Non riesco a saziarmi di libri. E sì che ne posseggo un numero probabilmente superiore al necessario; ma succede anche coi libri come con le altre cose: la fortuna nel cercarli è sprone a una maggiore avidità di possederne. Anzi coi libri si verifica un fatto singolarissimo: l'oro, l'argento, i gioielli, la ricca veste, il palazzo di marmo, il bel podere, i dipinti, il destriero dall'elegante bardatura, e le altre cose del genere, recano con sé un godimento inerte e superficiale; i libri ci danno un diletto che va in profondità, discorrono con noi, ci consigliano e si legano a noi con una sorta di famigliarità attiva e penetrante. (Da una lettera di Giovanni Petrarca a Giovanni Anchiseo)
L'opera d'arte può colpirci a vari livelli, farci provare varie intensità di emozioni e credo che questo dipenda dal nostro vissuto e dal nostro livello di sensibilità e consapevolezza raggiunto... e la letteratura non si sottrae di certo a tale considerazione, ma fa ancora di più: nutre e fa crescere la nostra coscienza. (Bruno Bonandi)
N.B. Il testo delle recensioni in grigio chiaro svela il finale del libro, per cui si consiglia, a chi non lo volesse conoscere anticipatamente, di non leggerlo prima della lettura del libro.
I miei libri senza tempo (quelli che andrebbero riletti di tanto in tanto o che sono pietre miliari della mia conoscenza, e sono tanti, mi limiterò ad aggiungerne qualcuno saltuariamente):
Lei è una moltiplicatrice di dubbi, lui un
produttore seriale di risposte. Lei sta naufragando spinta dalla
corrente delle emozioni, lui è la saggezza condensata dopo secoli di
Storia. Lei non fa che sbagliare a ogni passo, lui si libra nell’aere,
fatto di pura essenza e ripete come un mantra “siamo tutti giusti e
perfetti”.
Jan-Philipp Sendker
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"Tutta un'altra vita Idee per vivere meglio" di Lucia Giovannini, Sperling & Kupfer, 2008. |
"L'intreccio", Marcello Orazio Florita, Franco Angeli, Milano, 2011.
«Questo volume nasce dalla necessità di conciliare il progresso delle scienze (filosofia, neuroscienze, psicologia, etc) ad una teoria dell'uomo e, dunque, alla psicoterapia. Per questo l'autore cerca di costruire un modello "più ampio possibile" che si sviluppa e si nutre delle recenti acquisizioni scientifiche. Il testo descrive l'applicazione del modello dei sistemi dinamici complessi all'uomo attraverso un intreccio profondo ed ineludibile tra scienza e clinica, filosofia e psicologia, corpo e mente, fisica e psicoterapia e tra psicoanalisi e neuroscienze. La psicoterapia è quindi concepita come una scienza che trae linfa vitale da riflessioni interdisciplinari, senza per questo perdere di vista il suo fascino e il suo mistero. Con lo scorrere delle pagine, l'intreccio tra la teoria e la clinica diventa sempre più fitto e coinvolgente. Si può dire che il libro mantiene vivo l'interesse proprio attraverso alcuni casi clinici che spiegano e rafforzano il paradigma teorico, animando e dando corpo ad ogni concetto, da quello più filosofico a quello più fisico, passando attraverso le recenti scoperte delle neuroscienze. Questo volume si rivolge agli appassionati di psicologia e psicoterapia, a chiunque ami pensare alla complessità: studenti, psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, appassionati di scienza, estimatori della complessologia, chiunque si alimenti di domande sulla propria vita interiore o sull'uomo stesso.»
- Io sono fautore dell'idea che il caso non esista.
Ho sempre sostenuto anche, che le variabili in campo siano talmente tante che sia impossibile, per uno che non sia Dio, riuscire a tenere il filo del senso del tutto.
Ma, io, che il caso non esista ne ho la "quasi" certezza! Più ci si addentra nel vasto mondo della conoscenza allargata e profonda, più ci è facile "sentire" quei fili sottili che collegano il tutto.
Sono stato contattato da Marcello, mi permetto di chiamarlo semplicemente per nome visto che è un collega, ma anche per quello che mi rende affine a lui dopo aver letto il suo lavoro, via e-mail, umilmente (l'umiltà credo sia il fondamento dell'onesto incomparabile sapere) e cortesemente mi ha chiesto di scrivere una recensione del suo testo e se avessi voluto, di pubblicarla sul mio sito (del quale si è complimentato).
Ne sono stato subito lusingato e mi sono prestato molto volentieri... ma non avrei mai creduto ad una affinità di interessi tale!
Marcello ha saputo cogliere nel mio sito questa grande affinità di personalità e me ne compiaccio, ma soprattutto mi compiaccio per la sua abilità empatica che farà molto bene al suo lavoro clinico. Gli interessi e la "malattia" degli instancabili lettori e ricercatori di conoscenza ci accomuna. Come ho aperto le prime pagine mi sono accorto subito che condividiamo anche la passione per i viaggi, quelli "veri", fatti di fatica! ...e perfino che avevamo condiviso un' esperienza sulle Ande, anche se probabilmente a distanza di parecchi anni.
Ma ogni pagina e ogni frase che ho incontrato mi erano già familiari, erano il mio pensiero strutturato e ben esposto in questo suo "Intreccio". Ogni citazione marcava il mio percorso, vedevo le orme lasciate da Marcello. La mia conoscenza della filosofia occidentale attraverso le sue citazioni, mi ha guidato in un mondo familiare.
La pratica della Psicoterapia che ci spinge ogni volta a lasciarci andare all'indeterminatezza del soggettivo e la conoscenza della teoria dei sistemi e della scienza della complessità, cono-scienza ancora in itinere, non possono che portare a fare coincidere i nostri pensieri che mi allontanano da quell'unica verità tanto rassicurante quanto bigotta imposta dal vecchio positivismo.
Sono molto compiaciuto per questa lettura che Marcello mi ha favorito e gliene sono grato.
Il suo lavoro partendo dalla teoria dei sistemi, nella quale si rivela specialista, si slancia dal presupposto che una nuova fisica (partita dalla mente di Einstein), una scienza complessa nuova (quella di Heisenberg, Touring e Freud), in controtendenza con quella vecchia "scienza" lineare che ormai spero di altri secoli (ma che ancora oggi detta legge in Accademia), finalmente non spezzi (da schizo), ma unisca l'UOMO. "L'intreccio" promuove una nuova mentalità aperta che cerca di unificare il sapere e la conoscenza nel tentativo di ricomporre l'UOMO ormai frantumato in mille pezzi e portarlo alla sua seppur fragile interezza per non lasciarlo in pasto agli avvoltoi della cinica fredda, sterile e stagna (oltre che stagnante) specializzazione.
La scienza della complessità si interessa di tutte quelle variabili che a volte arrivano perfino a sembrare in contraddizione nella ricerca di una spiegazione. Forse, e Marcello mi fornisce la ragione di crederlo, è arrivata l'ora di considerare il bene e il male facenti parte della stessa unità... una unità che sola ci può concedere quel "misero" libero arbitrio umano, e quindi di cercare di finirla con questa suddivisione artificiosa che in occidente ha costruito un sapere lottizzato in cui il potere della conoscenza è suddiviso fra le due più potenti istituzioni: la Medicina e la Chiesa così rindondanti di false certezze!
Ora con l'inserirsi di una terza branchia della conoscenza, giovane e recalcitrante, che deve farsi spazio a spallate tra lo strapotere della religione e quello della medicina, tra spirito e corpo, costretta a fare i conti con il corpo, ma contemporaneamente e indissolubilmente anche con lo spirito, abbiamo la possibilità di scardinare questa rigida divisione forzata del sapere (che per altro è tutta nostra, perché la cultura dell'Oriente non l'ha mai minimamente considerata). Il progressismo della Psicologia che scardina, perché non ha nulla da perdere a confronto delle altre due istituzioni così potenti radicate e rigide, ci può fornire questa possibilità e Marcello cavalca con eleganza e abilità in groppa a questo giovane e focoso destriero ancora non del tutto domato.
Marcello è riuscito in questo testo a sistematizzare, a strutturare questo passaggio epocale dalla vecchia scienza ai nuovi paradigmi della nuova scienza della complessità, con molta chiarezza e semplicità.
Ringrazio vivamente lui per questa occasione che mi ha fornito e consiglio questo testo adatto ai cultori, a chi come noi è appassionato di sapere e ama veleggiare tra i flutti di un mare misterioso e ancora inesplorato alla ricerca di un'avventura intensa per la coscienza, di inoltrarsi nella lettura di questo suo lavoro e auguro a tutti di provare lo stesso entusiasmo che la sua abilità nello scrivere ha procurato a me.
Solo un consiglio Marcello, se posso permettermi, di aprire un po' di più alla cultura e filosofia che ci viene dal lontano Oriente, ti accorgerai quanto sia già stato detto e scritto da loro su questo nostro per noi nuovo atteggiamento "scientifico" che oggi stiamo giustappunto acquisendo in Occidente e inoltre, la tua abilità di scrittore, caro Marcello, che trasuda pienamente nelle pagine di questo libro, mi piacerebbe fosse donata ad una vastità maggiore di pubblico, mi auguro che la tua dote non venga preservata solo per "i cultori". Credo ci sia, oramai, il bisogno di di-vulgare questa impostazione della ricerca di sapere, ce ne è una grande necessità per scardinare in fretta il concetto di "oggettivo" di cui tanto abbiamo abusato da riuscire a mettere in campo guerre sante e guerre preventive in nome di una unica VERITA'. Dell'"Intreccio", potresti anche farne un romanzo, perché no? -
Grazie Marcello, grazie per avermi dato questa opportunità. Bruno Bonandi
"La felicità viaggia sempre in incognito", Laurent Gounelle, Sperling & Kupfer, 2011.
