini per classe, e si parla di bambini dai tre ai sei anni che vanno seguiti ed educati individualmente anche nelle loro funzioni più elementari dal gioco agli apprendimenti, dal mangiare ad andare al bagno. Fingono di ignorare che nel nostro paese le maestre si trovano da sole in questo turbinio di bambini mentre nella maggior parte dei paesi vengono coadiuvate da Assistenti che non appaiono mai, nelle statistiche, tra il Personale docente. Sempre lor signori fingono di ignorare che anche nella scuola elementare più del 35% delle classi funziona a Tempo Pieno (altri 70.000 insegnanti in più rispetto ad un tempo normale) e che anche nella scuola media inferiore una consistente percentuale di classi funziona a tempo prolungato. E, come chi scrive di scuola dovrebbe sapere tempo pieno e tempo prolungato non sono soltanto la risposta ad un bisogno sociale in espansione e incomprimibile delle famiglie, ma sono anche il frutto di una elaborazione politica e pedagogica dai risultati avanzatissimi in Italia.

 

2) Integrazione delle persone portatrici di Handicap-Nei dati della tabella 1 non si da conto di come avviene l'integrazione dei bambini e giovani portatori di Handicap nella scuola. Sono 54.000 gli insegnanti di sostegno che in tutti gli altri Paesi non vengono conteggiati perché non esistono. O perché, come in Germania, l'integrazione non la si tenta nemmeno emarginando i bambini portatori di handicap in strutture parasanitarie, dai costi elevatissimi, e il cui personale appartiene ad amministrazioni non scolastiche, o perché, come in Francia, il disagio scolastico viene affrontato con un organico di 280.000 operatori sociali (psicologi, assistenti sociali, psicopedagogisti, orientatori) che, pur lavorando con le scuole, appartengono ad altre amministrazioni e che in nessuna statistica verrebbero arruolati tra il personale docente. Certo, molti preferirebbero una situazione alla tedesca che rimpinguerebbe le casse degli istituti di ricovero pagando rette ospedaliere per gli oltre 200.000 bambini portatori di handicap che frequentano la scuola italiana. Oppure la situazione francese che darebbe spazio a non poche figure professionali cosiddette sociali a cui affidare i compito di riparare i 'cocci' fatti in classi affollate e anomizzate durante il lavoro scolastico. Ma l'integrazione scolastica italiana è una scelta di civiltà che molti paesi ci invidiano sia per l'efficacia che per il costo ridottissimo, ma ha il "difetto" di gravare interamente sul bilancio della scuola.

 

3) Tempo scuola -Certo, questi signori presumibilmente pagati per occuparsi di scuola, quelli di 10 alunni per un insegnante, potrebbero impegnarsi un po’ di più; se avessero sfogliato le loro fonti attentamente, avrebbero trovato qualche pagina più avanti la tabella sulle ore di scuola degli alunni europei (vedi tabella 2), nella quale si documenta non solo che l'orario massimo degli studenti italiani è il 30% di più di tutti gli altri (grazie come si è già detto soprattutto al Tempo Pieno) ma anche gli orari minimi superano di gran lunga (dal 15 al 25%) della media dei paesi europei e rispetto alcuni paesi il tempo scuola è addirittura il doppio. Questo significa semplicemente che nella scuola italiana gli studenti e gli alunni stanno molto più a lungo, che forse è una scuola più attenta ai tempi ed ai ritmi di apprendimento dei giovani ai loro bisogni ad una crescita armonica dell'intera personalità.

 

4) Funzione docente - Inoltre, per maggiore informazione, bisogna tener presente la singolare situazione degli insegnanti in Italia. Ci sono sistemi scolastici nei quali più del 50% del personale della scuola non è formato da docenti, in particolare ci sono stati nei quali il docente è al centro di una costellazione di figure professionali che a volte raggiungono il numero di 8. Si tratta di bibliotecari, operatori tecnologici, tecnici per vari tipi laboratori, lettori, etc. che svolgono compiti funzionali all'insegnamento senza essere insegnanti. In Italia zero via zero non esiste nel nostro paese un ruolo di bibliotecario scolastico, e quando un bibliotecario c'è si tratta, ancora, di un insegnante che ha cambiato servizio per ragioni di salute. Invano da 10 anni i COBAS chiedono l'assunzione di almeno un bibliotecario e di un tecnico di laboratorio informatico ogni scuola (30.000). In tutta la scuola dell'obbligo non esiste un responsabile per nessun tipo di laboratorio, e ancora sono gli insegnanti, in orario aggiuntivo, che gestiscono i pochi laboratori esistenti. Nelle scuole superiori in cui esistono le figure degli Insegnanti Tecnico Pratici questi sono a tutti gli effetti degli insegnanti e il loro agire in compresenza con gli insegnanti di teoria costituisce una scelta lungimirante sul piano sia didattico che scientifico. Gli insegnanti "tuttofare" in Italia anche da questo punto di vista non sono troppi ma pochi. 

 

Come si vede il basso numero di alunni per insegnante è l'esito di varie e diverse politiche messe in atto in seguito ad una formidabile stagione di lotte che vedeva la scuola al centro dell'attenzione del paese e dello stesso movimento operaio. Politiche che avevano costantemente l'obiettivo di realizzare l'articolo 3 della Costituzione: "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Nella piattaforma dei COBAS per lo sciopero del 16 ottobre viene ribadito l'obiettivo dei 20 alunni per classe come elemento fondante di una scuola di qualità mentre la pratica dei governi, dal 90 ad oggi, attraverso autonomia e dimensionamenti ha realizzato il gonfiamento delle classi fino a 30 studenti ed oltre per liberare le risorse necessarie alla costruzione della gerarchia di capetti che affiancheranno il preside più caporale che manager.

 

Piero Castello e Mauro Giordani

 

 

 

 

 

Aggiungo io una nota relativa ai giorni di lezione nei vari Paesi europei. Nelle varie indagini che mettono a confronto tali giorni non si tiene mai conto almeno di un fatto: l'Italia è l'unico Paese europeo in cui i conteggi forniti dal nostro Ministero non considerano come giorni di lezione quelli necessari alle prove di valutazione.

 

 

 


 

 

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Soddisfazioni morali
Agli insegnanti più che i soldi manca l'orgoglio del proprio ruolo

di Sergio Belardinelli 11 Giugno 2008

 


Ieri sera, a “otto e mezzo”, il Ministro Gelmini ha fatto sicuramente un figurone. Niente proclami, nessuna ideologia, molto pragmatismo e, soprattutto, buon senso. E’ questo che ci vuole per la scuola italiana, specialmente se si vuole davvero tirarla fuori dalle secche nelle quali è impantanata da anni.
Il merito, tanto per fare un esempio, pare che stia guadagnando il primo posto nella martoriata scala dei valori del nostro sistema educativo; si sottolinea altresì che lo stipendio degli insegnanti è scandalosamente basso rispetto agli altri paesi europei, lasciando trapelare l’idea di ridurne il numero pur di pagarli in modo un po’ più decente. Complimenti Ministro e tanti auguri per il suo non facile lavoro.
Se mi è consentito un piccolo appunto, vorrei tuttavia richiamare l’attenzione su un aspetto che riguarda la diffusa frustrazione dei nostri insegnanti. Giustamente anche nella trasmissione di ieri sera si è fatto notare come questa dipenda dalla scarsa considerazione sociale di cui essi godono. E il basso stipendio ne è una prova. Dubito tuttavia che riusciremo ad arginare questa piaga aumentando semplicemente gli stipendi. Spero di sbagliarmi, ma spesso sembra che la malattia del nostro corpo docente abbia a che fare soprattutto col fatto che gli insegnanti per primi non credono più nel ruolo che hanno. Si sono come arresi a un andazzo che ha fatto di tutto per svuotare di ogni significato le relazioni educative in quanto tali. E invece ci vorrebbe da parte loro una vera e propria impennata d’orgoglio.
Una mia zia, insegnante di scuola elementare, era solita reagire alle difficoltà del suo mondo, esprimendo ogni volta con un sospiro una sorta di incrollabile certezza: “quei ragazzini e le loro famiglie hanno bisogno di noi”. Ne andava fiera; sapeva di essere mal pagata e di operare in un contesto difficile; ma sapeva anche che il suo lavoro non era come tutti gli altri; ne avvertiva la responsabilità e, soprattutto, il privilegio.
Ecco su che cosa bisognerebbe forse battere un po’ di più. Anche i “ragazzini” e le famiglie di oggi hanno infatti bisogno di uomini colti, capaci di mettersi al servizio degli altri e che sentano il loro ruolo come un motivo di soddisfazione davanti a stessi. Un privilegio, appunto.

