I miei film senza tempo 3 |
"Chello ch'è stato, basta, ricomincio da tre". "Da zero, ricomincio da zero". "Nossignore, cioè tre cose me so riuscite dint'a vita, pecché aggia perde pure chelle?". Massimo Troisi in "Ricomincio da tre".
N.B. Il testo delle recensioni in grigio chiaro svela il finale del film, per cui si consiglia, a chi non lo volesse conoscere anticipatamente, di non leggerlo prima della visione.
I miei film senza tempo (quelli che andrebbero rivisti di tanto in tanto o che hanno comunque lasciato un segno indelebile nella mia memoria e sono tanti, mi limiterò ad aggiungerne qualcuno saltuariamente):
"Il Principe Delle Maree (The Prince of Tides)", di Barbra Streisand, con Barbra Streisand, Nick Nolte, Blythe Danner, Kate Nelligan, Jeroen Krabbe', Brandlyn Whitaker, Jason Gould, George Carlin, Marilyn Carter, USA 1991. Recatosi a New York a causa dell'ennesimo tentativo di suicidio della sorella gemella Savannah, Tom Wingo conosce la psichiatra che l'ha in cura, Susan Lowenstein. Dopo l'iniziale diffidenza e ritrosia a confidarsi, Tom, sollecitato sia dalla donna che lo incalza con abili domande, che dalla situazione drammatica della sorella, porta a poco a poco alla luce particolari, sepolti nell'inconscio, delle tragiche vicende della famiglia Wingo, composta da un padre violento ed alcoolizzato, una madre superficiale e fatua, ora divorziata e sposata ad un ricco possidente della zona, e tre figli. Il maggiore, Luke, è morto tragicamente in una sparatoria con la polizia, Savannah ha cercato fortuna a New York come poetessa e Tom è insegnante e allenatore di football; è sposato con Sallie, con la quale il rapporto matrimoniale è in crisi ed ha tre figlie. La psichiatra è a sua volta sposata con Herber Woodruff, un celebre violinista che non vede quasi mai ed ha un figlio, Bernard, col quale è in pieno conflitto. Tom accetta di insegnare il football al ragazzo, che dopo un'iniziale ostilità cede al buon carattere ed alla simpatia umana di Tom. Frattanto Tom si concede una breve parentesi a casa per il compleanno della figlia minore: qui la moglie gli comunica che ha un amante, il quale vuole sposarla. Sconvolto, torna a New York e trova finalmente il coraggio di confidare a Susan l'atroce storia di uno stupro subito dalla madre Lila, da Savannah e da lui, allora ragazzi, ad opera di tre evasi dal vicino penitenziario, che vennero uccisi dal fratello Luke, rientrato in casa, e dalla madre, che riesce a tenere nascosta la vicenda. La confessione di questi avvenimenti tenuti nascosti per tanti anni libera Tom da complessi di colpa e consente a Susan, che ha avuto un breve cedimento sentimentale con lui, di guarire Savannah. Ormai sereno Tom torna a casa ritrovando l'amore della moglie e l'affetto delle tre figlie.
Alcune volte accade che quando un Libro, specie se questi è davvero meraviglioso, subisca una trasposizione cinematografica, la storia transitando dalla carta alla pellicola ne venga inesorabilmente penalizzata, ‘raggiungendo’ lo spettatore in modo diverso dal lettore.
Sette candidature agli Oscar nell’anno di uscita il 1991, col titolo originale ‘The prince of tades’, il principe dell maree resta una delle più meravigliose storie d’amore mai narrate: Recatosi a New York a causa dell’ennesimo tentativo di suicidio della sorella gemella Savannah, Tom Wingo conosce la psichiatra che l’ha in cura, Susan Lowenstein.