Il libro di Gounelle Laurent édito da Sperling & Kupfer è la storia di un giovane uomo di soli ventiquattro anni che si ritrova ad un punto della sua vita con la consapevolezza di aver vissuto un totale fallimento.
Tutto è cominciato da quando era piccolo, con l’essere abbandonato da un padre di cui non ha mai visto il volto ed a questo dolore portato avanti per troppi anni si è aggiunta la fine di un amore che per Alan ha rappresentato la ciliegina sulla torta di una vita già dolorosa. Sì perché Alan, innamorato della sua compagna, ritrova un biglietto di addio che inspiegabilmente mette fine a quell’amore per lui molto importante.
E’ così che decide di dare una svolta a quella vita così ostile e in una sera d’estate si reca sulla torre Eiffel intenzionato a volare via.
Proprio mentre sta maturando quel folle gesto, viene avvicinato da un uomo che gli promette un cambiamento, lo rassicura dicendogli che lo trasformerà in un uomo diverso, libero.
È una tiepida sera d'estate e il cielo di Parigi risplende di stelle. Ma questo non basta a scaldare il cuore di Alan: da quando Audrey, il suo grande amore, lo ha lasciato con un inspiegabile biglietto di addio, nulla sembra più avere un senso per lui. A ventiquattro anni, non ne può più di un'esistenza che assomiglia troppo da vicino a un'unica, infinita serie di delusioni: un lavoro sempre più frustrante, il vuoto di un padre mai conosciuto, l'amore volato via. E così che, in cima alla Tour Eiffel, con le luci della città che brillano sotto di lui, Alan prende la sua decisione: la farà finita, salterà nel vuoto.
Ma in quel momento si accorge che qualcuno lo sta chiamando. Uno sconosciuto. "Ascoltami, e farò di te un uomo felice." Poche parole, eppure bastano per spalancare di fronte ad Alan una magia nuova: qualcuno, inaspettatamente, gli sta dando una seconda possibilità. Ora sta a lui scegliere se fidarsi o no dell'uomo misterioso che gli si è materializzato accanto, nel buio. E della sua stessa capacità di ritrovare la voglia di vivere e, soprattutto, l'amore. Anche a costo di correre il rischio più grande della sua vita
"La maga delle spezie" Chitra Banerjee Divakaruni, Einaudi, 2010. Una vecchia signora indiana in una botteguccia di Oakland, California, con le sue mani nodose sfiora polveri e semi, foglie e bacche, alla ricerca del sapore più squisito o del sortilegio più sottile. E' Tilo, la Maga delle Spezie. La sua storia inizia in uno sperduto villaggio indiano dove la rapiscono i pirati, attratti dai suoi arcani e misteriosi poteri, per portarla su un'isola stregata e meravigliosa. Lì Tilo apprende la magia delle spezie che in America le permetterà di aiutare chi, come lei, si è lasciato l'India alle spalle. Nella Bottega della Maga, dunque, sfilano vite e desideri, fatiche e speranze d'immigrati, e le spezie, con i loro mille, minuscoli occhi, scrutano ogni gesto della loro signora.
Ad appena trent'anni Wolfgang Pauli era uno dei teorici più originali e brillanti della nascente fisica quantlstica, che stava polverizzando le certezze della meccanica classica in nuvole di probabilità. Eppure ogni notte si ritrovava a vagare nei quartieri a luci rosse, fra prostitute e ubriaconi, in preda alla depressione e all'alcol. Fu proprio la sua doppia vita che lo indusse a rivolgersi a un luminare di un'altra scienza nuova e rivoluzionaria, la psicologia: Carl Jung, discepolo ribelle di Freud e instancabile indagatore di un inconscio collettivo popolato di archetipi. Dall'analisi dei sogni di Pauli emerse un profluvio di simboli e figure arcane che fu di ispirazione per terapeuta e paziente. L'incontro tra questi due versatili geni si trasformò così in una straordinaria collaborazione che aspirò a elaborare un linguaggio comune per la fisica e la psicologia, a trovare un ponte tra materia e spirito, ragione e misticismo. A simboleggiare questa ricerca d'unità fu un numero "magico", il 137, una costante fisica universale che definisce le caratteristiche del mondo, ma anche la somma dei valori numerici dei caratteri ebraici in "Cabala". Arthur I. Miller intreccia le biografie parallele di due geni del Novecento e indaga il loro fecondo rapporto, sullo sfondo di una Mitteleuropa in fermento, pronta alla sua ultima fioritura intellettuale prima che l'ombra del nazismo ne spegnesse definitivamente i fulgori. Gli anni Cinquanta, con la morte prematura di Pauli e l’imporsi di quello che Werner Heisenberg, suo amico e collega, definì con una punta di ironia il «sano pragmatismo americano», sancirono la fine di una stagione irripetibile, eclissando il nobile sogno di un connubio universale tra scienza e psiche.
vedi anche: http://dovesonoleragazze.blogspot.com/
"Il giorno in cui mia figlia impazzì", Michael Greenberg, Rizzoli, 2009.
“Non esiste una cura per la sindrome maniaco-depressiva, ma è possibile conviverci valendosi di vari aiuti: le medicine, la comprensione dei suoi meccanismi [...] senza tralasciare la psicoterapia”
fonte: www.Corriere.it
«Il 5 luglio del 1996 mia figlia è diventata matta». Inizia così, senza preamboli, il libro di Michael Greenberg, Hurry Down Sunshine, per poi passare a narrare gli eventi con foga quasi torrenziale. La malattia esplode all’improvviso: Sally, la figlia 15enne di Greenberg, da qualche settimana è molto eccitata: ascolta in continuazione le Variazioni Goldberg di Glenn Gould con il walkman, legge un volume di sonetti di Shakespeare quasi tutta la notte.
Greenberg scrive: «Apro il libro a caso e trovo un groviglio di frecce, annotazioni, parole cerchiate. Il tredicesimo sonetto sembra una pagina del Talmud, i margini sono talmente pieni di commenti che il testo al centro quasi scompare». Sally scrive anche delle poesie, che ricordano quelle di Sylvia Plath. Il padre le legge di nascosto e le trova strane, ma non pensa che l’umore o le attività della figlia abbiano tratti patologici. Da bambina Sally ha avuto difficoltà di apprendimento, ma ora le sta trionfalmente superando e sta scoprendo per la prima volta le sue capacità intellettuali. Questa esaltazione è normale in una quindicenne molto dotata — almeno così sembra.
In quel caldo giorno di luglio, però, Sally crolla. Ferma le persone in strada investendole con un fiume di parole, pretendendo di essere ascoltata, scuotendole; poi si butta in mezzo al traffico, convinta di poter fermare le macchine semplicemente con la forza della volontà (un amico pronto di riflessi riesce a trascinarla via appena in tempo). Qualche giorno prima, osservando alcune bambine giocare, Sally ha avuto una visione: si è convinta che abbiamo perso la «genialità» originaria e illimitata che Dio ha dato a ciascuno di noi e crede che la sua missione sia quella di aiutare gli altri a recuperare questo dono. È questa idea che la induce a rivolgersi a sconosciuti per strada; il suo bizzarro comportamento deriva dalla sensazione di avere dei poteri speciali. I suoi genitori lo capiscono quando, il giorno dopo, la interrogano.
Più che dalle sue appassionate convinzioni, però, il padre e sua moglie sono sorpresi dal suo modo di parlare: «Pat e io siamo scioccati, non tanto da quel che dice ma da come lo dice. I suoi pensieri prorompono e si accavallano in una sfilza di parole scombinate; ogni frase si sovrappone alla precedente, lasciandola incompleta. Siamo confusi, abbiamo difficoltà ad assorbire la quantità di energia che sgorga dal suo corpo minuto. Sally gesticola, protende il mento… il suo desiderio di comunicare è così impetuoso da essere un tormento. Ogni parola è per lei come una tossina che deve espellere dal corpo. Più parla più diventa incoerente, e più diventa incoerente più sente l’urgenza di farsi capire! Guardandola mi sento impotente, ma anche galvanizzato dalla sua vitalità».
Si potrebbe chiamare mania, follia o psicosi — uno squilibrio chimico nel cervello — ma si presenta come un’energia primordiale. Greenberg la paragona a «una rara forza della natura, come una bufera o un’alluvione: distruttiva, ma a modo suo anche stupefacente». Questa energia senza freni somiglia a quella che accompagna la creatività, l’ispirazione o il genio, e in effetti è così che Sally la sente in sé — non una malattia, ma l’apoteosi della salute, la liberazione di una parte di sé profonda e fino ad ora repressa.
I genitori di Sally sono sconcertati quanto lei, anzi di più, perché non hanno la sua folle sicurezza. Si chiedono se faccia uso di qualche droga, Lsd o magari peggio; se si tratti di un problema che le hanno trasmesso per via genetica, o se le hanno fatto qualcosa di terribile in una fase critica dello sviluppo. Lo ha sempre avuto dentro di sé, anche se si è scatenato così improvvisamente? Sono le domande che si fecero anche i miei genitori nel 1943, quando mio fratello Michael ebbe a quindici anni un episodio di psicosi acuta. Vedeva «messaggi» dappertutto, pensava che i suoi pensieri venissero letti o trasmessi, aveva eccessi di uno strano riso convulso e credeva di essere stato trasportato in un altro «regno ». Allora gli allucinogeni erano una rarità, quindi i miei genitori, che erano entrambi medici, si chiesero se il suo comportamento fosse causato da una malattia, come una disfunzione tiroidea o un tumore al cervello. Alla fine capirono che mio fratello soffriva di psicosi schizofrenica. Nel caso di Sally i test clinici escludono problemi legati alla tiroide, all’uso di droghe o a tumori. La sua è «solo» una psicosi maniacale, acuta e pericolosa (tutte le psicosi sono potenzialmente pericolose, almeno per l’incolumità del paziente).