 

 

 

 

 

I punti chiave del programma del ministro


ROMA (10 giugno) - Merito, valutazione e autonomia i principi guida del programma della Gelmini per la scuola. Ecco i punti chiave. Via la logica centralistica. Secondo la Gelmini è necessario superare una «vecchia e deleteria» logica centralistica che non tiene conto delle specificità sociali e territoriali. Il nuovo ruolo delle Regioni, sancito dal titolo V della Costituzione e da definire compiutamente nell'attuazione della legge Moratti, così come il necessario rafforzamento dell'autonomia scolastica, devono costituire una sorta di federalismo all'insegna della sussidarietà.
Prof con contratto ad hoc. Rivalutazione del ruolo dei docenti, a partire dal pieno riconoscimento del loro status professionale che non può essere confuso con chi nella scuola ricopre altri ruoli. Quindi, contratto separato per la categoria e la previsione di una carriera. sul tema necessità di adeguare gli stipendi degli insegnanti italiani alla media Ocse.
Autonomia singole scuole.  La Gelmini vuole valorizzare la governance degli istituti, dotarla di poteri e risorse adeguate e puntare sulla loro valutazione che va fatta varando un sistema avanzato che certifichi, in trasparenza, come e con quali risultati viene speso il denaro pubblico.
Parità scolastica. Sia le scuole dello Stato che quelle paritarie gestite da privati svolgono un servizio pubblico. Va assicurata la libertà di scelta delle famiglie. Gelmini non anticipa come raggiungere l'obiettivo anche se suggerisce di valutare le soluzioni promosse dai governi regionali più sensibili al tema.
Da licei agli istituti professionali tutti in serie A. Tutta la scuola superiore va portata in serie A, dice Gelmini, sottolineando come gli istituti tecnici siano lo «zoccolo duro» dei nostri laureati in ingegneria. Per la formazione professionale, va seguito l'esempio di Regioni che hanno costruito un sistema di grande qualità creando permeabilità tra mondo della scuola e mondo del lavoro.
Ritorna l'educazione civica. Nel 50esimo anniversario dell'introduzione dello studio dell'educazione civica nelle scuole da parte di Aldo Moro, la Gelmini sottolinea la necessità di restituire alla materia «un ruolo centrale».
Tolleranza zero contro il bullismo. Il ministro promette che non saranno più tollerati gli atti che non rispettino i compagni, gli insegnanti e le strutture. In arrivo norme più severe.

 


 

 

 

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Scuola, più soldi agli insegnanti: il refrain 

mercoledì 11 giugno 2008 
di Fulvio Lo Cicero

 


È come “cuore” che fa rima con “amore”. Non c'è canzone neomelodica che non la contenga. E allo stesso modo, quando un neoministro dell'istruzione - in questo caso la neoministra Gelmini - assume l'incarico declama la tradizionale rima, anzi lo slogan “Più soldi agli insegnanti!”.
“Il salario degli insegnanti italiani è sotto la media europea!”. “Bisogna ridare dignità a questa fondamentale professione”. “La scuola è luogo prioritario per lo sviluppo della società”. Queste, in genere, le dichiarazioni. Chi segue le vicende della scuola italiana potrebbe riempire decine di file con le buone intenzioni non solo dei neoministri, ma anche dei neopresidenti del consiglio, dei neopresidenti della Repubblica.
Tutte fandonie. Ad oggi, a dichiarazioni di questo genere non è mai seguita un'azione concreta per convogliare maggiori risorse verso il sistema pubblico dell'istruzione. Al contrario: in venti anni, tenendo conto del valore della moneta, gli impieghi finanziari nel settore sono fortemente diminuiti. I salari dei principali attori della formazione - gli insegnanti - si sono fortemente svalutati in termini reali, a fronte di una generale crescita degli stipendi di altre categorie di laureati della pubblica amministrazione, come medici, avvocati, magistrati, dirigenti di alta e media fascia. Con la scusa che gli insegnanti sono tanti (quasi ottocentomila), si giustificano aumenti di stipendio irrisori (circa cinquanta euro al mese lordi nell'ultima tornata contrattuale, che vuol dire trentacinque euro netti). La neoministra fornisce le cifre: con quindici anni di anzianità, un insegnante italiano guadagna 27.500 euro lordi all'anno; un suo collega tedesco o finlandese supera i 40 mila. L'ipocrisia politica si spinge al punto di dire: per pagare meglio gli insegnanti deve diminuire il loro numero, ben sapendo che la conformazione del nostro Paese non consente tale azione (per diminuire il numero degli insegnanti dovrebbero scomparire le numerose scuole di montagna esistenti e i loro studenti dovrebbero essere “deportati” a valle). Ed allora, le cose rimangono come prima e i neoministri se la cavano con un'alzata di spalle.
Ma prima di questa alzata di spalle sarebbe bene rendersi pienamente conto dello sfascio in cui versa attualmente l'istituzione scolastica. Almeno per sollevare le spalle in modo più consapevole. Come tutte le istituzioni economiche (per quanto no-profit), in assenza di investimenti in capitale umano, la scuola è degradata a settore marginale sul mercato del lavoro. A parte i laureati nelle discipline umanistiche (che possono considerare l'insegnamento uno sbocco lavorativo naturale), in generale, qualsiasi neo-laureato in materie scientifiche, economiche, giuridiche considera l'insegnamento quale destinazione non profittevole. Un impiego in altri settori pubblici o nelle professioni liberali è sicuramente più remunerativo. Conseguentemente, l'insegnamento è oramai diventata una scelta di ripiego, che peraltro assorbe i laureati meno brillanti, quando invece dovrebbe essere esattamente il contrario: una scelta prestigiosa per le intelligenze migliori.
Nello stesso tempo, sono del tutto assenti o trascurabili gli investimenti in infrastrutture, nella ricerca (perché la scuola dovrebbe essere anche un luogo di ricerca), nel miglioramento delle conoscenze e perfino nelle sperimentazioni.
Così continua il fasullo refrain di inizio mandato per qualsiasi neo-ministro, che oramai è però un ritornello senza “amore”. Ed anche senza “cuore”.
 




SCUOLA: CISL, NO A RIDUZIONE INSEGNANTI MA PAGARLI DECOROSAMENTE

 

(ASCA) - Roma, 11 giu -

''Le dichiarazioni odierne del Ministro Gelmini ai microfoni di Radio Monte Carlo ed in particolare l'affermazione di una sbrigativa 'soluzione' alla questione docente 'ridurre il numero degli insegnanti, ma pagarli decorosamente', ridimensiona pesantemente l'annunciato proposito nell'audizione parlamentare di ieri di adeguare ai livelli europei gli stipendi 'da fame' degli insegnanti italiani, che pur aveva suscitato motivato consenso e promettenti aspettative''. E' quanto si legge in uan dichiarazione di Francesco Scrima, segretario generale della Cisl Scuola.
Scrima ha ribadito che ''e' improponibile che le risorse necessarie al miglioramento della condizione retributiva degli insegnanti debbano essere frutto di inaccettabili operazioni di 'cannibalismo professionale' e di tagli selvaggi condotti all'insegna di criteri ragionieristici che mettono seriamente a rischio la qualita' dell'offerta formativa e l'esercizio del diritto allo studio''. Ecco perche' l'esponente della Cisl Scuola ha rifiutato drasticamente ''la trasposizione alla scuola dello slogan di un noto programma televisivo 'meno siamo, meglio stiamo'''.
Concludendo: ''E' una ricetta sbagliata: meno scuola e meno insegnanti significa meno istruzione e meno formazione''.