'Il principe delle maree' pur nella convenzionalità di una scrittura cinematografica un po' incolore e tradizionale, lasciava presagire qualcosa di più e di meglio. Il reticolato-prigione degli affetti funziona con maggiore efficacia quando se ne avvertono i palpiti e le crudeltà. Ma in generale sono molte le incongruenze e le sciatterie del film: il marito di lei (il Jeroen Krabbe lanciato da Paul Verhoeven) è troppo caricaturale, il background ebreo della protagonista posticcio, insistito e superfluo, il pathos melodrammatico non riesce a sfondare il muro del pianto, la storia d'amore tra i due è frettolosamente (e misteriosamente) abbandonata, l'interpretazione stessa della Streisand (che si sottoutilizza) risulta decisamente inferiore alle sue possibilità. Stupiscono (e non poco) le sette nominations che una Hollywood piagnucolosa e mai così prodiga di apprezzamenti nei suoi confronti, le ha regalato." (Fabio Bo, 'Il Messaggero', 1 Marzo 1992)
"Samsara", Nalin Pan, Francia Germania 2002. Un paesaggio brullo e sconfinato sul quale domina un cielo blu indaco, come se ne vedono solo alle elevate altitudini. Un gruppo di monaci tibetani - un vecchio, un giovane, un bambino - sale i ripidi pendii sassosi per raggiungere l'eremo dove uno di loro, Tashi, si trova da tre anni in solitaria e intensa meditazione. Un rapace volteggia nel cielo, sceglie la preda, raccoglie un sasso e lo lancia dall'alto. Laggiù stramazza a terra una pecora belante; il piccolo monaco Kunga l'accarezza triste con le lacrime agli occhi. La singolare carovana riprende il cammino, recupera il giovane e coraggioso eremita, consunto dall'austera ricerca spirituale e torna verso il monastero. Bandierine ondeggianti affidano al vento le loro colorate preghiere; un cumulo di pietre "mani" attrae l'attenzione di Tashi: sulla sommità una grossa pietra reca l'iscrizione tibetana come si può impedire ad una goccia d'acqua di asciugarsi? Con questo interrogativo inizia la storia di Tashi, un giovane lama tibetano che dopo i rigori dell'eremitaggio scopre ancora intatti i suoi desideri: questi erano stati imbrigliati, educati e infine repressi, ma erano sempre vivi. Difficile dire se sia più opportuno continuare ad educarli o affrontarli: ci sono cose che bisogna vivere per poi trascenderle, si dice Tashi. Esplode quindi il conflitto tra la vita monastica, così sinceramente amata sin da quando a cinque anni suo padre lo affidò al monastero, e la vita laica, con tutti i suoi piaceri ma anche con tutta la sofferenza che deriva dall'infinito desiderare. Tashi inizia così un cammino inverso a quello di Siddharta, il Buddha Shakyamuni: questi aveva vissuto nel mondo e nei piaceri fino a 29 anni, per poi lasciare tutto, compresa la bellissima moglie Yashodara e il figlio Rhaula (che significativamente vuol dire "impedimento"), perché aveva percepito che la vita è sofferenza in quando infinito, mai pago, desiderare: è appunto il Samsara, la ciclicità dell'esistenza condizionata dall'ignoranza spirituale, dall'ego. Essere padroni di se stessi e dei propri desideri vuol dire controllo e disciplina, vuol dire volontà e scelta. Forse è meglio invece non avere un sé...non avere nulla da controllare e comandare cioè "non essere". Il problema è: siamo disposti a non essere? Tutto è implicito nel quesito di Apo, il maestro di Tashi: è più importante inseguire mille desideri o conquistarne uno solo? Io credo che quel solo desiderio da conquistare li comprenda tutti: è l'impulso condizionato e irresistibile alla vita. Tashi non ha mai vissuto al di fuori del monastero, ed ora ne avverte fortissimo il richiamo... Samsara è un film denso, pieno di senso e sensualità, corposo, aggraziato nel suo realismo, accattivante per l'assenza di facili risposte, una gioia per gli occhi e una tensione emotiva per lo spirito. Tutto questo utilizzando pochi ma essenziali ingredienti: il paesaggio, la sapiente regia, l'impiego di attori non professionisti (a parte i protagonisti), presi dal contesto che si vuole raccontare, compresi tre veri monaci tibetani (tra cui il piccolo Kunga), e infine tanta amorevole pazienza, visto che il film ha impiegato quasi 10 anni per vedere la luce. L'esatto contrario dei film americani: tanto vuoti per senso e gusto estetico, quanto costosi e di rapida esecuzione e, ahimè, graditi dal pubblico. Si sente che Samsara è un film ideato, scritto e diretto per il semplice gusto di farlo, con amore, partecipazione e non solo per riempire le sale cinematografiche e il portafogli.
"Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera" Bom yeoreum gaeul gyeoul geurigo bom, Kim Ki-Duk, Corea Germania, 2003. Sullo sfondo di un monastero coreano da sogno, immerso in una foresta, la vita è ritratta e fermata nel suo scorrere, che sembra seguire il ritmo delle stagioni. Un monaco bambino apprende, dall'insegnamento del Vecchio Monaco, il senso della vita (Primavera). A 17 anni conosce l'amore e il sesso (Estate). A 30, colpevole di omicidio, torna in cerca di pace ed espiazione (Autunno) e, infine, ormai vecchio, accoglie il figlio che una donna sconosciuta abbandona sulle scale del monastero (Inverno). Un monaco bambino e uno vecchio, di nuovo. Il ciclo della vita ricomincia. Primavera: rinascita, tutto (ri)comincia. Estate: il momento dell'amore. Autunno: cadono le foglie, e con loro le illusioni. Inverno: il momento più duro dell'anno, fatto apposta per mettersi sotto e prepararsi, appunto, alla prossima primavera. Per ricominciare. E' innanzitutto una gioia per gli occhi questo film di Kim Ki-duk, e poi una piccola perla per l'anima. In Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera c'è il ciclo della vita, scandito secondo le stagioni appunto, e una nuova riflessione sulla natura dell'essere umano. All'inizio, su un eremo galleggiante lontano dalla civiltà in un'ambientazione stupenda fra le montagne, c'è un anziano monaco con un bambino, che impara dal suo maestro come vivere secondo la retta via, scontando persino le pene delle sue colpe, come quella di aver fatto del male per divertimento a degli animali, cosa che gli si ritorcerà (grazie al maestro) contro. Lo stesso bambino crescerà, e divenuto ragazzo troverà l'amore: si troverà quindi costretto a fuggire, conoscerà (di nuovo a sue spese) la gelosia e l'omicidio, tornerà anni dopo all'eremo e non troverà più il suo maestro, ma forse è già pronto a ri-iniziare da capo e a regalare la sua esperienza ad un altro bambino. Il ciclo ri-inizia, il ciclo continua. Rigorosissimo nello stile e metaforico nei contenuti, Primavera, estate... forse non è il miglior film di Kim (vedi L'isola ma anche La samaritana e Ferro 3), ma questo film "minore" ha il sapore del film imperdibile e affascinante.