Si possono avere episodi di esaltazione maniacale — o di depressione — (avere fissazioni o allucinazioni, perdere di vista la realtà) senza essere psicotici. Sally però ha varcato la soglia, e in quel caldo giorno di luglio è accaduto qualcosa, qualcosa si è spezzato. Improvvisamente è diventata un’altra persona — ha un aspetto diverso, parla in modo diverso. «Tra noi ogni punto di contatto era svanito», scrive il padre. Ora lo chiama «padre», invece di «papà», e parla con «una voce forzata, falsa, come se recitasse battute imparate a memoria»; «i suoi occhi castani di solito caldi sono vitrei e scuri, come ricoperti da una mano di lacca ».
Da principio i genitori si sforzano di credere (come fa anche Sally) che lo stato di eccitazione sia un fatto positivo, non una condizione patologica. La madre prova a vederlo sotto una luce New Age: «Sally sta passando un periodo così, Michael, ne sono sicura; non è una malattia. È una ragazza molto spirituale… Attraversa una fase essenziale della sua evoluzione, è il suo cammino verso un dominio più elevato».
Greenberg la pensa in modo simile, James Joyce con la figlia Lucia a Parigi nel 1924 anche se si esprime in termini più prosaici: «Anch’io volevo credere a una cosa del genere, credere che fosse un progresso, una vittoria, l’atteso sbocciare della sua mente. Come si fa però a distinguere tra la “divina follia” di Platone e un discorso senza senso? Tra l’entusiasmo e l’incoerenza? Tra chi è profeta e chi invece è “clinicamente pazzo”?» (Greenberg fa notare che James Joyce si era trovato in una situazione simile con la figlia Lucia, schizofrenica. «Le sue intuizioni sono incredibili», diceva Joyce. «Se c’è in me una scintilla gliel’ho trasmessa, e il suo cervello ne è stato incendiato». Dirà poi a Beckett: «Non è una folle che vaneggia, ma solo una povera bambina che ha cercato di fare troppo, di capire troppo»).
Ma presto diventa chiaro che Sally è davvero psicotica e ha perso il controllo di sé, e i genitori la portano in una clinica psichiatrica. Dapprima lei è contenta, pensando che infermiere, assistenti, psichiatri siano le persone più adatte a capire le sue intuizioni, il suo messaggio. La realtà, però, è brutalmente diversa: Sally viene rinchiusa e sedata con tranquillanti. La descrizione che Greenberg dà del reparto ha i toni densi e ricchi di un romanzo e presenta una serie di personaggi degni di Cechov. All’ospedale non cercano di capire Sally — la sua mania è trattata anzitutto come un problema medico, uno squilibrio chimico del cervello, da affrontare in termini di neurochimica. Purtroppo Sally non risponde al litio, che si è dimostrato fondamentale per molti pazienti con problemi maniaco-depressivi, e i medici devono quindi ricorrere a forti dosi di tranquillanti, che sedano la sua eccitazione ma la lasciano stordita e apatica. Per il padre, vedere la figlia adolescente in quello stato da zombie è quasi altrettanto scioccante che vederla sovraeccitata.
Dopo ventiquattro giorni di questo trattamento, Sally viene dimessa, anche se ha ancora idee fisse e deve continuare a far uso di tranquillanti. Fuori dell’ospedale incontra una terapista eccezionale, che la tratta da essere umano e cerca di capire i suoi pensieri e sentimenti. La dottoressa Lensing si rivolge a lei in modo assolutamente diretto. «Scommetto che senti di avere un leone dentro di te», sono le prime parole che le dice. «Come fa a saperlo?». Sally è stupita e abbandona ogni sospetto. La dottoressa Lensing continua a parlare della sua mania come se fosse una specie di creatura, un altro essere dentro di lei. Cerca di indurre Sally a distinguere la sua psicosi dalla sua vera identità, a distaccarsi dalla psicosi in modo da vedere la complessa e ambigua relazione che ha intessuto con essa. (La psicosi «non è un’identità», le dice seccamente). Ne parla con il padre, perché è necessario che anche lui capisca, se si vuole che Sally migliori.
«Sally non vuole essere isolata, è proiettata verso l’esterno e questo è un fattore estremamente positivo. Desidera essere capita, e non solo da noi: anche lei vuole capirsi». La dottoressa Lensing considera il desiderio di Sally di tornare ad avere dei sinceri contatti con gli altri, di capire e di essere capita, di buon auspicio per il suo ritorno alla salute, il ritorno alla terra. L’abbandono definitivo delle folli altezze della mania è per Sally quasi altrettanto improvviso dello scatenarsi della malattia avvenuto sette settimane prima. Dice Greenberg: «Sally e io siamo in cucina. Ho passato la giornata a casa con lei, lavorando a una sceneggiatura.
“Vuoi una tazza di tè?”, le chiedo.
“Sì, mi andrebbe, grazie”.
“Con latte?”.
“Sì, e miele”.
“Due cucchiaini?”.
“Sì. Li metto io. Mi piace guardare il miele colare giù dal cucchiaio”.
Qualcosa nel suo tono attira la mia attenzione: l’inflessione della voce, il modo diretto e caldo di parlare. Non la sentivo così da mesi. I suoi occhi si sono addolciti. Cerco di essere cauto, per timore di ingannarmi, ma il cambiamento è evidente. È come se fosse avvenuto un miracolo. Il miracolo della normalità, dell’esistenza ordinaria… Mi sembra di aver vissuto per tutta l’estate dentro una favola. Una bella ragazza viene trasformata in una pietra indifferente o in un demone. È separata dalle persone care, dalla lingua, da tutto quel che era suo. Poi l’incantesimo si rompe e lei si risveglia… ».
Dopo l’estate di pazzia, Sally ritorna a scuola — con ansia, ma decisa a riprendersi la sua vita. Dapprima non parla della malattia, e apprezza la compagnia delle tre amiche che nella classe le sono più affezionate. «Spesso — scrive il padre — la sento parlare con loro al telefono, in modo intimo, tagliente, pettegolo: l’atteggiamento allegro di una ragazza sana ». Dopo qualche settimana di scuola, e dopo averne discusso con i genitori, Sally racconta alle amiche della sua psicosi: «Loro la accettano senza problemi. Essere stata in un reparto psichiatrico rende Sally importante. È una sorta di credenziale. È un luogo che le amiche non conoscono. Diventa il loro segreto». Sally riacquista la salute, e qui la storia potrebbe avere fine. La sindrome maniaco- depressiva, però, ha la particolarità di essere ciclica, e in un post-scritto al libro Greenberg dice che Sally ha avuto due ricadute: la prima dopo quattro anni, quando era all’università, la seconda dopo altri sei anni. Non esiste una cura per la sindrome maniaco-depressiva, ma è possibile conviverci valendosi di vari aiuti: le medicine, la comprensione dei suoi meccanismi (in particolare riducendo al minimo le situazioni di stress come la perdita del sonno e facendo attenzione a captare i primi sintomi dell’eccitazione maniacale o della depressione), senza tralasciare la psicoterapia.
Per profondità, ricchezza e intelligenza, Hurry Down Sunshine va considerato un classico del suo genere. Quel che lo rende un libro unico, però, è essere narrato dal punto di vista di un genitore straordinariamente aperto e sensibile, un padre che, senza mai cedere al sentimentalismo, mostra una notevole capacità di capire i pensieri e i sentimenti della figlia e una abilità rara nel trovare le immagini e le metafore giuste per descrivere stati d’animo quasi inimmaginabili.
Decidere di «raccontare» e di pubblicare il resoconto dettagliato della vita di un paziente, di mostrarne la vulnerabilità e la malattia, è una questione moralmente delicata, piena di pericoli di varia natura. La lotta di Sally con la psicosi non dovrebbe rimanere una faccenda privata e personale? Perché suo padre dovrebbe mostrare al mondo le sofferenze della figlia e della sua famiglia? E quale potrebbe essere la reazione di Sally al vedere esposti pubblicamente i suoi tormenti e le sue esaltazioni di adolescente?
Scrivere questo libro non è stata una decisione rapida o scontata né per Sally né per il padre. Greenberg non ha iniziato a scrivere nel 1996, durante la malattia della figlia; ha aspettato, meditato, assorbito l’esperienza. Ha discusso a lungo con Sally e solo dopo più di dieci anni ha sentito di poter trovare l’equilibrio, la distanza e il tono giusti per scrivere Hurry Down Sunshine.
Anche Sally è giunta alla stessa conclusione, esortandolo non solo a scrivere la sua storia, ma anche a usare il suo vero nome, senza pseudonimi. È stata una decisione coraggiosa, considerando il marchio col quale sono ancora bollati i malati mentali.
È un marchio che colpisce molti, perché le malattie maniaco-depressive esistono in tutte le culture e affliggono almeno una persona su cento. In questo momento ci sono al mondo milioni di persone, alcune anche più giovani di Sally, che devono affrontare quel che ha passato lei. Hurry Down Sunshine è un libro lucido, umano, illuminante; è una specie di guida per chi deve avere a che fare con le regioni oscure dell’anima, ed è utile anche ai familiari, agli amici e a tutti coloro che vogliono essere vicini ai loro cari in difficoltà. Forse ci ricorderà anche quanto è stretto il lembo di normalità nel quale ci muoviamo, tra gli abissi della mania e della depressione che si aprono ai suoi lati. di Oliver Sacks
© 2008 by Oliver Sacks (Traduzione di Maria Sepa) JEANLOUP SIEFF, «INA A EAST HAMPTON, NEW YORK» (1963)
15 marzo 2009
Il potere della parola. La parola come strumento per vincere al gioco della vita", Scovel Shinn Florence, Armenia, 2009.