 

 

Comment, comment!!

 

Certo, l'intervento alla Camera dei deputati del ministro Gelmini appare improntato a un certo garbo, niente a che vedere col "punto e a capo" di Letizia Moratti. Ma temo che le analisi e soprattutto le proposte non si discostino molto da quelle avanzate nel quinquennio 2001/2006.
1. La fotografia dell'esistente. L'intervento cita in primo luogo i dati Ocse ( "i ragazzi italiani sono tra i più impreparati d'Europa"). Si parla anche dei dati Pirls Iea che ci dicono che da piccoli (sono dati relativi alla fascia di età dei nove anni) i ragazzi italiani non se la cavano poi così male. Forse se la relazione del Ministro fosse stata arricchita dalla consultazione di quel Quaderno bianco sull'istruzione- settembre 2007-, prezioso lavoro realizzato nella scorsa legislatura dal Ministero dell'economia e finanze e dal Ministero della pubblica istruzione, se ne poteva trarre qualche idea in più sul da fare.
In quel quaderno si sottolinea non solo la differenza dei risultati tra nord e sud d'Italia, ma anche la differenza  tra le singole scuole (anche di uno stesso indirizzo) che rivela "un sistema poco equo, dove è accentuata la concentrazione degli studenti con situazione socioeconomica meno favorevole e la connessa segmentazione delle scuole secondo la qualità." In altri tempi si sarebbero chiamate scuole ghetto, ma non sarebbe elegante dato l'ovattato clima generale.  Ma valorizzare il merito non significa garantire a tutte e tutti pari opportunità o meglio mettere tutte e tutti in grado di gareggiare? Che ne avrebbe detto Abravanel, citato dal ministro?
2. La formazione permanente. Sempre nel quaderno bianco  si rileva  che al Sud dove i risultati dei ragazzi sono peggiori "rimane assai elevato il grado di analfabetismo funzionale della popolazione adulta... e  si conclude che  "forti sono le ripercussioni negative di questo fenomeno anche sulla qualità e quantità di istruzione dei figli". Dispiace allora non trovare nella relazione del Ministro nessun impegno a favorire e sviluppare sempre di più una rete di educazione per gli adulti (la partecipazione degli adulti all'apprendimento permanente è solo del 7% in ogni area del Paese).
E appare davvero singolare che in questa fotografia non ci sia lo sfondo: quello di un Paese dove cresce quell'illetteratismo (adulti che, pur avendo alle spalle un lungo percorso di studio, padroneggiano male le competenze di base: leggere , scrivere, far di conto) di cui ormai tutto il mondo si preoccupa, dalla Francia agli Stati Uniti, alla civile Svizzera. Di fronte all'enormità della questione basta quello scatto di orgoglio nazionale di cui il Ministro parla o ci sono scelte precise da compiere?
3. Obbligo d'istruzione e dispersione scolastica. "L'indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di uccidere le propensioni individuali per pretendere, ope legis, che ogni adolescente percorra la stessa strada è la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e la dispersione" dice il Ministro. Certo elevare l'obbligo di istruzione è stata ed è una sfida per la scuola: deve significare ripensare all'intero percorso curricolare dai tre ai sedici anni. Deve significare cambiare profondamente la scuola secondaria, il suo sapere, la sua organizzazione, il suo rapporto con la cultura e il lavoro. Ma di questo non c'è traccia nell'intervento del Ministro tranne una dichiarazione generica (pari dignità a ogni indirizzo della scuola superiore). Piuttosto la ricetta pare quella di sempre: l'obbligo d'istruzione, ma solo per alcuni, nella formazione professionale. Che anch'essa registra dati preoccupanti di uscita dal sistema. Infine nessun accenno alla scuola dell'infanzia, luogo fondamentale per la lotta alla dispersione.
4. Gli insegnanti motori del cambiamento. Belle parole quelle sugli insegnanti. "Sono pagati poco, continua quel patto tra stato e insegnanti all'insegna del ti pago poco e ti chiedo poco. Ci sono delle straordinarie eccellenze, e così via."  Il ministro sostiene che "in questa legislatura bisogna adeguare gli stipendi degli insegnanti alla media dell'Ocse " Certo, si lascia intendere che per pagare di più gli insegnanti occorrerà limitarne il numero. Già peraltro ampiamente ridotto negli scorsi anni. Altro che scuola come ammortizzatore sociale! E anche su questo tema il quaderno bianco ha dimostrato che gli insegnanti italiani non sono troppi rispetto a quelli europei, data la peculiarità del sistema italiano.
Mi piacerebbe che si chiarisse allora se si continuerà a tagliare sulle esperienze di qualità: dal tempo pieno, all'integrazione dei soggetti con disabilità (relegati in poche righe dell'intero testo), ai mediatori culturali e così via. Mi piacerebbe che si chiarisse se si andrà o no, come suggerisce appunto il quaderno bianco, alla definizione dell'organico funzionale (quei docenti che permettono l'organizzazione e la gestione dell'autonomia scolastica). Perché in assenza di questo si torna a un'idea di autonomia solo come managerialità dei dirigenti scolastici.
5. Formazione e reclutamento. E infine mi piacerebbe che si chiarissero le intenzioni rispetto alle politiche sulla formazione e sul reclutamento. 
Tace il Ministro sul disegno di legge presentato dalla presidente della commissione Valentina Aprea sul reclutamento e sullo stato giuridico degli insegnanti e solo in altra parte del testo lascia intendere che attuerà i decreti della legge Moratti tra cui appunto quello sulla formazione e reclutamento insegnanti. Aleggia, non esplicitato il tema della chiamata diretta degli insegnanti da parte delle scuole.  In tutto l'intervento colpisce il silenzio assordante sul piano triennale di immissioni in ruolo dei precari. Scomparsi, cancellati. Loro, le loro speranze e le loro famiglie. E suona perciò un po' grottesco l'impegno del Ministro ad avviare soluzioni condivise.  
E mi chiedo se nelle cause dell'iniquità del sistema ( mediocre nell'erogazione dei compensi...) di cui parla Gelmini non ci sia anche la sua resa, come già nei governi precedenti, al "contenimento della spesa nel settore scuola, perché i conti dello Stato e la situazione internazionale lo impongono".
6. Sussidiarietà e sistema scuola. Ma il tema profondo che percorre l'intera      relazione del Ministro è che la scuola è un servizio a domanda individuale , anche il tema della parità viene declinato con grande perentorietà in questo senso. "Un sistema pubblico di istruzione che fondi sul principio di sussidiarietà forme di pluralismo educativo è la risposta alle esigenze di istruzione e formazione del cittadino". Mi pare che in questo modo si metta in discussione con assoluta leggerezza un principio costituzionale. Quello dell'art.33: La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Analoga richiesta fu fatta da Giovanni Paolo II in occasione delle elezioni del 2001 quando invitava a risolvere i problemi relativi alla parità scolastica, disoccupazione, ecc. "superando vecchie concezioni statalistiche per procedere alla luce del principio di sussidiarietà" (Corriere della Sera, 18 maggio 2001).
Non propone riforme  il ministro Gelmini, ne farà il meno possibile, assicura, le faranno per lei Tremonti e Berlusconi. Il Ministro  guarda invece alle soluzioni regionali, come quella lombarda, di buono scuola che oltretutto, sostiene, farebbe risparmiare soldi allo Stato.  Nello sfondo, minaccioso quel federalismo fiscale che metterebbe in discussione proprio i profili nazionali del sistema scolastico e del sistema sanitario. La sostanza di tutto il discorso mi sembra questa. La destrutturazione del sistema pubblico nascosta, e nemmeno tanto, da annunci senza indicazioni, nemmeno di massima, su come realizzarli: soldi agli insegnanti, merito, autonomia, valutazione e così via.
Insomma la mitezza dei toni non impedisce di cogliere il rilancio da parte della Gelmini di un modello di organizzazione del sistema formativo caro alla destra italiana. Apertura più forte al trasferimento di risorse all'istruzione privata, magari attraverso la mediazione di leggi regionali;  più marcata differenziazione dei percorsi per sgombrare la strada verso la formazione di isole di eccellenza dal peso  dell'istruzione superiore aperta a tutti; contenimento del numero degli insegnanti, emarginazione delle  esperienze di qualità, integrazione, tempo pieno e così via. Un percorso così orientato, in una situazione di evidente affanno del sistema scolastico italiano, che avrebbe bisogno di una forte iniezione riformatrice, rischia se non contrastato di aggravare la malattia e di produrre danni di lungo periodo. Ai singoli e al Paese.
  