"Mi chiamo Sam I am Sam", Jessie Nelson, con Sean Penn, Michelle Pfeiffer, Dakota Fanning, Doug Hutchison, Laura Dern, USA 2002.
Trama 1. Sam Dawson (Sean Penn) è un padre mentalmente ritardato che cresce la propria figlia Lucy (Dakota Fanning) donandole ogni giorno tutto il suo grande amore e impegnando tutte le risorse possibili per farla crescere in maniera serena e felice. Il rapporto affettivo tra padre e figlia viene minacciato dall'indagine di un'assistente sociale che ritiene controproducente far crescere Lucy insieme ad un papà con un quoziente intellettivo pari a quello di un bambino di sette anni. Sam sarà aiutato nella sua battaglia da un gruppo di straordinari amici e da Rita Harrison (Michelle Pfeiffer), avvocato di successo che sposa una causa davvero difficile stringendo un legame sempre più sincero e profondo con un uomo pronto a tutto pur di non perdere la creatura che di più ama al mondo e alla quale vuole donare il miglior futuro possibile...
Trama 2. Uomo di età ormai matura ma con le capacità intellettive rimaste ferme allo sviluppo dei sette anni, Sam Dawson, affronta una situazione estremamente difficile: dal rapporto con una donna fuggita dall'ospedale subito dopo il parto, è nata una bambina, Lucy, che lui ha cresciuto ed educato, anche con l'aiuto di Anne, una pianista vicina di casa. Ora Lucy compie a sua volta sette anni, è sveglia e vispa più del padre, e i servizi sociali ritengono che sia opportuno sottrarla a Sam e affidarla ad un'altra famiglia. Ma Sam per primo sa che, al di là dei criteri oggettivamente e socialmente riconosciuti, esiste un legame, un valore che solo lui può dare alla bambina, quello dell'amore paterno. Deve però dimostrarlo e, incassato il rifiuto di tanti avvocati, ne trova infine uno in Rita Harrison, donna all'apparenza sicura e grintosa. Il periodo successivo passa tra tribunali, visite psichiatriche, testimonianze che si alternano in aula. Nell'interrogatorio conclusivo, che Rita aveva cercato di preparare, Sam entra in crisi, perde il filo del discorso, e il giudice decide di affidare Lucy a nuovi genitori. Tra i due c'è Randy, la moglie, che si affeziona a Lucy e, dopo un po', ne chiede l'adozione. Sam, che non si è rassegnato, va a vivere vicino a loro, fa visita spesso a Lucy. Randy allora capisce la profondità di questo affetto e non vuole interromperlo. Sam da parte sua sa che ora Lucy può avere la mamma che non ha mai avuto, e conservare il suo vero papà. Non é facile entrare nel mondo di Mi chiamo Sam. Anzi: é doloroso, spiazzante. Quando si vede per la prima volta Sean Penn che parla e si agita come uno spastico, le reazioni possibili sono due. La prima: quello non é un handicappato vero, é un divo di Hollywood che "fa" l'handicappato e questo è disgustoso; la seconda: ok, questa é la stoffa di un handicappato e io non ho alcuna voglia di trascorrere due ore del mio tempo in sua compagnia. La prima reazione é a suo modo giusta e vi avvertiamo fin d'ora; rimarrà, almeno per chi scrive, fino alla fine, fino al punto di condizionare il giudizio sul film. La seconda é feroce, ingiusta, ma comprensibile: in fondo qui si tratta di vedere un film, non di compiere scelte di vita. Ma la sagacia, l'astuzia - forse la bellezza - del film sta proprio nel metterti di fronte alle scelte suddette; nel costringerti a chiederti "cosa farei, io, se fossi al posto di Sam, o della figlia di Sam, o dell'avvocato di Sam o di coloro che comunque debbono decidere se Sam ha o non ha il diritto di vivere con la sua bambina?". Domande ardue. Dal film, si esce senza risposte. Tocca cercarle dentro di noi. Ed é per questo che Mi chiamo Sam é un film doloroso e importante". Sam é un giovanotto con un'età mentale di 7 anni. Lavora in uno Starbucks, una catena di bar che servono un pessimo caffè a milioni di americani (nel film hanno un ruolo importante che dov'essere costato molti dollaroni; Mi chiamo Sam, per la cronaca, é stracolmo di sponsor). All'inizio del film lo vediamo correre in ospedale perché sta per diventare papà: ha avuto una storia di una notte con una tizia, che subito dopo aver partorito lo molla lasciandogli la neonata a carico. Sette anni dopo, Sam ha sempre (mentalmente ) 7 anni, tanti quanti Lucy Diamond, la sua bellissima e intelligentissima bambina (la piccola attrice, di una bravura soprannaturale, é Dakota Fanning). L'ha chiamata così perché Sam ha un'unica passione nella vita: i Beatles. Sa tutto delle loro vite e cita a memoria le canzoni. Il problema é che molto presto (diciamo fra un anno) Lucy Diamond diventerà più matura, più "grande" di lui. Quindi il tribunale dei minori vorrebbe sottrargliela, e darla in adozione. Una famiglia per Lucy Diamond c'é già: ed é una bella famiglia, gentile, politicamente corretta. Ma Sam