Questo libro, opera di una delle scrittrici più amate e ispirate d'America, Florence Scovel Shinn, raccoglie due saggi - "Il messaggio" e "La magia delle parole" - che illustrano in maniera esemplare la sua filosofia esistenziale, semplice ed efficace: il potere di cambiare la nostra vita risiede in noi stessi! Possiamo raggiungere qualunque obiettivo partendo dalle parole, imparando a sfruttarne la potenza evocatrice per far sì che si avverino i nostri desideri. In questo senso, l'autrice ci offre una guida preziosa per imparare a trasformare le sconfitte in vittorie, la povertà in ricchezza, la paura in fede e l'odio in amore. In particolare, il secondo saggio contiene una selezione di affermazioni positive, che costituiscono un esempio probante della validità e dell'attualità di questa tesi.
"La tristezza vitale. Fenomenologia e psicopatologia della melanconia", Gozzetti Giovanni, Fioriti, 2008.
"In questo saggio, giunto alla seconda edizione rinnovata e ampliata, torno a parlare della melanconia, come è intesa da sempre... vale a dire una sorta di mixage tra quella che chiamiamo depressione monopolare e il disturbo melanconico. M'ispiro alla psicopatologia fenomenologica e alla psicoanalisi, e riservo un maggior rilievo alla prospettiva metodologica ed epistemologica, resasi necessaria per i cambiamenti sopraggiunti nel modo di intendere i sintomi e i segni derivanti dalla pratica psichiatrica attuale. Le professioni di psichiatra e di psicologo clinico impegnati in un approccio psicoterapeutico comportano la necessità di trovare dei ponti di comunicazione tra concezioni diverse. Le vicende della mia formazione mi portano a cercare liberamente dei punti di contatto, delle ibridazioni, che tengano conto dei loro precisi limiti, ma senza un purismo ossessivo, perché lo psichiatra-psicoterapeuta è persona unica e ha necessità di utilizzare un sapere necessariamente policentrico e quindi dialettico." (Dall'introduzione dell'autore).
"Il déjà vu", Brown Alan S., Rubettino, 2008.
L'esperienza del déjà vu rappresenta un curioso fenomeno psicologico. Compendiando le numerose ricerche effettuate finora ed affidandosi ad un approccio quanto più possibile multidisciplinare Alan S. Brown indaga le possibili cause del déjà vu, offrendo al lettore non soltanto un riassunto dei principali approcci teoretici al problema ma anche una solida base di partenza in vista di ricerche supplementari.
"La soluzione HeartMath® per trasformare l'ansia", Doc Childre e Debora Rozman, Amrita, 2009.
L’ansia può minare la vostra energia, la vostra gioia e vitalità. Ora, però, gli scienziati del prestigioso Istituto HeartMath hanno adattato le loro tecniche rivoluzionarie, trasformandole in un programma semplice e veloce da usare per liberarvi dall’ansia una volta per tutte. Il metodo HeartMath parte dalla scoperta che pensieri ed emozioni influenzano il ritmo cardiaco: focalizzandoci su sensazioni positive che vanno dalla gratitudine alla sollecitudine, alla compassione, riuscirete a passare dal caos alla coerenza cardiaca, con straordinari risultati. La coerenza cardiaca è uno stato misurabile, biologico, di grande equilibrio e benessere.
"Non ti amerò così per sempre", Vidulli Paola, Lampi di Stampa, 2009.
Incrociando il proprio vissuto con la bibliografia disponibile sull'amore e sulle relazioni e i numerosi film a carattere sentimentale, Paola Vidulli svolge un'analisi dei comportamenti individuali condizionati dall'attuale fuorviante cultura dell'amore romantico, fornendo così molte chiavi interpretative delle dinamiche più comuni. Allargando l'analisi all'evoluzione sociale, culturale e umana in corso, tenta di far comprendere come l'attuale crisi delle relazioni sia una crisi di guarigione, ma anche come sia necessario difendersi da molti condizionamenti esterni che influenzano quotidianamente il vissuto di ognuno. Con un linguaggio semplice e l'ausilio di dialoghi tratti da diversi film, il volume apre uno spiraglio sul futuro delle relazioni d'amore spiegando, come anticipato dal titolo, che l'amore è un processo mutevole, non perché destinato a esaurirsi, ma perché, comprendendone il senso, è possibile farlo crescere e maturare nel tempo. Sessioni di cineterapia individuali o di gruppo, basate su un'ampia selezione di film allegata, suddivisa per argomento, possono essere uno strumento da affiancare alla lettura del libro per portare i lettori verso questa nuova cultura dell'amore, basata sulla reale parità tra uomo e donna e sull'abolizione di ogni dinamica di potere e sottomissione, conscia o inconscia.
"Noi siamo favole", Gioppato Luisella, Salani, 2008.
Da sempre favole e fiabe sono il cibo fondamentale della psiche del bambino, l'alimento indispensabile che rende possibile lo sviluppo di una personalità equilibrata. Un bambino che non si è nutrito di storie diventa spesso un adulto incapace di affrontare la realtà e i suoi ostacoli, spesso pronto a evitarli attraverso facili (e spesso pericolose) scorciatoie. Ma la favola può fare di più: attraverso la metafora mette in scena dinamiche universali, permettendo al bambino di comprendere, accettare e affrontare i conflitti; concorre al raggiungimento del benessere psichico, un benessere che si basa su un'adeguata capacità di sentire, riconoscere e esprimere le proprie emozioni, i propri bisogni e i propri desideri. Attraverso dunque lo stimolo dell'immaginazione, ogni favola diventa uno strumento prezioso per fare emergere gioia e paura, odio e amore, gratificazione e senso di colpa; per superare la barriera dell'isolamento e della sfiducia, in questo modo aiutando anche il bambino (e l'adulto) più chiuso a conoscere se stesso e gli altri, rispettarsi reciprocamente, difendersi e arricchirsi. Di facile lettura, corredata di schede con attività di laboratorio e riflessioni, questa raccolta di favole, frutto di un lungo lavoro di ricerca e di sperimentazione, offre dunque un valido sostegno terapeutico per aiutare bambini e genitori a comprendere e accettare paure, limiti e difficoltà ma anche per trovare soluzioni, armonia e completezza.
"Emozioni per crescere. Come educare l'emotività", Cervi Manuela, Bonesso Carluccio, Armando, 2008.
L'emotività deve essere compresa e comunicata attraverso un codice, una forma, un linguaggio come la poesia, la letteratura e la filosofia. In tale contesto la scuola è oggi indispensabile. Insieme alla famiglia dovrebbe, infatti, garantire l'ingresso nella società non di individui o di soggetti indifferenziati, ma di persone capaci di pensare, creare e costruire, in ambiti che richiedono forti motivazioni personali, capacità di relazione personale e interpersonale, affettiva e sociale.
"Il Miraggio di 'Conosci te Stesso'. Coscienza, linguaggio e libero arbitrio", Luciano Peccarisi. Armando Editore - Settembre 2008.
Ci si può veramente conoscere, oppure è solo una pia illusione? Bisogna essere in grado di pensare a se stessi, parlare di sé a noi e agli altri ed avere piena libertà di farlo. I progressi delle scienze hanno fatto si che conoscere il resto del mondo sia forse più alla nostra portata che non conoscere noi stessi.
E' quanto cercano di spiegare alcuni tra i maggiori esperti della filosofia della mente, di neuroscienze, psicologia, linguistica, antropologia, riuniti in un congresso immaginario in cui si svolge un dibattito serrato sui temi della coscienza, del linguaggio e del libero arbitrio.
"I filosofi e l'amore. L'eros da Socrate a Simone de Beauvoir", Lancelin Aude, Lemonnier Marie, Cortina Raffaello, 2008.
Intermediario tra l'umano e il divino per Platone, in Lucrezio l'amore è una lusinga mortale. Sfida di tutta una vita per Kierkegaard, in Schopenhauer è una semplice astuzia dell'istinto sessuale. Ma Aude Lancelin e Marie Lemonnier svelano anche alcuni aspetti poco noti della vita amorosa dei grandi pensatori. Il dongiovannismo frenetico di Sartre, la leggendaria assenza di ogni pulsione erotica in Kant, i fiaschi di Nietzsche con le ragazzine, episodi tragici o divertenti da cui ciascuno potrà trarre lezioni per la propria vita.
"Da quando non ci sei", Candlish Louise, Sperling & Kupfer, 2008.
Nel matrimonio di Rachel non c'è più amore. Suo marito ha interesse solo per il lavoro, in casa è sciatto, per di più beve, e non c'è verso che ricordi la data del compleanno della loro bambina. Non si accorge nemmeno che sua moglie, per disperazione, ha cominciato ad andare a letto con uno di cui non le importa veramente. Che vita è? È la vita di tante donne, e a volte è destinata a continuare così. La svolta arriva imprevista, ed è terribile. La figlia Emma muore in un incidente. Adesso Rachel ha perduto davvero tutto. Incapace di sopportare il dolore decide di abbandonare Londra, il marito, le amiche e ritirarsi nella sua terra di origine, l'isola di Santorini, in mezzo all'Egeo. Quella natura assolata, quel mare violento, un villaggio di case imbiancate sulla scogliera diventano lo scenario in cui cerca di superare il lutto, di ricominciare una nuova esistenza. L'isola e i suoi abitanti, a poco a poco, entrano in contatto con la sua anima ferita. L'amicizia con la giovane Ingrid, anche lei alla deriva, ma per tutt'altre ragioni, le insegna che si può ancora gettare sulla vita uno sguardo di speranza. E l'incontro con Johnny Palmer, un uomo delicato, le fa riprovare emozioni dimenticate. Ma la "guarigione" di Rachel è ancora appesa a un filo. Soprattutto quando da Londra arriveranno notizie che non avrebbe mai voluto sentire. Una storia che accompagna il lettore nelle profondità del dolore. Per uscirne.