EmbarassedWinkLaughing

 

 


 

 

E’ Solo Una Provocazione Quella Di Brunetta o Sotto Sotto…

 

Non ce l’ho più di tanto con Brunetta, ma quando si atteggia a fare “il piccolo dittatore” non riesco a nascondere la mia irritazione…
Qualche tempo fa scrissi una sorta di filippica contro i sindacati, parlando della mia esperienza personale che è stata gratificante e sgradevole nello stesso tempo: troppi personalismi e troppa lotta intestina. Non mi sono permesso mai di dire: “Buttiamo a mare i sindacati!” Sostenni, al contrario, che se non ci fossero bisognerebbe crearli, perché nessuno deve dimenticare le lotte che hanno combattuto per acquisire e tutelare i diritti dei lavoratori che erano considerati poco più che schiavi dai loro cosiddetti datori di lavoro. Molta strada è stata fatta nel frattempo nell’acquisire diritti, tutele, difesa della condizione di lavoro, ma oggi i lavoratori stanno ritornando indietro, perché non sono pochi i personaggi della nostra politica nazionale ed internazionale e non sono pochi gli imprenditori piccoli e grandi che assumono atteggiamenti da “padroni delle ferriere”.

 

 

Vignetta di Emmepi


Uso un’espressione che di solito non compare sulle mie labbra. Dopo aver sentito Brunetta e letto un articolo su di un giornale vicino alla destra, del Nord, mi sono sentito “rivoltare lo stomaco”, mentre una rabbia sorda mi ha stravolto la mente. In questi giorni sono saliti agli onori della cronaca due fatti: l’Alitalia e la scuola. Brunetta e Gelmini. Solo che dell’Alitalia sono piene le pagine dei giornali e i sevizi sulle TV, della scuola solo qualche accenno. I sindacati si preoccupano molto dell’Alitalia, verso la scuola sembrano indifferenti come lo è l’opinione pubblica. Spero di sbagliarmi! La mia indignazione deriva dalle dichiarazioni di Brunetta, il quale, al contrario di ciò che sostengono alcuni componenti della cordata alitalia, minaccia che l’accordo va fatto anche senza il consenso dei sindacati e sul versante della scuola che la Gelmini abbia potuto presentare un decreto legge senza consultare i soggetti interessati alla “controriforma”: docenti, non docenti, studenti, genitori, sindacati.

 

 

Se Brunetta ardisce dire che dei sindacati si può fare a meno, credo voglia significare due cose: lo scarso potere contrattuale dei sindacati e la scarsa considerazione che di essi hanno questo governo e l’opinione pubblica. L’impatto è tremendo, se si riesce a capire a pieno il significato di questi fatti. Mi permetto di farlo io, senza la pretesa di convincere chi mi legge. Però, è sotto gli occhi di tutti che questa nostra società e i lavoratori in particolare vengono considerati poco meno di “escrementi” da spazzare perché “puzzano”. Il rischio è enorme, a ben guardare. Stiamo andando, neppure troppo piano, verso una deriva antidemocratica cui sembra non interessare nessuno. Voglio solo ricordare che in ogni dittatura che è nata e nasce i primi soggetti ad essere stati spazzati via sono i partiti, la magistratura, la stampa messa a tacere o aggiogata e il sindacato libero, per crearne un altro di regime. Non mi sembra di essere tanto lontano dal vero. La magistratura è sotto pressione, i mass media sembrano essere stati folgorati “sulla strada di Damasco”, i sindacati messi all’angolo. Forse la magistratura possiede gli strumenti per controbattere, i giornali e le TV, tranne qualche rara eccezione, sembrano appiattiti sulle posizioni di questo governo, felici e contenti, restano i sindacati. Cosa riusciranno a fare? Si faranno mettere il bavaglio dal Brunetta duro e “puro” di turno e dalla Gelmini, che mi sembra una “dolce donzella”, o sapranno reagire con la determinazione di un tempo?

 

Vignetta di Satirix

 

Sembra strano che lo dica io: “Il sindacato deve riassumere il suo ruolo di tutela dei diritti dei lavoratori oggi più di ieri. I doveri dei lavoratori sono già scritti nelle leggi, per certi versi anche troppo repressive per moltissimi e permissive per i soliti unti del Signore”. Io sono pronto. Si, anche alla mia età!

 

 

 

Sentimento sociale e tutela dei bambini

GEMMA ROTA SURRA

 

 


I. La violenza sui bambini è di tutti i tempi

Miti e fiabe sono produzioni mentali che, appartenendo al mondo dell’immaginario, raccontano talvolta di genitori distruttivi o di adulti crudeli; sono pratiche narrative che, attraverso rappresentazioni fantastiche o allegoriche, rimandano ad accadimenti, a tratti di esistenza umana, ad aree conflittuali e problematiche della stessa o adombrano vicende che partecipano dell’oscurità della psiche.
Nella constatazione e nella consapevolezza della miseria umana, trasmettono, pertanto, un “sapere” sui rischi distruttivi presenti anche nei legami più significativi, come quelli tra genitori e figli. In modo scoperto, per fare un esempio, il mito di Crono-Urano rimanda a genitori che divorano i propri figli; altri miti raccontano di genitori che li uccidono (Agave dilania Penteo; Medea, per punire Giasone, assassina le creature da lui avute), o che li abbandonano (Laio affida Edipo bambino a un servo con l’ordine di farlo scomparire). Alcune fiabe, inoltre, narrano di genitori che smarriscono i propri bambini (Pollicino, Hansel e Gretel, la fiaba dei Sette corvi) o che nutrono passioni incestuose (Pelle d’asino). Spesso ci imbattiamo in re tiranni o in regine malvagie che vogliono far morire i propri figli, in streghe, in orchi, in orchesse e in lupi che divorano e che insidiano i bambini (e la lettura simbolica rinvia ad adulti pericolosi sia che si tratti di familiari che di sconosciuti). Ci sono persino ninnananne che parlano di figli volontariamente ceduti dalla mamma (“questo bimbo a chi lo do?”), nella diffusa convinzione: «Il bambino è mio e ne faccio quel che voglio».


II. La realtà odierna

L’ultimo decennio sembra caratterizzato da maggior sensibilità e attenzione nei confronti dei temi inerenti la tutela dell’infanzia – con conseguente svelamento di situazioni un tempo occulte – e da significativi mutamenti legislativi e interventi di protezione dei minori. Non è possibile, tuttavia, rallegrarsi per l’avvento di una nuova cultura per l’infanzia. Le odierne cronache giornalistiche e le produzioni artistiche, attraverso linguaggi letterari, cinematografici o teatrali, rappresentano, infatti, veridicamente l’inenarrabile sofferenza infantile, mentre le sentenze o i provvedimenti giudiziari aprono spiragli sconcertanti sulla tragicità della condizione umana, sul buio indicibile della vendicatività, sulla violenza e sulla perversione. Il trauma infantile si presenta in vari modi: trascuratezza, abbandono, abuso di mezzi di correzione, maltrattamento, violazioni fisiche, sessuali, psicologiche e, sicuramente il più deflagrante di tutti, l’incesto. I casi di incesto, ogni anno in Italia, sono circa duemila e al Tribunale per i minorenni di Torino sono attualmente attivi circa cento fascicoli di Volontaria Giurisdizione relativi ad “abuso sessuale”.
Mentre l’indice di persecuzione dei bambini continua a crescere, anche nel nostro paese, di fronte all’attuale “epidemia” psicosociale di condotte violente e devianti, ci si deve domandare cosa stia succedendo in certi genitori e negli adulti quotidianamente vicini ai bambini. Forse non esistono realtà sociali e culturali indenni da violenze fisiche, sessuali, psicologiche ed emotive, che purtroppo, nel mondo, fanno parte della storia dell’infanzia e anche del presente. Basta pensare alla diffusione di pratiche come la mutilazione rituale dei genitali (infibulazione, clitoridectomia, circoncisione) e ad attività come lo sfruttamento lavorativo, la prostituzione minorile, con conseguente turismo sessuale a scopo pedofilo, e la pornografia che ha per soggetto i bambini. Accanto a queste evidenziamo le violenze perpetrate da adulti legati ai bambini affettivamente o per via parentale.