vuole la sua bambina e Lucy Diamond vuole il suo papà. Lei sa benissimo che ha dei problemi: all'amichetto che viene a trovarla a casa, e con la tipica, crudele sincerità dei bambini le chiede «perché tuo papà si comporta come un ritardato?» risponde tranquillamente «perché lo è». Ma gli vuol bene, e sa meglio di chiunque altro come assisterlo, come consolarlo. Ciò che la società non può capire é che Lucy Diamond é già più grande di Sam, é al tempo stesso sua figlia e sua madre. I tribunali non tengono conto di queste quisquilie. Per tenere la bimba con sé Sam dovrà trovarsi un avvocato. E quell'avvocato (per la serie "solo al cinema": qui il copione zoppica) avrà il volto e la sagacia di Michelle Pfeiffer. All'inizio Rita Harrison, il legale in questione, non sopporta Sam, e come darle torto? Ma il meccanismo é evidente (e molto hollywoodiano ): Rita ha una vita schifosa, tutto lavoro e niente svago, con un marito che la tradisce e un figlio che a malapena la riconosce. Lei darà a Sam l'assistenza legale, Sam la ricambierà con qualcosa di molto più importante: l'affetto, l'umanità, la capacità di capire cosa conta nella vita. Il passo successivo sarebbe stato tremendo: l'avvocata rampante di Los Angeles che si innamora del povero idiota Jessie Nelson, regista al secondo film (é più nota come attrice) che ha anche scritto il copione assieme a Kristine Johnson, non ha osato tanto. Ha tenuto Mi chiamo Sam in periglioso, ma a tratti miracoloso equilibrio ha il melodramma e il reportage sociale, ha la denuncia e il pietismo. Se cascate nel film, non ne uscirete: farete il tifo per Sam e sognerete di portarvelo a casa. L'esito è come sempre, ambiguo: Hollywood spettacolarizza la disabilità ma gli dà anche una forte visibilità, Sean Penn è al tempo stesso bravissimo e insopportabile. La colonna sonora (tutte cover dei Beatles) contribuisce alla carineria dell'insieme, la regia della Nelson (nervosa, sgangherata, volutamente sgrammaticata) la nega di continuo. Mi chiamo Sam é un oggetto inquietante e contraddittorio. Quindi vitale.
“Il grande cocomero”, Francesca Archibugi, con Anna Galiena, Sergio Castellitto, Italia 1993. A Roma Valentina, una dodicenne soprannominata Pippi, figlia di Cinzia e Marcello arricchiti ma senza ideali, forse ancora insieme solo per la figlia, in seguito ad un attacco di epilessia viene ricoverata nel reparto di neuropsichiatria infantile. Un giovane neuropsichiatra, Arturo, appena uscito da una crisi coniugale che sta sforzandosi di esorcizzare, sebbene sia convinto che il caso sia piuttosto di natura psicologica che psichiatrica e di cui la famiglia non ne è estranea, accoglie la ragazzina nel suo reparto, preso da interesse per la sua situazione. Pippi rivela subito un carattere scontroso e provocatorio; il rapporto con i genitori risulta difficile, per cui Arturo si propone di tentare con lei una relazione analitica, studiandone attentamente le reazioni per riportarla alla normalità. Nell'ambiente familiare, superficiale e contraddittorio, Pippì non trova né sicurezza, né affetto e viene lasciata sola a se stessa, mentre il reparto diventerà la sua nuova casa senza però porre non pochi problemi. Malgrado le gravi carenze strutturali e organizzative dell'ospedale e l'insufficienza di personale preparato, la giovane epilettica trova interessi e affetto nel medico terapista Arturo, al quale si apre pian piano con crescente fiducia. I giochi tra ragazzi, le biricchinate e le attenzioni che avrà verso una bimba celebrolesa a cui dedica il proprio tempo, la faranno migliorare un tantino, ma sarà proprio la morte inquietante della bimba a scatenare il rifiuto di Pippi nei confronti di Arturo e a indurla a un'autocrisi epilettica di protesta, che fornirà allo psichiatra la chiave di lettura per un'appropriato intervento… sarà proprio questa la molla che condurrà la giovane Pippì verso la guarigione, verso la scoperta de "il grande cocomero", di un futuro migliore tanto sognato anche dal protagonista del noto fumetto Charlie Brown.Ispirato all'esperienza di Marco Lombardo Radice, neuropsichiatra innovativo, il terzo film della giovane regista, prodotto in Italia nel 1993, ha avuto un grande successo di pubblico e molta attenzione da parte della critica. In un effetto scenografico di chiari-scuro, forse più immagini scure che chiare, sono ben inquadrate le strutture ospedaliere inadeguate, nel campo della malattia mentale, che purtroppo sono all'ordine del giorno in Italia. Sebbene il quadro negativo del film non rappresenti che un decimo del problema reale, l'operazione si può dire riuscita, se non altro per la sensibilizzazzione verso il problema.Le ingenuità della sceneggiatura sono compensate da un'ottima interpretazione di Castellitto e dall'agile regia della Archibugi.