"La Prima Ferita. L'influenza dell'imprinting sul nostro comportamento. Un percorso di guarigione", Willi Maurer, Prefazione di Michel Odent, Aam Terra Nuova, 2008.
Forte del successo in Germania e in Francia, l'opera più matura di Willi Maurer arriva finalmente anche in Italia, pubblicata dalle Edizioni AAM Terra Nuova.
Tema di questo libro è l'imprinting, ossia l'impronta determinata dal contatto multisensoriale che avviene tra madre e bambino al momento della nascita. Quando tale esperienza non viene alterata da fattori esterni, si attiva un senso di appartenenza reciproca e un appropriato comportamento istintivo.
La nascita non è di per sé un evento traumatico se al neonato è data l'esperienza di essere accolto dalla madre, ma un'eventuale interferenza su questo delicato processo può avere notevoli ripercussioni sulla salute e sul comportamento.
Nella maggior parte dei casi, il dolore per il mancato imprinting è così lacerante da essere rimosso, dando origine ad una profonda scissione interiore.
Partendo da questa premessa, l'autore illustra un percorso di guarigione dalla ferita primaria causata dall'assenza di imprinting e allo stesso tempo pone le basi per una cultura nuova, basata sui bisogni fondamentali dell'essere umano e, di conseguenza, improntata alla giustizia e al miglioramento della qualità di vita di tutti.
Una lettura stimolante per genitori e futuri genitori, ma anche per psicologi, educatori, politici ed ecologisti, e per coloro che operando nel campo della salute, della nascita, della maternità o del disagio sociale hanno a cuore il futuro del Pianeta.
Willi Maurer, nato nel 1945 nella Svizzera tedesca, vive da tempo nel Canton Ticino. Dal 1981 accompagna singoli e gruppi nello sviluppo del potenziale interiore personale con il Lavoro Emotivo e Corporeo, metodo da lui elaborato che permette di riprendere contatto con gli aspetti rimossi della propria esistenza, di elaborarli e di integrarli. Ha dedicato gran parte della sua vita allo studio e alla sperimentazione di diversi metodi di psicologia umanistica e di terapia (Gestalt, Terapia Primale, Bioenergetica, Feldenkrais) che lo hanno condotto a una intravisione (suo neologismo per indicare la visione d'insieme dei nessi) dell'origine dei conflitti individuali e collettivi. Da dieci anni è impegnato nella rete Holon e incaricato del collegamento tra la sezione italiana e quella tedesca.
"Pensami stupido! La filosofia come terapia dell'idiozia", De Conciliis Eleonora, Mimesis, 2008.
Pensare è comparare: nella cultura occidentale, l'intelligenza filosofica ha potuto esercitare il suo fascino e affermarsi come lussuosa forma di superiorità individuale solo attraverso un continuo ma inconfessabile confronto con il suo più debole termine di paragone: la stupidità. Di fronte a tale inquietante contaminazione postmoderna, che sembra indicare una regressione involutiva di homo sapiens, soltanto la filosofia, pur trovandosi anch'essa assediata dalla stupidità, può forse giocare il ruolo, tutto femminile, di critica del potere e della cultura, diventando così un'ironica terapia dell'idiozia.
"FILOSOFIA COME PRATICA SOCIALE. COMUNITA' DI RICERCA, FORMAZIONE E CURA DI SE'", COSENTINO ANTONIO, APOGEO, 2008.
In un contesto in cui il valore dei prodotti viene decretato dall'enorme potere della televisione e dalle ragioni dell'economia consumistica, si corre il rischio che il bisogno di filosofia finisca per essere svuotato del suo potenziale senso di istanza critica per essere normalizzato e incluso nel sistema come uno dei suoi prodotti. La proposta di una filosofia come pratica o anche, "agoretica", come la chiama Cosentino, non è né un mitico richiamo alle origini né un troppo ottimistico progetto di rilancio della razionalità moderna. La metafora dell'agorà può aiutarci ad aprire un orizzonte di esperienza non mediata dai mezzi di comunicazione di massa. Nello scenario della società della tecnologia, del consumismo, della odierna "cultura terapeutica" e dei sempre nuovi conformismi, si tratterebbe di istituire oasi, terreni di gioco di pensiero riflessivo; micro-eventi di ricerca sviluppata con la propria testa e anche sulla propria testa con l'aiuto di una filosofia che, senza rinnegare se stessa, sappia mettersi al servizio della vita e proporsi some strumento di emancipazione.
"Cibo, peso e psiche. Interpretazione psicosomatica dei disturbi alimentari", di Dahlke Rüdiger, Tecniche Nuove, 2008.
Rüdiger Dahlke riprende il simbolismo che si cela dietro le nostre abitudini alimentari – le quali rientrano fra le costanti che ci rendono unici, come il carattere, che ci sembrano spesso immutabili e segnano il corso di tutta la nostra vita, anche nella continua lotta contro noi stessi armati di specchi, diete, bilance – e ci spiega come affrontare gli aspetti psicologici che si celano dietro il grasso.
Riuscire a comprendere le proprie problematiche, il proprio stile, chi siamo grazie a ciò che mangiamo, per ciascuno di noi rappresenta una possibilità per analizzare a fondo la ragione, le nostre ragioni, dei chili di troppo e imparare a gestirli liberandoci dalla sofferenza e dai sensi di colpa che spesso li accompagnano.
Spesso dietro i chili di troppo si nasconde un significato profondo, dalla “corazza difensiva” fino al “grasso di afflizione”.
Rüdiger Dahlke, nato nel 1951, laureato in medicina presso l’Università di Monaco, specialista in terapie naturali e psicoterapia, si occupa in particolare del digiuno come strumento di purificazione ed elevazione spirituale. Con la moglie Margit dirige un centro di medicina naturale a Johanniskirchen, tiene seminari e corsi di medicina esoterica e meditazione. È autore di numerosi libri riguardanti il rapporto tra malattia, psiche e autocoscienza.
"Fiducia e sfiducia Imparare dalle delusioni della vita", Amana Krishnananda, Feltrinelli, 2008.
Secondo l'autore di questo libro la vera fiducia non viene da fuori, non si fonda sugli altri e sulla vita, ma è una risorsa interiore. Un libro che indaga sulle radici della sfiducia e sul modo di recuperare la sicurezza perduta.
Se vediamo il significato emozionale e spirituale del nostri momenti difficili, allora possiamo contenere il dolore. Le delusioni e le abitudini ci sfidano a scoprire una fiducia reale, altrimenti, le nostre ferite possono facilmente diventare terribili e insopportabili. Forse diamo per scontato che non sia possibile avere fiducia o, se abbiamo esperienze di apertura e di fiducia, succede poi qualcosa che ci fa chiudere. Ma la caratteristica di una fiducia genuina è non dipendere dagli altri, né da qualcosa di esterno: è una profonda esperienza interiore di connessione col nostro essere e con l'esistenza. Il nostro livello di fiducia genuina è uno specchio della nostra coscienza ed è una qualità che possiamo sviluppare.
“La qualità della nostra fiducia è misurata dallo stato della nostra vita: dall’amore che abbiamo per noi stessi, dalla profondità dell’intimità delle nostre relazioni più importanti, dalla gioia con cui affrontiamo la vita. Sviluppare una fiducia matura è il tesoro al termine dell’arcobaleno del lavoro interiore. Possiamo fare terapia all’infinito ed esplorare le ferite della nostra infanzia, ma a che cosa serve se non ci porta a un maggiore livello di vera fiducia? Mancherà sempre qualcosa di fondamentale. Abbiamo bisogno di alcune chiavi per usare le esperienze della vita che ci mettono alla prova così che diventino occasioni per aprire il nostro cuore anziché chiuderlo… Abbiamo bisogno di una struttura, di una comprensione che ci aiuti a riconoscere il valore delle delusioni e degli abbandoni, così che ci possano dare forza, anziché indebolire o distruggere la nostra fiducia nella gente e nella vita. Se vediamo il significato emozionale e spirituale dei nostri momenti difficili, allora possiamo contenere il dolore. Le delusioni e gli abbandoni ci sfidano a scoprire una fiducia reale e questo processo è un lungo cammino. Altrimenti le nostre ferite possono facilmente diventare terribili e insopportabili.” (dall’Introduzione) Fiducia e sfiducia è stato pubblicato da Urra nel 2004.
"Guarire è facile basta volerlo?", Pellizzari Pierre, Il Punto D'Incontro, 2008.
Qual è la chiave segreta che apre la via di una facile guarigione? Basta la comprensione delle Leggi Biologiche scoperte dal dr. Hamer? Basta affermare di voler guarire, curando la propria alimentazione e ripulendo i propri organi? Basta voler guarire, affrontando profondi cambiamenti nel proprio percorso di vita? Oppure è anche una questione di genetica, di eredità, di karma, di fato? Anche attraverso il resoconto di alcuni casi clinici, Pierre Pellizzari spiega come si può interagire con la malattia, mostra che non esiste una "pillola magica" per curare ogni cosa e che, se la persona malata non abbina una crescita spirituale all'intervento sul fisico, se non cerca e sconfigge le zavorre dell'inconscio, se non impara ad amarsi e ad amare la vita, la guarigione sarà provvisoria o rimarrà un miraggio. "Guarire è facile, basta volerlo?" è l'integrazione ideale ai best seller già pubblicati dall'autore, il linguaggio è diretto e chiaro. Riporta casi vissuti giorno per giorno, come in un diario, per consentire di percepire tutte le sfumature che compongono un percorso di guarigione. Un testo che vuole essere uno stimolo alla crescita, alla ricerca e all'umiltà per tutte le persone in-via-di-guarigione o per i terapeuti desiderosi di aiutare tali persone. Dallo stesso autore dei best seller "Ripulire i propri organi" e "Ho provato la Nuova Medicina del dottor Hamer"e di "Consigli di benessere alimentare".