III. Violenze e abusi intrafamiliari

Per quanto riguarda le violenze e gli abusi sessuali intrafamiliari, il cambiamento significativo recente si può situare nel fatto che le giovani vittime, oggi, osano rivelare e denunciare più frequentemente. Coloro che raccolgono le confidenze, allo stesso tempo, trovano il coraggio di segnalare e, prima ancora, di credere alle narrative, abbandonando il preconcetto “nessun genitore può far del male al proprio figlio”. C’è, infatti, soprattutto un più diffuso riconoscimento dell’attendibilità dei racconti di bambini, di adolescenti e di quanto emerge dalle tenebre di certe famiglie: spesso, ad esempio, si abusa di vari figli in successione; in quanto il maltrattamento si perpetua e, se un bambino viene allontanato, un altro dovrà prenderne il posto: la stessa madre può essere incestuosa. In una realtà come quella odierna nella quale i mutamenti hanno portata epocale, i fattori di vulnerabilità e di rischio per i minori sono molto aumentati, sia con la costituzione di “nuove famiglie” (presenza di nuove figure genitoriali e di fratelli acquisiti), sia per mutate condizioni sociali (disoccupazione, sradicamenti, crogiolo multietnico e multirazziale, marginalità, diffusione di comportamenti di dipendenza da sostanze stupefacenti, deprivazione culturale, ambientale, psichica). Perfino il concetto di incesto è ormai dilatato, fino a comprendere il rapporto tra il convivente della madre e le di lei figlie [22]. I Tribunali minorili e i Servizi territoriali ne costituiscono l’osservatorio privilegiato. Nelle famiglie nelle quali parenti molto stretti, padre, fratelli, zii, nonni, abusano di bambini, mentre le madri non proteggono né le figlie, oggetto di atti libidinosi, né i figli maltrattati, sono sistematiche la violazione delle regole, la ricerca della complicità degli altri componenti la famiglia (“i panni sporchi si lavano in famiglia”), l’invischiamento, l’omertà, la compattazione tra i componenti, la dipendenza patologica, la paura di imprigionarsi nei legami accompagnata dall’angoscia di esserne estromessi. In altre famiglie l’aggressività sottile o il piacere della crudeltà trascendono la sofferenza infantile, così come l’attaccamento confusivo, l’abbandono, l’incuria e la trascuratezza grave ignorano il trauma di cure parentali inadeguate e il rischio evolutivo che si accompagna alla deprivazione psicoaffettiva. La perdurante inadeguatezza genitoriale grave ha spesso a che fare con limiti intellettivi (oligofrenia medio-grave), o psicoaffettivi importanti (malattia mentale), con etilismo o con dipendenza da sostanze stupefacenti.
Frequentemente, inoltre, i padri che agiscono comportamenti libidinosi specialmente con bambini prepuberi, esibiscono “sentimenti di affetto” per i figli e non desiderano certo far loro del male. Questi individui presentano generalmente uno sviluppo sessuale ed emotivo, talvolta intellettivo, molto immaturo (“genitori che non si sono sviluppati completamente”, secondo Adler, “genitori incompiuti”per altri autori), e tendono a negare la sofferenza, l’umiliazione o il disorientamento del bambino proprio perché non c’è in loro brutalità né intenzionalità o consapevolezza di nuocere. Mentre il maltrattamento avviene in un clima di violenza, l’abuso sessuale si compie spesso in un’atmosfera di “fittizio” calore affettivo.
Va, peraltro, notato che nelle molestie sessuali è la vittima che “decide” ciò che è intollerabile e ostile [7]: alcune situazioni a sfondo sessuale, soprattutto se vissute dalle adolescenti, sono fortemente caratterizzate dall’ambivalenza, a sua volta pesantemente condizionata da ricatti affettivi, in un clima di confusione, in cui i sentimenti oscillano costantemente fra il piacere e il dispiacere. Se consideriamo, però, che «l’esercizio corretto della paternità e della maternità è per i figli, ma anche per i genitori, essenziale al processo di identificazione» (10, p. 107), così come al raggiungimento di un’armonica identità, ogni situazione di confusione e di ambiguità genera, nell’annullamento delle differenze generazionali, perdita di ruoli e di significazioni affettive ed esistenziali.
Quando si parla di disagio grave vissuto da minori in famiglia, non sono in gioco solo gli interventi da mettere in atto a tutela degli stessi, né è sufficiente la colpevolizzazione dell’adulto che “fa soffrire”. Pur trovandoci di fronte ad aspetti persecutori nei confronti del bambino e pur mostrando estrema attenzione verso i suoi segnali di sofferenza, dobbiamo cercare di capire, con l’apporto di strumenti disciplinari di tipo psicologico, il funzionamento psichico che sottostà ai comportamenti lesivi degli attori della violenza e alle omissioni di quei genitori che inducono o consentono situazioni di pregiudizio in famiglia, perpetrando
veri e propri reati.


IV. La Psicologia Individuale e l’interpretazione psicodinamica del fenomeno

Come è noto la Psicologia Individuale, oltre a proporre un modello teorico, prospetta un sistema di conoscenze sul funzionamento della mente umana e sui comportamenti individuali e collettivi. Può essere utile, pertanto, individuare nel corpus teorico della stessa gli elementi che aiutino a raggiungere la comprensione profonda della “logica privata”, e nascosta, che soggiace ai comportamenti abusanti e maltrattanti dei genitori e allo strutturarsi di rapporti di paternità e di maternità così patologici da disintegrare la responsabilità genitoriale, spesso anche attraverso un’inconsapevole collusività tra Sé materno fragile e Sé paterno incapace di autentici sentimenti. Questa dialettica, evidenziata all’interno della famiglia del tossicodipendente [10], è diffusa anche in molte situazioni in cui sono presenti comportamenti genitoriali fortemente lesivi. Adler, affermando che «ogni manifestazione psichica si propone come un movimento che conduce da una situazione inferiore a una superiore» (3, p. 31) ha ricondotto i dinamismi psichici, che sono alla base di ogni attività umana, alla lotta tra l’originario sentimento d’inferiorità e il desiderio del superamento, con conseguenti esasperati stati conflittuali quando l’istanza di autoaffermazione non sia adeguatamente coniugata col sentimento sociale. Quest’ultimo, di significato teorico composito [9], costituisce, come è noto, una delle proposizioni principali della Psicologia Individuale e agisce, talora in sinergia, talaltra in contrasto, con la volontà di potenza. Più precisamente, la volontà di potenza e il sentimento sociale, le due fondamentali istanze della vita psichica, in equilibrio dinamico e instabile tra loro, sono i fattori dello sviluppo del Sé [8].
Alla luce di questa concezione si possono interpretare anche le dinamiche di potere di quegli adulti che attraverso le vicende dei figli, delle quali si fanno registi, ne condizionano il destino. È opportuno evidenziare che spesso, quando la tendenza a prevalere ha il sopravvento, si tratta di adulti falliti nei tre compiti vitali: amore, professione, interessi sociali.