"SAVIOR Il vendicatore disperato", Predrag Antonijevic con Dennis Quaid, Nastassja Kinski, USA 1998. Persa la famiglia in un attentato del fondamentalismo islamico, Joshua Rose s'arruola nella legione straniera e finisce nelle fila dei serbi durante il conflitto contro i croati del 1993. La guerra spietata non guarda in faccia a nessuno, alimentata dall'odio e dall'ansia di vendetta. Oliver Stone produttore, Robert Orr sceneggiatore e il serbo Antonijevic alla regia, gettano uno sguardo feroce sulla follia che ha imperversato nei Balcani fra assurdi conflitti intestini, pulizie etniche, stragi, guerre "sante" e personali. Lo fanno dall'interno, scegliendo come protagonista un anti-eroe (un grandissimo Dennis Quaid) che condivide con i serbo-croati la sete di sangue, pur essendo statunitense: la crudeltà, nata dal dolore della perdita, non è mai stata il retaggio di un ceppo etnico in particolare. Nel Caos della mente e dei corpi martoriati, l'innocenza di un infante, simbolo d'unione fra due popoli in conflitto, può risvegliare una coscienza assopita, confortare con sorrisi beati (ignari), far ravvedere all'ultimo istante (il penoso gesto di lei che sta per gettare il figlio dall'auto e poi lo stringe a sé). Il neo-Salvatore pungola l'istinto materno della ciociara che rifiuta il frutto del proprio grembo stuprato, le insegna di nuovo a sorridere, ad amare fino al gesto estremo (plateale ma memorabile la scena della ninnananna prima della strage). Dio dona e toglie, toglie e dona: vede l'uomo rantolare nelle tenebre, gli indica uno spiraglio di salvezza, lo tiene con il fiato sospeso, come Quaid farà con il bebé per salvargli la vita (in un'altra scena colma di pathos e tensione). Questa è la morale illustrata di una pellicola che, nonostante il sottotesto allegorico/messianico ed il sincero impegno edificante, non toglie mai gli occhi di dosso ad una realtà atroce ed insieme commovente. Opera passata ingiustamente inosservata.
"Prossima fermata: paradiso defending your life", Albert Brooks con Ethan Randall, Ernie Brown, S. Scott Bullock, Gary Ballard, Kristopher Kent Hill, Lillian Lehman, Meryl Streep, Shirley MacLaine, Rip Torn, Lee Grant, USA 1991. Daniel Miller, un giovane pubblicitario statunitense, schiantatosi con l'automobile appena comprata contro un pullman, si ritrova a Judgement City, la Città del Giudizio dove i defunti ritrovano i grandi alberghi ed i lussi di Las Vegas e nei ristoranti si mangia gratis ed a sazietà, col vantaggio, apprezzato soprattutto dalle signore un tempo a dieta, di non aumentare di peso. Tuttavia i trapassati devono subire una sorta di processo, che è poi una video seduta psicoanalitica, con un pubblico ministero, un avvocato e due giudici che scegliendo un certo numero di giorni da esaminare, in cui sono avvenuti episodi-chiave nella vita del giudicando, decideranno se costui sia idoneo ad un trasferimento a livelli superiori di perfezione oppure sia destinato ad un'ulteriore reincarnazione sulla Terra. Durante lo svolgimento del processo Daniel incontra Julia, una giovane donna morta cadendo malamente. Tra i due nasce un idillio "ultraterreno". A complicare le cose c'è Lena Foster, l'implacabile pubblica accusa di Daniel che cerca con ogni mezzo di dimostrare, con buoni fondamenti, che costui sia un vigliacco, malgrado le astuzie di Bob Diamond, l'avvocato difensore. Daniel viene così respinto, mentre Julia, che ha avuto un'esistenza generosa e piena di spontaneità, è destinata a progredire. Costretto a salire su un autobus diverso da quello di Julia per raggiungere la differente destinazione, Daniel, trovato il coraggio, si getta dal suo autobus e pericolosamente raggiunge l'altro dove si trova Julia: per tale fatto ottiene la "promozione" allo stesso livello superiore della donna ed il ricongiungimento con lei. E' un film leggero e divertente che affronta temi come "morte", "paura", "amore" e "post mortem" senza annoiare e senza drammatizzare. Nel "Processo e morte di Socrate" avevamo visto come Platone, nel Fedone, aveva affrontato il tema del dopo morte introducendo il concetto di Anima e affermando come essa sopravviva al corpo e vada in "cielo" se priva di attaccamenti per le cose terrene, e come invece rimanga nelle regioni basse se contaminata dalle ragioni del corpo. Filosofi, poeti e pensatori, da sempre si sono occupati dell'argomento. Uno di questi è Carl Gustav Jung. Egli, in "Ricordi, sogni, riflessioni" vi dedica un intero capitolo. Ovviamente da uomo di scienza quale era, non poteva schierarsi apertamente, perchè sarebbe stato costretto a produrre prove, però qui e là si lascia scappare frasi che manifestano abbastanza apertamente il suo pensiero. Ne riportiamo qualcuna: "Se riusciamo