"Amore e caos", Romeo Pasquale, Rubbettino, 2008.
L'autore svolge una analisi del sentimento amoroso e della vita di coppia, stabilendo il valore che il caos ed il caso assumono nella scelta del partner, indicandoci come vittime e protagonisti della nostra vita affettiva.
Parlando di precarietà mi vengono in mente molti concetti molto in voga in alcuni libri di recente pubblicazione (L’ospite inquietante di Galimberti oppure L’epoca delle passioni tristi edito dalla Feltrinelli).
Queste riflessioni che seguiranno in queste poche righe nascono da precedenti analisi, che si possono ritrovare nei miei testi precedenti, in essi vi è uno strano filo rosso.
Nascono dei concetti in embrione che poi si ripetono, si ampliano si modificano. In effetti il libro sul tradimento, in stampa in questo momento, altro non è ha che un modo di ripensare alla nostra vita senza legami.
Essere senza legami, perciò vivere stranamente la precarietà esistenziale, è un pò l’emblema della nostra società liquida come dice Baumann, una società che si allontana da tutti dove l’homo novus sembra ormai fare da padrone ed assumere strani ruoli che meglio non sappiamo spiegare. Un uomo che vive continuamente su tanti livelli e che non si sa che faccia possa prendere perché come tutti i sosia della letteratura (mr. Hyde di Stevenson, il sosia di Dostoevskij, ecc.) sembra vivere sapientemente due o più vite senza rendersene conto
Il principio di non contraddizione, fondamento della logica, che ha contraddistinto da sempre la cultura occidentale sembra ormai non esistere. L’homo novus, l’uomo che caratterizza per motivi psicologici o sociali la nostra epoca, sembra più semplice essere e non essere, declinando dall'identità prima assunta.
Il nuovo modo di vivere è veramente liquido, perciò precario, spostandosi da una continuità ad una frammentarietà, con veri e propri salti razionali che ci fanno essere contemporaneamente di destra e di sinistra e forse anche di centro, ribelli, anticonformisti, ma anche conservatori, radical-chic ed anche integralisti. Da un lato ci schieriamo a favore del gay-pride e dall'altro evochiamo misure anti-razziali, da una parte compriamo scarpe Tod's e dall'altra parte cerchiamo vacanze minimaliste. A dispetto di tutto ciò, sembrerebbe che niente più appartenga ad una categoria e l'evadere il principio di contraddizione non sia caratteristico di una nuova logica tipica di questo nuovo millennio, ma forse sembra appartenere ad una generazione senza più dogmi, schematismi, pregiudizi dove tutto è diventato incerto e "la luna è fatta di sassi" e non è un luogo ideale dello spirito.
Sembra che nasca un nuovo tipo di essere umano: ecco il vero homo novus che a dispetto di tutto non segue idee, ideologie o qualsivoglia ma solo l'utile, il pratico, tutto ciò che assomiglia ad una certezza, che presti l'immediato momento di piacere e ci faccia godere subito, interpretando in maniera perversa l'antico motto oraziano Carpe diem.
Spesso, da psicoterapeuti, si assiste impotenti all'emergere di un nuovo tipo di società, tecnocratica ed utilitarista (si veda il libro di Galimberti Psiche e tecnica) senza grandi illusioni in progetti mirabolanti e fantasiosi oppure in ideologie che possano costituire un caposaldo culturale. Si assiste concitati, stupefatti e nello stesso tempo attoniti all'emergere di un nuovo tipo di uomo che non combatte più per la propria idea, confutando il detto che se l'uomo non combatte per la propria idea o non vale l'uomo o la sua idea. Pare che l'idea "nuova" debba essere immediata, repentina, realizzarsi subito e soprattutto essere utile ad un nuovo pragmatismo che pare essere il vero culto della società odierna. A volte mi chiedo quanto tutto ciò possa durare e semmai un ritorno alle idee, alle battaglie non solo di SMS, possa essere un valido e sempre efficace modo per crescere in maniera più profonda. L’homo novus dipende dall’incapacità di elaborare la nostra frattura originaria? A vivere profondamente il temenos, il nostro bosco sacro? A godere pienamente dei nostri momenti più intimi e quindi della nostra vita affettiva? Ad essere capaci di stare soli?
Da queste riflessioni sembrerebbe scontato parlare di precarietà lasciamo ai sociologi la possibilità di capire se è una crisi sociale o psicologica, anche se siamo noi terapeuti che in questo momento curiamo l’individuo con la sua sofferenza.
"Tradire L'altra faccia dell'amore", Romeo Pasquale, Bastogi, 2007.
Il tradimento affrontato in diversi modi, con un'attenzione particolare al tradimento amoroso.
Si può tradire in partner e in che maniera?
Sono sempre di più le coppie che tradiscono, espressione di una società variegata e cangiante?
La vera trasgressione è non avere trasgressione o ancora ricarca nell'ambito della coppia di una soluzione alternativa?
Abbiamo dentro di noi tante vite che conserviamo gelosamente e che ogni tanto esprimiamo in maniera sorniona con partner alternativi? Oppure è solo una questione salottiera che non si presta a nessuna considerazione, che fa sorridere e serve solo per conversare?
Si può non tradire ed in che modo?
Il libro affronta il problema del tradimento ed il modo per superarlo semplicemente attraverso alcune teorie ed esempi pratici di storie che tradiscono se stesse.
In ultimo si affronta il tradimento patologico ed i modi per dargli un significato.
"Educare alle regole", Duffi Gianluca, Erickson, 2008.
Questo libro propone un percorso per sviluppare una competenza etica attraverso l’educazione al riconoscimento, comprensione e rispetto delle regole. Adolescenti non abituati ai limiti diventano ragazzi intolleranti, aggressivi, poco rispettosi di sé e degli altri, e per questo insoddisfatti, mentre al contrario i ragazzi che vengono educati alle regole riescono a comprendere il funzionamento della società e i suoi valori e a costruirsi un’identità propria.
Questo libro propone un percorso per sviluppare una competenza etica attraverso l’educazione al riconoscimento, comprensione e rispetto delle regole. Le attività presentate nel testo sono suddivise in cinque tappe: attività per favorire la comprensione delle regole, attività e strategie per sostenere l’apprendimento delle regole, strumenti e strategie per sviluppare la capacità di dare delle regole, strumenti e strategie per promuovere la collaborazione educativa, attività per la gestione dei provvedimenti disciplinari.
Per ogni attività o strategia proposta è stata costruita una scheda descrittiva che ne specifica il contenuto e ne spiega il senso e il modo di utilizzarla all’interno del contesto scolastico formativo.
- Premessa: Perché insegnare le regole
- Strumenti per favorire la comprensione delle regole
- Strumenti per favorire l’apprendimento delle regole
- Strumenti e strategie per dare delle regole educative
- Strumenti per favorire la collaborazione educativa
- La conseguenza della violazione delle regole: provvedimenti disciplinari.
Gianluca Daffi
Psicologo, conduce numerosi corsi di formazioni per genitori e insegnanti in scuole di diverso ordine e grado. Collabora con lo SPAEE, Servizio di Psicologia dell’Apprendimento in Età Educativa dell’Università Cattolica di Milano.
"Rispecchiamenti. L'amore materno e le basi neurobiologiche dell'empatia", Trentini Cristina, Il Pensiero Scientifico, 2008.
Nel volto della madre empatica il bambino si rispecchia e scopre di esistere: sentendosi riconosciuto, sperimenta il senso della propria unicità e della connessione emotiva con l'altro. Queste esperienze affettive primarie vengono impresse nella sua memoria, andando a plasmare tutte le strutture e le funzioni cerebrali coinvolte nei processi emotivi. Il libro propone un quadro neuroscientifico dell'empatia, alla luce dell'attuale integrazione tra discipline diverse, la ricerca psicologica e quella neurobiologica, il cui confronto ha ricevuto un nuovo e stimolante impulso a partire dalla scoperta del sistema dei neuroni specchio nell'uomo.
"Il tempo delle vittime", Eliacheff Caroline e Soulez Lariviere Daniel, Ponte alle Grazie, 2008.
Nella società democratica, alla figura della vittima spetta ormai il ruolo che un tempo era proprio dell'eroe. È questa la constatazione da cui prende le mosse l'analisi della psicanalista Caroline Eliacheff e dell'avvocato Daniel Soulez Larivière. I due autori hanno condiviso le loro competenze e le loro esperienze per indagare l'attuale fenomeno dell'onnipresenza delle vittime nella società contemporanea. La tesi è semplice ma, prima d'ora, nessuno era mai riuscito a illustrarla così chiaramente. Dagli anni ottanta si è fatto strada, perlomeno nelle democrazie occidentali, l'atteggiamento vittimistico per cui una persona - o un gruppo - quando subisce un danno o un torto non solo chiede un risarcimento concreto ma diventa un simbolo carico di emotività, capace di sottomettere alla sua volontà tutti gli ingranaggi istituzionali e politici di una nazione. E se questa è la diagnosi dello stato di salute della nostra società, la prognosi è gravissima: di questo passo si può arrivare a distruggere la democrazia, e le stesse vittime, almeno quelle vere, non ne ricavano un reale vantaggio. Stiamo consegnando la nostra civiltà all'irrazionalità di un approccio emotivo e allo strapotere dei media, che sulle emozioni costruiscono audience. È per questo che i due autori di questo libro si sono assunti il rischio di parlare delle vittime con un tono diverso da quello della compassione.
"VOSTRO FIGLIO HA UN DISTURBO ALIMENTARE? Guida pratica per i genitori", Walsh B. T.,Cameron V. L., Centro Scientifico Editore, 2008.