V. Il seme della violenza da una generazione all’altra

Il “causalismo” come sistema esplicativo vale solo per alcuni aspetti del funzionamento mentale, ma, di fatto, le esperienze dell’infanzia sono particolarmente significative nell’orientare lo sviluppo successivo e, in taluni casi, nel condizionarlo: la “sanità gratificazionale” [16] è strettamente legata alla soddisfazione dei bisogni fondamentali del bambino.
Pur aderendo al pensiero adleriano secondo cui l’ambiente fornisce all’individuo solo alcune impressioni, ma è la maniera unica e irripetibile in cui egli ne fa esperienza che ne costruisce le attitudini verso la vita e, pur considerando di primaria importanza il principio che sottolinea come il soggetto non sia influenzato dai fatti, ma dall’opinione sui fatti, non possiamo minimizzare l’attenzione rivolta proprio da Alfred Adler nei confronti di quei casi, in cui ci troviamo di fronte a maltrattamenti e abusi brutali che configurano un “bambino martire” [3], indicando fin dal 1904 che nei metodi educativi «deve essere considerata
una barbarie bastonare i bambini» (15, p. 65). Se è vero, infatti, che anche un ambiente negativo può far realizzare un adattamento positivo alla vita, quando si raggiungono estremi livelli traumatici, il rischio evolutivo e le conseguenze psicoaffettive sono incalcolabili, come è facilmente osservabile proprio nelle strutture di servizio territoriale o da parte dei Giudici minorili che, quotidianamente chiamati per interventi limitativi della potestà genitoriale nel tentativo di arginare il processo di distruzione affettiva o di destrutturazione psichica, cercano di ricreare, talvolta “scommettendovi”, situazioni in cui sia possibile la costruzione sana del Sé.
In merito alla relatività e alla soggettività degli effetti del trauma, ancora Ma slow sostiene [16] che solo una privazione, che sia allo stesso tempo una minaccia per la personalità, per l’autostima, per il sentimento di sicurezza, avrà effetti frustranti. Ogni evento traumatico, però, costituisce per un bambino una privazione-perdita di fiducia nelle figure adulte: il trauma infantile, qualunque ne sia la natura, provoca in lui dolore e ancora dolore, espresso secondo modalità differenti, con diversi effetti sulle organizzazioni biologiche e psicologiche.
 Lenore Terr afferma che «l’intera vita può essere forgiata da un vecchio trauma, anche se è stato dimenticato» (26, p. 39). Altri autori, al contrario, sostengono con altrettanta competenza e determinazione che «perché sorga un quadro psicologico conclamato non è tuttavia sufficiente che si registrino nel corso dell’esistenza uno o più “traumi”, ma è indispensabile che l’individuo tenda a perpetuare la “registrazione” degli eventi all’interno di se stesso, per tentare di compensare gli sviluppi che essi potrebbero comportare» (25, p. 22 ). Canziani ribadisce che «in un certo numero di casi non si mettono in luce immediate reazioni o problematiche, che però possono presentarsi in seguito, al momento della maturazione psicosessuale, per la mancata elaborazione dell’evento o per le interferenze esterne» (4, p. 14), in quanto ogni soggetto risponde all’evento in modo diverso e personalizzato.
A questo proposito, occorrono dei tragici “distinguo” per particolari situazioni “illogiche” [21], quando non sia possibile inserire in un codice conosciuto e, per definizione, protettivo come quello genitoriale, comportamenti capaci di generare sconquasso interiore, indicibile rabbia, inesprimibile sconcerto e paura devastante: quanti incubi notturni, quanti batticuori all’avvicinarsi dei passi temuti! Alla luce dell’attività quotidiana dei Tribunali minorili, ci chiediamo come condizioni infantili drammatiche possano evolvere in uno stile di vita che, nei fatti, appare già pesantemente condizionato dalle precedenti “sofferenze” dei propri genitori, sofferenze generatrici della sofferenza dei bambini qualora negli adulti non ci sia stata “bonifica”.
I bambini traumatizzati diventano adulti di vario tipo, ma sembra che gli individui maschi, traumatizzati da bambini, siano portati più frequentemente a infliggere dolore, mentre le donne, raramente violente verso i bambini, siano soggette a comportamenti autolesionisti e autodistruttivi (prostituzione [28], disturbi alimentari, turbe affettivo-relazionali), che in vario modo rappresentano la rimessa in atto dei traumi infantili.
Quanto alla patogenesi traumatica della personalità borderline, vari autori hanno individuato l’abuso fisico e sessuale, specie se compiuto dai genitori, tra i fenomeni relazionali potenzialmente più significativi in tal senso [13]. Sono state individuate anche tipologie di donne definite “donne TRS”, cioè portatrici della sindrome della rimessa in atto del trauma [18], che, non avendo potuto interiorizzare una presenza protettiva, ma esclusivamente un violatore interno, non si difendono neppure da se stesse, facendosi del male: si feriscono o si torturano con le proprie mani, si consegnano a diete devastanti o a deformanti chirurgie plastiche.