a capire e a sentire che già in questa vita abbiamo un legame con l'Infinito, i nostri desideri e i nostri atteggiamenti mutano" oppure "Sebbene non vi sia alcun modo di dar prove sicure della sopravvivenza dell'anima dopo la morte, ci sono tuttavia esperienze che danno da pensare" infine "da un certo punto di vista la morte è uno sposalizio, un mysterium coniunctionis, l'anima raggiunge per così dire, la metà che le mancava, realizza la sua completezza". Soprattutto questa ultima frase ci pare possa ben introdurci al film di cui trattasi. Infatti Daniel, il protagonista, per tutto il corso del film dà la sensazione di essere proprio una metà in cerca della parte mancante. Ma abbiamo citato Jung anche perché il film ha pure un'impronta psicanalitica, e da questo punto di vista condividiamo molte delle sue teorie (quattro funzioni, inconscio collettivo, archetipi dell'inconscio collettivo, principio di sincronicità, individuazione), in quanto in esse riusciamo a scorgere lo sforzo enorme fatto da un uomo di scienza, che con teorie al limite della scientificità, intende condurre molti fin davanti alla porta del misticismo e della ricerca spirituale in genere. Ma veniamo al film, il cui tema principale è "la paura": se Lena la jena, "l'accusatrice", proverà che Daniel nel corso della sua vita ha, almeno per una volta, avuto paura, egli non potrà proseguire, ma sarà costretto a ritornare sulla terra, per... ripetere. Apparentemente la cosa sembra una trovata da film, ma non è così. Troppi ricercatori hanno sottolineato l'importanza, per il discepolo sul sentiero, di vincere la paura: "L'esperienza tesa tra il desiderio e la paura, è impura e produce karma" (N. Maharaj: Tu sei Quello); "La paura è il primo nemico naturale che un uomo deve superare lungo il suo cammino verso la conoscenza" (Don Juan - Castaneda: A scuola dallo stregone); più o meno le stesse cose dice Gurdjieff in "Incontri con uomini straordinari". Ma perchè si ha paura? Perchè la maggior parte di noi si è identificata con il corpo, ed esso prima o dopo morirà e svanirà. Dunque, madre di tutte le paure è la morte. Per fortuna, però, ad ognuno di noi nascerà quella "sete di unità" (così la definisce Raphael in "Iniziazione alla filosofia di Platone"), di Assoluto, di Infinità, che ci darà lucidità, che sempre secondo il Don Juan di Castaneda è l'arma per sconfiggere la paura (arma che a sua volta diverrà il 2° nemico da sconfiggere..., ma questa è un'altra storia). Tutto questo, nel film, al nostro Daniel succede quando, vedendo l'amata allontanarsi su un altro autobus, prova quella sete di Unità di cui parlatasi ante. Ma quando si è lucidi, luminosi? Quando si Ama, si cerca l'unione con l'Assoluto. Ma anche qui Maharaj può dire l'ultima parola, ammonendoci: "Parlare di unificazione della persona con il Sé è improprio, perchè non c'è una persona, ma un'immagine mentale prodotta da una falsa realtà in cui si crede. Niente è stato diviso e niente c'è da riunire". Ma questo maestro parla dal punto di vista dell'Assoluto, e nessuno di noi può capirlo al momento. "Nei tempi passati vi furono uomini che videro Dio in faccia, perché questo non succede più" chiese un discepolo al suo rabbino. "Perchè oggi - fu la risposta - nessuno sa chinarsi tanto"(riportata da Jung in "Ricordi.....). Intanto di "paradiso" non si parla affatto, bensì di "Città del Giudizio"; questo è il "luogo" dove il ns/ protagonista Daniel [=Dio è mio giudice], viene proiettato dopo un incidente automobilistico in cui ha trovato la morte. Qui un sistema organizzativo impeccabile e in continuo perfezionamento, cerca [per la verità senza riuscirci un gran che] di metterlo a suo agio e di rendergli gradevole il soggiorno. Si rimane nella città del Giudizio 5 gg. in tutto, mentre i gg. del "processo" sono 4, e in essi si "rivedono" un variabile numero di gg. sotto accusa, per Daniel questi gg. sono 9. Il mattino dopo l'arrivo, compare in scena Bob Daemon, apprendiamo che è l'avvocato difensore; il pubblico accusatore si chiama Lena Foster. Nel primo incontro col suo Daemon, [che sa usare il 48% del suo cervello] Daniel viene a sapere che l'uso del cervello è la chiave dell'evoluzione: i cervellini della terra usano solo dal 3 al 5% delle loro cellule grigie e lui, Daniel è uno di quelli del 3%; viene anche a sapere che il gran nemico dei terrestri è la paura. Dopo un pasto succulento Daniel è libero... si reca al cabaret della città e qui conosce Giulia [=sacra a Giove], che deve rivedere solo 4 gg. della sua vita. Nel rivedere i 9 gg che gli toccano Daniel viene accusato di ogni "paura" da Lena che gli fa anche confessare di aver avuto paura di passare la notte con Giulia, pur essendone innamorato... è destinato dunque