Il libro, nato nel contesto della Adolescent Mental Health Initiative (AMHI), si propone come importante strumento per i genitori di adolescenti che soffrono di disturbi del comportamento alimentare. Una guida pratica, in linguaggio chiaro e accessibile, che unisce informazioni scientifiche di alta qualità alla descrizione di esperienze concrete di genitori che hanno affrontato o stanno affrontando tali problematiche. Quest’autorevole guida si rivolge ai genitori di ragazzi che hanno avuto una diagnosi di disturbo alimentare o che sono a rischio di svilupparne uno, ma anche a insegnanti o counselor che lavorano a stretto contatto con gli adolescenti. La prima parte (cap. 1 e 2) fornisce informazioni relative a anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo da alimentazione incontrollata, illustrando dettagli relativi alla frequenza di tali patologie e ai fattori di rischio; il capitolo 4 descrive i trattamenti per i disturbi del comportamento alimentare (di cosa si tratta, dove vengono effettuati, cosa ci si può aspettare da queste terapie); nel capitolo 4 si parla dei problemi quotidiani che deve affrontare chi vive con una persona che soffre di un disturbo alimentare, sottolineando l’importanza del sostegno dei genitori nei confronti dei figli, ma anche del sostegno che gli stessi genitori possono ricevere da parte di counselor o di gruppi di auto-aiuto; nel capitolo 5 è affrontato il tema della prevenzione dei disturbi alimentari; nel capitolo 6 l’attenzione si sposta infine sull’importanza di una prevenzione precoce (V. articolo).
I curatori dell’edizione italiana: SECONDO FASSINO, medico-chirurgo, è professore ordinario di Psichiatria e docente delle scuole di specializzazione in Psichiatria e Psichiatria clinica della Facoltà di Medicina dell’Università di Torino.
CARLA GRAMAGLIA, medico-chirurgo, psichiatra e psicoterapeuta, è dottoranda in Psichiatria (Facoltà di Medicina).
"Una vita bipolare. Oltre i confini della normalità", Hornbacher Marya, Corbaccio, 2008.
Il disturbo bipolare è una malattia seria e invalidante. Chi soffre di questa condizione affronta fasi depressive (fino alla disperazione e alla considerazione del suicidio) alternate a opposte fasi maniacali (caratterizzate da un eccesso di euforia che porta ad azioni impulsive e compromettenti). Marya Hornbacher ha sperimentato sulla sua stessa pelle cosa vuoi dire esserne vittima e con lo straordinario stile che la caratterizza ci porta con sé sulle montagne russe della sua vita e ci racconta la sua struggente esperienza. A ventiquattro anni all’autrice di questo libro fu diagnosticata una forma grave di disturbo bipolare, una malattia seria e invalidante. Chi soffre di questa condizione affronta fasi di grave depressione alternate a fasi maniacali caratterizzate da un eccesso di euforia. Marya Hornbacher ha sperimentato sulla sua pelle cosa vuol dire esserne vittima e, con lo stile che la caratterizza, ci porta con sé sulle montagne russe della sua vita, raccontandoci la sua struggente esperienza. Ci conduce dentro i suoi disperati tentativi di contenere oscillazioni d’umore che la fanno sbandare violentemente – digiuno autoimposto, abuso di farmaci e droghe, sesso per intontirsi – sullo sfondo di un’esclusiva scuola d’arte nel Midwest, della San Francisco chic nel suo periodo più brillante e, soprattutto, di innumerevoli reparti psichiatrici. Il fulcro di questo diario coraggioso è la battaglia che la Hornbacher combatte per trovare una via d’uscita da una pazzia che la distrugge, e per riuscire, nonostante tutto, a vivere una vita e un matrimonio difficili, ma intensi e talora bellissimi.
"Nemiche. Donne e rivalità. La competizione al femminile", Barash Susan S., Corbaccio, 2008.
È vero che le donne sono sempre solidali fra loro? L'indagine condotta da Susan Shapiro Barash dimostra il contrario: le donne amano "farsi lo sgambetto" e le strategie che mettono in atto per ostacolarsi fanno impallidire i più sgamati "squali" appartenenti al cosiddetto sesso forte. Detto questo l'autrice di "Nemiche" constata come spesso la rivalità fra donne risulti alla lunga dannosa sia per la "vittima" sia per la "carnefice" e spiega come è possibile cambiare il modo di rapportarsi alle altre, senza diventare arrendevoli, ma anzi imparando a farsi valere e stimare senza imbrogliare e prevaricare. Leggendo "Nemiche" imparerete: perché le donne non vogliono e non riescono ad ammettere la rivalità; in che modo le ragazze sono educate fin da piccole a competere con le altre; quali sono gli ambiti di maggior competizione; come si differenzia la rivalità maschile da quella femminile; a distinguere fra spirito competitivo, invidia e gelosia; a capire quando la competizione è sana e quando non lo è; perché le donne trovano irresistibile fare lo sgambetto alle altre donne; strategie utili per limitare la competizione e instaurare dei rapporti sinceri e amichevoli con le altre donne.
"La psicologia a tavola", CONNER M., ARMITAGE C.J., Il Mulino, 2008.
Essenziale per la vita umana, il cibo svolge funzioni che vanno ben oltre il sostentamento. Sul cibo - barometro del nostro benessere fisico e psichico - si concentra una sempre maggiore attenzione pubblica, come testimonia l'interesse per certi versi ossessivo che a questo argomento riservano i media. Tuttavia, se si esclude il contributo dell'antropologia, è solo negli ultimi venti anni che gli scienziati sociali ne hanno fatto un oggetto di studio. Questo volume illustra le principali ricerche della psicologia sociale nel campo dell'alimentazione. Sono esaminati l'influenza dei fattori sociali in relazione alle scelte alimentari, al controllo del peso, ai disturbi alimentari, ed è analizzato il rapporto tra stress e cibo, tra cibo e presentazione di sé.
Mark Conner insegna Psicologia sociale applicata all'Università di Leeds. Christopher J. Armitage insegna Psicologia sociale e della salute all'Università di Sheffield.
"L' amore assassino. Storie di madri che uccidono", Simone Rosella e Gallo Ermanno, Piemme, 2008.
C'è una nuvoletta azzurra e rosa che avvolge l'iconografia del parto. La neomamma è bellissima, il bimbo un angioletto e i due vissero insieme felici. Ma accade che una relazione così mitizzata costringa la donna a misurarsi con un ideale di perfezione che finisce per scontrarsi con la dura quotidianità che si trova ad affrontare. Spesso da sola. Negare a se stessa sentimenti di sfinimento, di aggressività, di intolleranza può produrre guasti duraturi che invece potrebbero, se accettati, essere risolti. Ma questa è solo una delle chiavi per accostarsi alle storie che la cronaca di questi giorni moltiplica. Storie che sollevano paure e interrogativi brutali. Storie di madri divoratrici. Donne che negano la gravidanza. Madri che riflettono sui loro bambini le violenze che esse stesse hanno subito. Donne che eliminano i figli perché li ritengono colpevoli delle loro frustrazioni. Madri che si prodigano in cure che paiono affettuose mentre in realtà stanno subdolamente uccidendo, anche se stesse. Partendo dai casi resi celebri dai media e da storie misconosciute, e raccogliendo testimonianze di donne assassine, gli autori indagano sull'amore che uccide. Per cercare, tra le righe della cronaca, risposte che superino tanto l'orrore quanto l'ipocrisia.
"Mai più paura di volare", Evangelisti Luca, Kowalski, 2008.
E' arrivato in libreria il primo libro di Luca Evangelisti: “Mai più paura di volare”, interamente incentrato sull'analisi dell'aerofobia, la paura di volare, e che offre consigli pratici per smettere di aver paura di salire su un aereo e vivere serenamente l'esperienza del volo. Il libro, edito da Kowalski-Feltrinelli, sarà in libreria il 28 maggio, ha avuto una tiratura iniziale di diecimila copie ed è già andato esaurito nelle ordinazioni, tanto da lasciar immaginare che sarà necessaria una nuova ristampa. Un traguardo degno dei migliori best seller. IlVolo.it propone in anteprima nazionale una presentazione del libro e una chiacchierata con Luca, che all'interno del nostro forum gestisce un area dedicata a chi ha paura di volare. Grazie a questo libro si avrà un supporto estremamente utile e concreto per superare questo tipo di paura. Diamo un po' di numeri. In Italia oltre il 50% delle persone ha dei problemi legati alla paura di volare (dal semplice disagio al puro terrore), una quota simile a quella degli altri paesi industrializzati che registrano mediamente una percentuale vicina al 50%. Questo significa che oltre la metà di noi ha paura di usare uno dei principali sistemi di trasporto di massa, con una serie di problematiche che si ripercuotono, anche drammaticamente, sulle nostre vite private o professionali. Combattere la paura di volare è possibile, lo dimostrano i lusinghieri risultati del corso Voglia di Volare, che dal 1997 ha trattato migliaia di passeggeri, il 90% dei quali oggi vola regolarmente e più sereno.
Luca Evangelisti da sempre si occupa del trattamento dei disturbi d'ansia e, nello specifico, da numerosi anni riveste l’incarico di Responsabile del corso “Voglia di Volare” di Alitalia, trattando sul campo numerosissime persone che soffrono di aerofobia e ottenendo ottimi risultati. Il libro, figlio di questa esperienza consolidata nel tempo e nella pratica, offre al lettore sia una cornice di riferimento del problema scientifica ma esposta in maniera assolutamente comprensibile, sia delle indicazioni concrete ed immediate che possano permettere, da subito, di migliorare il proprio rapporto con l’aereo.
"Musicofilia", Sacks Oliver, Adelphi, 2008.