VI. Ciclo dell’abuso

Se è vero che «molti genitori infelici, frustrati, tormentati, si ripagano della durezza della vita e della gente che ne è responsabile maltrattando i bambini» (12, p. 68), coloro che si occupano professionalmente di ferite inferte ai piccoli si confrontano frequentemente con genitori per i quali eventi della prima infanzia e particolari situazioni emozionali hanno alterato il normale sviluppo psicoaffettivo. La compromissione è tanto più significativa quanto più il primo rapporto affettivo madre-bambino è stato carente, anche ai fini dello sviluppo del sentimento sociale che da questo rapporto, come è noto, prende le mosse.
Questi genitori, pertanto, si comportano così come, nella prima infanzia, gli adulti significativi si sono comportati con loro: «non fanno altro che rimettere ripetutamente in scena, per anni e anni, la loro stessa storia» (19, p. 185), mentre la propria esperienza attuale di fallimento genitoriale potenzia e perpetua proprio i comportamenti omissivi, rifiutanti, lesivi, perversi, sadici o l’incapacità di prendersi cura dei figli. Lo scoraggiamento diventa strutturale, alimentando la finzione rafforzata. I genitori, che maltrattano i bambini o li trascurano, ripetono spesso lo stesso copione da loro “patito”, pur senza esserne consapevoli o senza ricordarlo: scaricano la propria rabbia, non espressa e non ascoltata [24], rappresentando il vuoto affettivo che ha accompagnato la loro infanzia in una famiglia inconsistente o l’eccesso di eccitazione emotiva presente nelle famiglie distruttive o
tragiche [23], secondo modalità che coprono la gamma di tipologie “dal troppo
al troppo poco”.
La visione del mondo familiare di un genitore è legata a quanto la sua stessa condizione di figlio gli ha fatto esperire nell’infanzia, con i conseguenti dolorosi espedienti di salvaguardia messi in atto per far fronte a situazioni di sofferenza infantile che, se riportate alla coscienza, porterebbero alla distruzione del “mito dei felici anni infantili” [13] e della consolatoria idealizzazione dell’infanzia stessa. Taluni genitori, perciò, anche a fronte di un precario equilibrio psichico o di disturbi dell’affettività che di frequente sono presenti in adulti traumatizzati nell’infanzia, non possono riconoscere o farsi carico della dei propri bambini, quasi in una condizione di “sentimento assente”[1] o di scissione tra aspetti affettuosi, teneri e aspetti sadici, masochisticie mostruosi.
Altri genitori, inoltre, appartengono a gruppi sociali o a contesti culturali in cui gli stili comportamentali sono mantenuti rigidamente e trasmessi implicitamente ai figli nel loro percorso di crescita. Esistono, infatti, contesti relazionali in cui, secondo l’orientamento prevalente appreso dai propri genitori, i sistemi d’interazione e d’interrelazione vengono riprodotti tali e quali senza assunzione della responsabilità del cambiamento, senza alcuna comprensione o messa in discussione, senza creatività, senza utilizzo di eventuali influssi ambientali migliorativi, senza, soprattutto, lo smascheramento delle finzioni che sostengono
tali stili di vita. Come già osservato, i genitori un tempo maltrattati o abusati si rendono frequentemente colpevoli di abuso fisico e sessuale nei confronti dei propri figli. Si parla, infatti, di “ciclo dell’abuso” da quando lo sguardo multigenerazionale di molti ricercatori, rivolto ai fenomeni sopracitati, ha illuminato la prospettiva temporale vittime-vittime: la teoria trigenerazionale si applica, quindi, anche alla trasmissione della violenza, della ferita e del vuoto. Il tipo di comportamento sessuale, se fissato nell’infanzia, esercita una forte pressione, incidendo nello sviluppo successivo: si verifica, perciò, l’incapacità di certi adulti – già abusati da bambini – di considerarsi altro che oggetti sessuali, evolvendo verso comportamenti lascivi o violenti. Ne consegue non solo «che molti tra i ragazzi che si prostituiscono e tra gli uomini che comperano sesso da loro, hanno subìto abuso sessuale» (22, p. 19), ma il comportamento lesivo può riprodursi, con trasformazione della vittima in aggressore. Molte madri di figlie vittime di incesto, da bambine avevano anch’esse subìto simili esperienze e, come ex vittime, non riescono a tutelare i figli neppure dai propri genitori: nonni, un tempo abusanti con loro, abusano anche dei propri nipotini, perseverando nelle molestie oscene, che sono “protette”, come se la ferita fosse ormai “troppo” cicatrizzata. Nei figli di siffatti genitori si riscontrano spesso comportamenti sessuali confusi e precoce attività sessuale deviante, prodromi dei più vari comportamenti disfunzionali. Quando nella dinamica delle relazioni familiari, vengono perpetrati atti di libidine o messi in atto giochi traumatici e violenze fisiche e psichiche che hanno per oggetto i bambini, esistono certamente negli adulti stessi delle vicissitudini interiori profonde di tipo traumatico. Esse, consentendo l’estrinsecarsi di un impulso alla sopraffazione, portano alla distorsione e all’esasperazione della linea direttrice di supremazia a fronte di inadeguati sistemi di regolazione dell’equilibrio instabile tra ricerca di una mèta di superiorità e sentimento di inferiorità Gli stessi atti sessuali, infatti, non hanno spesso a che fare con la perversione sessuale, ma con il dominio (individui primitivi, tipo “padre-padrone”), con la frustrazione (separazione coniugale inaccettata, marginalità sociale o inadeguatezza personale) e con la fuga dalla responsabilità genitoriale e coniugale, nel tentativo di arginare o di compensare finzionalmente perdite di vario genere. Anche l’abbandono dei propri figli, serpeggiante o conclamato, può essere originato da gravi vissuti d’inferiorità. Come è già stato sottolineato da Adler, «il sentimento di inferiorità rinforzato va di pari passo con uno sviluppo insufficiente del coraggio e porta a elaborazioni artificiali per negare i problemi della vita, facilitandosi l’esistenza, e scaricando sugli altri le difficoltà» (3, p. 122).
La fuga dalla responsabilità, anche genitoriale, talvolta, è favorita dall’allentamento dei freni inibitori in condizioni di ubriachezza, ingannevole tentativo di non assumere su di sé il carico della scoperta della propria inferiorità. La scarsa evoluzione del sentimento sociale, regolatore interiore del rapporto con gli altri, fa sì che, “nella costellazione familiare tragica” [23], si origini una spirale distruttiva che ha per vittime i figli, dei quali viene fatto un utilizzo strumentale per l’aumento fittizio del proprio sentimento di personalità. Si pensi alle
situazioni in cui il maltrattamento è addirittura prenatale per quei bambini che nascono in sindrome di astinenza prenatale (SAN), perché la madre tossicodipendente non si è astenuta dall’uso di sostanze stupefacenti neppure in imminenza del parto, ma per la quale il bambino rappresenta esclusivamente un fattore di redenzione e di riscatto. Il sentimento sociale, almeno per il versante Sé genitoriale, non parrebbe neppure essersi sviluppato in quei comportamenti di trascuratezza dei bisogni elementari di accudimento che sono spesso presenti nei tossicodipendenti cronici che si bucano davanti ai figli, che lasciano siringhe sparse in casa, che vagano di notte con i bambini alla ricerca di sostanze stupefacenti, che ospitano amici anche più compromessi di loro. Negli adulti che “approfittano” dei bambini c’è, innanzi tutto, la trasformazione dell’istanza di autoaffermazione in finalità di sottomissione, per poter disporre per il proprio piacere personale di una creatura debole da manipolare. In un contesto relazionale frequentemente confuso, invischiante, subdolo non c’è percezione né tolleranza dell’ambivalenza, ma negazione o scissione di emozioni e sentimenti. Spesso non c’è neppure latenza tra pensiero e azione, ma si verificano ripetuti passaggi all’atto, in condizioni di sentimento sociale bloccato. In ultima analisi, c’è l’impossibilità di misurarsi con la vita, con gli altri, con le responsabilità, col limite, cercando risarcimenti artificiali a dolorose condizioni interiori di inferiorità e di deprivazione.
Nella teoria adleriana il concetto di finzione ha particolare rilevanza, perché le dinamiche della nostra vita psichica, che sono segnate dall’equilibrio dialettico tra volontà di potenza e sentimento sociale, presentano strategie compensatorie e di sopravvivenza nei confronti del sentimento d’inferiorità e «le strategie hanno sempre un valore di verità finzionale, “come se” per ognuno di noi fossero l’unica verità assoluta» (14, p. 89 ). Per gli adulti di cui ci occupiamo questi artifici creano una condizione apparentemente soddisfacente: «Il mio bambino è sempre malato, così non può fare a meno di me…»; «Non ho più rapporti con
mia moglie, ma c’è mia figlia che mi consola…» etc.


VII. Carenza di sentimento sociale

Adler, nel libro Il senso della vita, quasi a conclusione di tutto il suo pensiero, sottolinea l’importanza della carenza di sentimento sociale: «Tutti gli insuccessi, gli errori dell’infanzia e dell’età adulta, i difetti della famiglia, gli inconvenienti della scuola e della vita, i conflitti nelle relazioni con gli altri, nella professione e nell’amore trovano origine in una carenza di sentimento sociale» (3, p. 210). «Come è noto Ansbacher, analizzando l’opera del maestro viennese, indica almeno tre significati da attribuire al termine; il primo riferito alla potenzialità di aggregazione, il secondo alla capacità di collaborare, di comprendere gli altri e di entrare in rapporto empatico con essi, il terzo alla valutazione di ciò che sta “dal lato utile o inutile della vita”» (27, p. 49). Altre accezioni connotano il concetto di sentimento sociale come istanza integratrice all’interno della psiche [11] e come bisogno innato di unitarietà tra le diverse componenti del Sé, responsabile,quindi, della coesione delle diverse strutture. Ritroviamo, nei genitori di cui ci stiamo occupando, difficoltà negli ambiti suddetti
e, in particolare, sottolineiamo che «gli individui che nella loro infanzia non hanno sviluppato una quantità adeguata di sentimento sociale in rapporto alla loro aspirazione alla supremazia, sono impreparati a fronteggiare adeguatamente i problemi della vita» (25, pp. 20), perseguendo finalità che non si collocano “dal lato utile della vita”. «Porre il Sentimento Sociale al centro della possibilità di salute psichica dell’individuo» (11, p. 169) può apparire agli adulti, il cui sentimento sociale, e in particolare il Sé genitoriale, non si sia adeguatamente o armonicamente sviluppato, come la pronuncia di una “condanna senza appello” al disagio personale e al disadattamento interpersonale. E la condanna potrebbe trasmettersi per così dire “ereditariamente”. L’esperienza psichica è costitutivamente radicata nella relazione e, più precisamente, nel “sentimento sociale”, per cui occorre dare ai figli di questi genitori la possibilità-garanzia dello sviluppo di questa potenzialità, intervenendo  sulla costituzione di una adeguata relazione genitori-figli, adulti-bambini.

VIII. Che fare?

Le situazioni che richiedono la tutela istituzionale dei minori sono caratterizzate da un’estrema complessità, con conseguente significativa difficoltà operativa per chi è professionalmente coinvolto nella gestione di casi che presentano questa problematica multifattoriale. Viene appunto riconosciuto che «se il bisogno di protezione del minore costituisce l’aspetto che implica il maggior coinvolgimento emotivo da parte dell’operatore, lo stesso si trova però impegnato, e non può esimersi, dal coinvolgimento nelle dinamiche di rapporto con la famiglia d’origine e con gli altri soggetti coinvolti» (2, p. 3).