di nuovo alla terra [all'inferno]... ma alla fine, colpo di scena: per non perdere l'amata, egli trova il coraggio di seguirla, rischiando ogni pericolo, e i giudici [una nera e un bianco], convinti e commossi gli permettono di raggiungerla e di andare con lei nell'altrove... Il ns/ regista, autore e protagonista, affronta il tema della Morte scherzandoci su, e ci fa divertire; calca un po' la mano nelle scene dei ristoranti [forse ha sofferto la fame in qualche vita precedente o forse in questa ha avuto qualche problema di linea], ma nel complesso la sua idea del post mortem non ci pare del tutto sbagliata. La vita qui sulla terra [Assiah, mondo dell'azione] è una scuola; al termine c'è un esame, una "pesatura"; se si è troppo pesanti, occorre ripetere; per Albert Brooks, è la "paura" che fa pesare. Abbiamo posto la città del Giudizio in Malkuth di Yesod, il luogo della Luna, che riflette la terra [gli alberghi di varie categorie, le tv con le telenovele e i quiz, le pubblicità dei servizi offerti ecc.] e tutto il film, lo consideriamo lo sviluppo dell'Albero dell'astrale [di Yetzirah]. Collochiamo il padiglione delle vite precedenti in Yesod, da dove si può "vedere"; Lena in Hod, e Daemon in Netzach. Il Giudizio di Daniel avviene in Geburah [il soggiorno è di 5 gg e 5 è il numero di Geburah; il nemico è la paura e la paura si vince con il coraggio, che è la virtù di Geburah e inoltre la paura paralizza il sentimento e blocca l'uso del cervello, impedisce l'accesso al mentale, Briah]. Quando si riesce a vincere la paura, con lo sviluppo di Geburah, si diventa capaci di capire che l'Universo è tutt'Uno e noi ne facciamo parte; la comprensione dell'Unita' porta alla incapacità di nuocere a sé e agli altri...si diventa perciò in-nocenti, ma di quell'innocenza che viene dopo l'esperienza del male sofferto, quell'esperienza che fa tornare bambini per poter entrare nel regno dei Cieli. Daniel in Geburah opera il Tikkun [la riparazione]. Che dire di Giulia? Per Daniel conoscerla, visto il significato del nome Giulia, vuol dire unificare Geburah con Chesed [Giove] sviluppare cioè Tiphereth, il centro del cuore, il centro dell'Albero: l'equilibrio raggiunto dell'Astrale, permette il passaggio al Mentale... ed evita la rinascita sulla terra... presuppone la rinascita in un altrove, ma a questo punto il film termina.
"L'assedio", Bernardo Bertolucci, con Thandie Newton: Shandurai, David Thewliss: Mr. Kinsky, Claudio Santamaria: Agostino, ITALIA 1998.
Trama: Shandurai è una giovane africana, studentessa di medicina a Roma, che lavora in cambio di vitto ed alloggio come colf di mr. Kinsky, un pianista inglese schivo e solitario. Lei ha lasciato un paese dominato dalla dittatura ed un coniuge in carcere per motivi politici; lui si è trasferito a Roma avendo ereditato da una zia una casa su due piani collegati da una scala climacomorfa, affacciata sulla scalinata di Trinità dei Monti. Quello che si preannunciava come un piccolo (un'ora) film per la televisione è la più sensazionale opera italiana degli ultimi anni. Scritto dalla regista-sceneggiatrice Claire People e da Bernardo Bertolucci, "L'assedio" è tratto dal racconto del giovane inglese James Lasdun (edito da Garzanti) che il cambio di ambientazione da Londra a Roma non tradisce. Bertolucci compie notevoli variazioni di tono e di stile, tanto da trasformare un incontro multirazziale in un'avventura conradiana. Il regista parmense fruga nell'inquadratura ingombra di "ostacoli" - pareti, vasi, lenzuola stese al vento - e scopre stralci di luce, panorami inconsueti, immagini di una Roma mai vista, che gareggia con l'"ospite", l'Africa, raccontata come un magnifico "invasore". La macchina a mano (più steadycam) spazza lo schermo, simulando l'immagine sgranata televisiva, dal mercato di Piazza Vittorio con le bancarelle multicolori (come non ricordare le meravigliose pagine de "Il pasticciaccio brutto di via Merulana" di Gadda), al buio della misteriosa dimora dove l'europeo e l'africana s'inseguono in un crescendo di sensualità. Il film è una composizione musicale per immagini, inizia con venticinque minuti di silenzio e prosegue in una spirale di sguardi muti. La colonna sonora, per quanto avvolgente, non toglie allo spettatore il piacere di assaporare, sequenza dopo sequenza, la sofisticata tessitura fatta di accelerazioni farsesche e rallentamenti emotivi, di prospettive destrutturate e squarci abbaglianti. Una scena per tutte, il concerto al cospetto dei bambini in un crescendo quasi da "thriller". Illuminato da Fabio Cianchetti e "arredato" da Cinzia Sleiter, "L'assedio" è un film concepito in stato di grazia al cui ottimo risultato contribuiscono i due interpreti principali, bravi e palpitanti.
Una partitura per corpi, sguardi, musica e luci. Un film per la televisione che contiene tutto il cinema di ieri, oggi e domani. Una scintilla a 50.000 volt che scocca fra due poli vicini e lontani: la Roma multietnica di questi anni e l'Africa nera delle dittature militari, ovvero l'Occidente murato nel privilegio e il Terzo mondo più miserabile e dimenticato, fusi in una commovente parabola che ci fa toccare con mano la loro dipendenza reciproca. Una storia d'amore e di distanza. Una distanza invalicabile che si scioglie in un incontro purissimo, quasi miracoloso. Come il sole che lampeggia sul mare, inquadrato dal bordo di un vulcano (è la magnifica immagine iniziale, un po' Lightning over water di Wenders e Nick Ray, un po' L'eternità di Rimbaud, con un'eco del folgorante "corto" su Stromboli di Antonioni).
"Ti do i miei occhi Te doy mis ojos", Icíar Bollaín, con Luis Tosar, Laia Marull Spagna 2003, www.luckyred.it/tidoimieiocchi.
"Kramer contro Kramer - Kramer Vs. Kramer", di Robert Benton, Tratto dal romanzo di Avery Corman, con Dustin Hoffman (Ted Kramer), Meryl Streep (Joanna Kramer), Jane Alexander (Margaret), Justin Henry (Billy Kramer), Howard Duff (John Shaunessy), Howland Chamberlain (Giudice Atkins), George Coe (Jim O'Connor), Bill Moor (Gressen), Jack Ramage (Spencer), Jobeth Williams (Phyllis Bernard), Usa
"LA MIA VITA IN ROSA (MA VIE EN ROSE)", Alain Berliner, Ludovic: Georges Du Fresne, Hanna: Michèle Laroque, Pierre: Jean-Philippe Ecoffey, Elisabeth: Hélène Vincent, BELGIO, 1997.
per i film transgender vedi sito web: http://www.azionetrans.it/film.html
"The butterfly effect", di Eric Bress e J. Mackye Gruber, con Ashton Kutcher, Amy Smart, Kevin Schmidt, Melora Walters, Elden Henson, USA, 2004.
"Il Colore Della Notte (Color of the Night)", Richard Rush, con Bruce Willis, Jane March, Ruben Blades, Scott Bakula, Brad Bourif, Lance Henriksen, Jeff Corey, Shirley Knight, USA 1994.
Il suicidio, con salto dalla finestra sotto i suoi occhi, d'una paziente, consiglia lo stressato psicanalista Bill Capa a rifugiarsi a Los Angeles dal collega ed amico Bob More. Questi, che vive in una sorta di bunker avendo ricevuto minacce di morte, gli fa conoscere il suo gruppo di terapia: Sondra, matura erotomane, Richie, un ragazzo disadattato, con personalità instabile, Casey, un pittore "avantgrade", aggressivo quanto insicuro: Clark, un avvocato maniaco dell'ordine e dei numeri; Buck, il più anziano, un vero enigma Bob viene ucciso con 30 pugnalate, ed il tenente Martinez, che sospetta uno del gruppo, diffida invano Capa dal subentrare all'amico. Frattanto rose, una ragazza giovane che lo ha tamponato con l'automobile, diviene la sua amante, senza però lasciare il suo recapito, apparendo e scomparendo a sorpresa. Frattanto lo intriga il caso di Richie, che ha un fratello meccanico, Dale, che lo vorrebbe ad ogni costo sottrarre alla terapia. Indagando sul passato del ragazzo; Bill scopre che è stato violentato, in tenera età, da uno psichiatra, Niedelmeier, la cui vedova, interrogata da Capa, è ostile e reticente. Sondra e Clark, che hanno una relazione, si accusano a vicenda del delitto. Intanto un'automobile insegue quella di Bill per causarne la morte. La stessa automobile danneggiata, viene trovata da Bill parcheggiata davanti alla casa di Bruck, che egli narra dell'assassinio di moglie e figlia ad opera di un balordo, e che ora ha una giovane amica che egli ha cambiato la vita. Intanto il pittore Casey viene trovato sgozzato: parlava di una favolosa amante-modella, e Capa scopre nel suo studio una foto di Rose. In realtà la giovane ha avuto rapporti con tutti i pazienti, Sondra compresa. Interrogata nuovamente la vedova Niedelmeier, Bill scopre che Richie è morta, ed il ragazzo in terapia è in realtà Rose, costretta dal fratello Dave a condurre una doppia vita. In un rocambolesco finale, Bill salva Rose e se stesso dalla furia di Dale, che cerca di ucciderli con una chiodatrice.
"Serendipity - Quando l'Amore è Magia (Serendipity)", Peter Chelsom, con Stephen Bruce, Colleen Williams, Pamela Redfern, Eugene Levy, Brenda Logan, Mike Benitez, Kate Blumberg, Lucy Gordon, John Corbett, Bridget Moynahan, USA Dicembre 2001.
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