IX. Aiutare gli attori della violenza

Le osservazioni cliniche rilevano che:
- nella diade genitore maltrattante/bambino maltrattato, la dipendenza è reciproca;

- la collusione è presente in molte famiglie problematiche;

- nelle famiglie incestuose la collusione è diffusa proprio perché il segreto dell’incesto stringe i legami piuttosto che allentarli: l’adesione al “programma” paterno, più o meno costante e consapevole nel caso di bambini già grandicelli o adolescenti, può essere ritenuta dalle vittime necessaria allo stesso equilibrio familiare: «perché il papà così si mantiene calmo», «perché quando io sono carina con lui, lui è gentile con la mamma», «così si salvano almeno le sorelle minori»;

- la violenza fisica (botte, sevizie) si accompagna a dipendenza e passività negli
altri familiari, talvolta in un contesto diffuso di deprivazione, anche mentale, e
di paura “indicibile”.

Se è indispensabile tutelare i minori, è altrettanto necessario aiutare i genitori [6], ampliando così l’area dell’intervento che, conseguentemente, nella sua attivazione produce effetti nelle dinamiche relazionali di tutti i soggetti presenti nel contesto, anche allargato. Spesso la persona, cui il bambino fa la sua rivelazione, è una figura non appartenente alla famiglia (zia, maestra, vicina di casa) sentita come positiva, rassicurante, capace di ascoltare, di capire, di consolare: dotata, possiamo dire, di sentimento sociale fino al punto di prendere iniziative a tutela e di segnalare il possibile reato.
La cooperazione tra sistema giudiziario e sistema terapeutico viene sollecitata da vari esperti, ritenendo che, per famiglie multiproblematiche, che spesso conducono un’esistenza marginale, anche l’intervento forte della Magistratura possa configurarsi come parte del progetto “terapeutico”, riconoscendo la funzione strutturante del mandato giudiziario nei casi di maltrattamento di minori [6]. L’azione della Magistratura ordinaria e minorile, se, contemporaneamente alla limitazione della potestà genitoriale, alle prescrizioni, alle sanzioni, alle condanne, contiene i presupposti per interventi ad ampio raggio volti alla creazione o al ripristino di condizioni di corretta e adeguata genitorialità, si configura come
tutela non solo del minore, ma anche degli adulti “da se stessi”, come protezione e come aiuto per chiunque sia coinvolto, estendendo all’intero contesto l’occasione di cambiamento.
Le esperienze introdotte, in particolare, dal CBM (Centro Bambino Maltrattato di Milano), fin dal 1984, comprendono valutazioni sulla recuperabilità delle funzioni genitoriali per la famiglia segnalata dal Tribunale ed eventuale trattamento della famiglia stessa, anche in presenza di un’adesione non spontanea e non “libera” (“terapia coatta”), ma condizionata dal mandato del Tribunale e dall’impegno degli operatori (ovviamente esplicitato alle persone interessate) di riferire al Giudice sul recupero stesso.
La Psicologia Individuale, utilizzando il sentimento sociale come fondamentale strumento terapeutico, propone un valido obiettivo di lavoro e una specifica metodologia agli operatori chiamati a “mettere le mani in pasta” in queste vicende. Se è vero che «sviluppare il Sentimento Sociale vuol dire avviare la guarigione » (11, p. 169) e anche attivare capacità riparative negli adulti incolpevoli, ma non protettivi, specialmente madri, si devono creare e diffondere nei servizi di territorio possibilità di pensiero e d’intervento tali da suscitare nei loro utenti lo sviluppo di questa potenzialità.


X. Aiutare le vittime

Per quanto riguarda le piccole vittime, occorre ribadire che, al di là di tutti i possibili interventi riparatori, individuati dalle istituzioni, il risarcimento del dolore può solo venire dalla famiglia stessa e dall’assunzione della responsabilità di aver procurato sofferenze. Quando questo non avviene, con la devastazione psicoaffettiva, si apre l’abisso dell’infanzia perduta. Diventa, allora, più impellente e inderogabile la necessità che il bambino, attraverso relazioni fondate sull’onestà, sia almeno aiutato a comprendere la sua realtà, così confusa e complessa, per il “fraintendimento delle lingue” e dei codici tra i partner del rapporto adultobambino con il conseguente disorientamento del soggetto più indifeso.
L’incoraggiamento verso relazioni di fiducia con alcuni adulti può aiutare qualche adolescente a superare drammatiche contingenze, che generano inevitabilmente disturbi psicoaffettivi, gravi patologie psichiche, devianze sessuali.
L’adattamento positivo e l’attivazione del Sé creativo e autoriparatore possono essere facilitati dall’incontro con partner comprensivi ed empaticamente “dotati” di sentimento sociale.


XI. Aiutare gli operatori

«Tutte le cose terrificanti non sono forse altro che cose senza soccorso, che aspettano che noi le soccorriamo»: di certo la presenza di sentimento sociale è indispensabile in coloro che si occupano di infanzia per farsi carico della terrificante sofferenza del bambino. Il sentimento sociale va inteso in questo contesto nell’accezione più elevata che lo lega al concetto di pietas e forse al coraggio dell’utopia.
Se è vero che «ciò che oggi ci opprime prende origine da un’insufficiente formazione sociale» (3, p. 210), si ritiene anche che la maturazione del sentimento sociale faccia parte delle “capacità educabili”: si parla infatti di cooperative learning [27] come strategia educativa del sentimento sociale nella scuola. “L’apprendimento del sentimento sociale” potrebbe estendersi alla “formazione” di operatori del ciclo evolutivo, insegnanti e assistenti sociali in particolare.
Seguendo il pensiero di Alfred Adler, un adeguato sentimento sociale può rendere più agevole la comprensione autentica e la partecipazione emotiva, rendendo l’agire degli addetti alle problematiche minorili più armonico e produttivo, e soprattutto più utile e significativo per chi ha bisogno di aiuto fin dal riconoscimento “tempestivo” degli indicatori di rischio.
Solo un rapporto fondato sul sentimento sociale degli operatori, e improntato a un atteggiamento cooperativo piuttosto che competitivo o rivendicativo nei riguardi di altri servizi o istituzioni, consente l’utilizzo del “modello di rete” nella tutela dei minori: insegnanti, assistenti sociali, medici, psicologi, agenti di polizia, giudici, ma anche vicini di casa, educatori, animatori religiosi, si prendono “cura” dei bambini e delle bambine.
Il “lavoro di rete”, ben più di un confronto interdisciplinare tra servizi sociali, sanitari, educativi, è allora l’espressione di una strategia di presa in carico del minore e della sua famiglia, ivi compreso l’adulto autore dei fatti oggetto di segnalazione. In un modello operativo interistituzionale alla cui base ci sia il “pensare insieme”, lavoro corale che valorizzi il Sé professionale, si possono, pertanto, di volta in volta predisporre, oltre ai provvedimenti giudiziari, il sostegno psicologico delle vittime, l’appoggio psicoterapeutico alla famiglia e alle madri, in particolare, mogli del genitore indagato o condannato oltre che genitrici dei figli violati, l’intervento clinico e/o riabilitativo rivolto all’adulto che maltratta o abusa, anche con funzione di contenimento degli aspetti distruttivi.


XII. Proposte

La Psicologia Individuale può contribuire alla costruzione di un pensiero che si occupi di promuovere i diritti dei minori. Contemporaneamente può adoperarsi a formare operatori capaci che, avendo sviluppato il proprio sentimento sociale, siano in grado di condividere il dolore dei bambini e di affrontare con empatia vere atrocità; operatori consapevoli che siano in grado di smantellare in coloro che ricevono aiuto psicologico la finzione rafforzata e scoraggiante, che li porta a nutrire sfiducia verso tutti gli adulti; operatori partecipi e promotori di maturazione della coscienza individuale e collettiva nei riguardi della prevenzione dei traumi infantili; operatori competenti nel promuovere processi di cambiamento nel rapporto famiglia-società, il tutto ispirato alla cooperazione e alla solidarietà, da un lato, e all’interesse collettivo e all’etica, dall’altro, in sintesi al sentimento sociale più evoluto.


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