Un giorno, a New York, Oliver Sacks partecipa all’incontro organizzato da un batterista con una trentina di persone affette dalla sindrome di Tourette: tutti appaiono in preda a tic contagiosi, che si propagano «come onde». Poi il batterista inizia a suonare – e come per incanto il gruppo lo segue con i tamburi, fondendosi in una perfetta sincronia ritmica. Questo stupefacente esempio è solo una particolare variante del prodigio di «neurogamia» che si verifica ogniqualvolta il nostro sistema nervoso ‘si sposa’ a quello di chi ci sta accanto attraverso il medium della musica. Presentando questo e molti altri casi con la consueta capacità di immedesimazione, in Musicofilia Sacks esplora la straordinaria robustezza neurale della musica e i suoi nessi con le funzioni e disfunzioni del cervello. Allucinazioni sonore, amusia, disarmonia, epilessia musicogena: da quali inceppi nella connessione a due vie fra sensi e cervello sono causate? Come sempre l’indagine su ciò che è anomalo getta luce su fenomeni di segno opposto: l’orecchio assoluto, la memoria fonografica, l’intelligenza musicale e soprattutto l’amore per la musica – un amore che può divampare all’improvviso, come nel memorabile caso del medico che, colpito da un fulmine, viene assalito da un «insaziabile desiderio di ascoltare musica per pianoforte», suonare e persino comporre. Grazie alle testimonianze dei pazienti di Sacks ci troviamo così a riconsiderare in una nuova prospettiva appassionanti interrogativi, e assistiamo ai successi della musicoterapia su formidabili banchi di prova quali l’autismo, il Parkinson, la demenza. Dai misteriosi sogni musicali che ispirarono Berlioz, Wagner e Stravinskij, alla possibile amusia di Nabokov, alla riscoperta dell’«enorme importanza, spesso sottostimata, di avere due orecchie»: ogni storia cui Sacks dà voce illumina uno dei molti modi in cui musica, emozione, memoria e identità si intrecciano, e ci definiscono.
"La malattia cerca di guarirmi", Dransart Philippe, Amrita, 2007.
"Attraverso la malattia parliamo a noi stessi, prendendo a testimone il nostro corpo. Il dolore, la lesione, sono l'esatto riflesso delle nostre emozioni. Il sentire diventa sensazione: ci rode, ci prude, è un dolore sordo... ma cos'è che ci rode e ci prude? A che cosa è sordo il dolore? Soffriamo senza sapere perché, come se ci mancasse la chiave per capire. Questo libro è stato scritto affinché chi è nel dolore ritrovi la propria chiave personale, quella che, finalmente, gli aprirà la porta: la malattia infatti contiene in sé il seme della propria guarigione. Se ascolteremo il corpo, la malattia ci parlerà. Cesserà d'essere lo spauracchio da combattere ad ogni costo, diventando invece un dialogo con noi stessi, attraverso il quale scopriremo che dietro la temuta nemica si nasconde in realtà un'amica che cerca di guarire le piaghe dell'anima."
"Amore: il Potere dell'Accettazione", Lise Bourbeau, Amrita, aprile 2008.
"Quotidianamente viviamo in situazioni conflittuali che producono insoddisfazione e, alla lunga, problemi di salute. Lise Bourbeau ci racconta, qui, un caso emblematico, in cui non sarà difficile riconoscersi almeno in parte: entriamo nel suo studio insieme ai componenti di una famiglia che ha i problemi di molte altre, governata da schemi relazionali nei quali serpeggia qualche malinteso, qualche timore, e una quantità di condizionamenti provenienti dal passato di ciascuno.
L’arma terapeutica di Lise è potentissima, e la vediamo in azione in modo così chiaro che in seguito ogni lettore potrà servirsene: si tratta della dinamica dell’ACCETTAZIONE, ben diversa dalla supina sottomissione, dalla rassegnazione o dall’abdicare alle proprie risorse e responsabilità.
È in realtà un metodo per “leggere” diversamente gli eventi difficili della nostra vita, quali la malattia, la morte (nostra e altrui), la vecchiaia, la perdita, le scelte dei nostri cari, il nostro aspetto fisico, i nostri punti deboli… scoprendo quanto numerose ed impensabili siano le sfaccettature dell’Amore.
È una chiave potente e universale per risolvere le difficoltà della vita. Lise Bourbeau è autrice di numerosi bestsellers, fra cui Ascolta il tuo corpo e Le 5 ferite, entrambi editi in Italia da Amrita. È l’anima della più famosa scuola di crescita personale del Canada francofono, che da alcuni ani tiene, anche in Italia, conferenze e seminari.
Lise Bourbeau ha iniziato la sua carriera nel campo delle vendite nel 1966 ed è divenuta rapidamente la miglior Direttrice di zona del Canada. Ha mantenuto la sua posizione fino al 1982. In tutto quel periodo ha formato, motivato e aiutato più di 40.000 persone a diventare più consapevoli del loro potenziale.
In questi 16 anni ha potuto rendersi conto che le persone raggiungevano solo raramente ciò che volevano nella vita e pochissimi erano davvero felici. La sua curiosità l'ha portata a ricercarne le cause e, soprattutto, le soluzioni.
Ha frequentato numerosi corsi di formazione, principalmente negli Stati Uniti, ed in particolare in California dove ha ottenuto il Bachelor in filosofia presso l'Università di Filosofia.
Quanto sopra, seguito da grandi trasformazioni nella sua vita, le hanno portato una nuova consapevolezza di base. Piena di entusiasmo per ciò che stava scoprendo ascoltando il suo corpo e desiderosa di aiutare il maggior numero di persone possibile, nel 1982 ha lasciato il suo lavoro per percorrere un nuovo sentiero. Ha creato un seminario per aiutare le persone a scoprirsi attraverso ciò che mangiavano e osservando i loro malesseri e malattie.
Da allora ha condotto ricerche sul comportamento umano e si è specializzata nel decodificare il significato metafisico di malesseri e malattie.
Il suo scopo è aiutare le persone a conoscersi meglio, ad accettarsi e ad amarsi.
Nel 1984 ha aperto il suo primo centro di sviluppo personale, il centro Ecoute Ton Corps. Ha deciso poi di formare insegnanti per diffondere i suoi insegnamenti per tutto il Quebec.
Nel 1987 ha scritto il suo primo libro intitolato "Ascolta il tuo corpo, il tuo più grande amico sulla terra", ed ha fondato la sua casa editrice (Les Editions E.T.C.).
Questo è stato il libro più venduto in Quebec. Nel giro di 12 anni ha raggiunto il record di 300.000 copie vendute nella versione francese. Dal 1988 ha scritto altri 14 libri, tutti best-sellers.
La Ecoute ton corps è la più grande scuola di crescita personale in Quebec. I suoi insegnamenti sono diffusi in più di 20paesi.
"Che cos'è la follia?", Borgna Eugenio, Luca Sossella Editore, 2008.
Per capire la follia, bisogna scomporla in due parti: angoscia e malinconia. Ma per curarla occorrono amore e condivisione. Eugenio Borgna non si rivolge solo a psichiatri e psicologi, ma agli insegnanti, ai comunicatori e a chiunque abbia a che fare con le relazioni, il dialogo e il contatto con gli altri. Solo se si è capaci di vivere come nostri i dolori altrui si può capire e curare la follia. La follia non deve far paura, perché ha a che fare con il nostro cuore e le nostre emozioni. Borgna ce lo dimostra con i versi di Emily Dickinson, Georg Trakl e Sylvia Plath: "Senza ricercare, e ritrovare, in queste poesie le tracce fiammeggianti di una malattia dell'anima nelle sue diverse declinazioni tematiche, non sarebbe possibile cogliere fino in fondo le indicibili latitudini del pensiero emozionale, del pensiero potente, che nelle loro poesie si manifestano". È dall'angoscia e dalla malinconia che sono nate infatti le più belle esperienze creative. Il poeta tedesco Clemens Brentano non a caso diceva che "La follia è la sorella sfortunata della poesia".
"Nei luoghi perduti della follia", Borgna Eugenio, Feltrinelli, 2008.
La capacità di Eugenio Borgna di suscitare intricate tessiture di significati intorno al nucleo inafferrabile di un enigma, di un'avventura esistenziale, di un'esperienza di dolore o di sofferenza, di angoscia o di follia, circoscrive la cifra più peculiare del suo lavoro attuale e del lungo cammino che lo ha condotto alle odierne posizioni. Quanto Borgna ci ha restituito in questi ultimi anni ha alle sue spalle un percorso e un'avventura di oltre quarant'anni, fatti di lezioni universitarie, seminari, conferenze, e poi ancora relazioni a convegni, articoli specialistici, saggi destinati a libri e riviste, interventi di ricerca o di battaglia. Solo una parte di questo immenso lavoro è confluita, a partire dalla fine degli anni ottanta, nei libri con cui si è segnalato all'attenzione di un pubblico sempre più numeroso. Questa serie di libri è solo l'estratto di un'opera caratterizzata dal suo sforzo martellante di approfondimento, di ridefinizione, di verifica, di interrogazione. Un patrimonio che rischiava di restare consegnato alle biblioteche e agli archivi di riviste specialistiche e di periodici di argomento psichiatrico, psicologico, medico, talvolta filosofico o teologico.
"Elogio del conflitto", Angelique Del Rey, Miguel Benasayag, Feltrinelli, 2008.
Nella nostra vita pubblica e privata l’idea stessa di conflitto è stata bandita. O, più precisamente, tendiamo a essere intolleranti verso qualunque forma di opposizione e conflittualità, rendendoci di fatto ciechi verso gli aspetti positivi, progressivi, di crescita sociale e individuale che il “conflitto” racchiude (come ben sanno, per esempio, gli psicologi). In questo libro Benasayag e del Rey esplorano le radici e gli effetti perversi della rimozione del conflitto dallo scenario contemporaneo: rifiutiamo il conflitto e ci lasciamo invadere dall’ideale della trasparenza, decisi a sradicare ogni ombra, ogni opacità nella nostra relazione con l’altro o con gli altri. Ma questa, osserva Benasayag, è un’illusione pericolosa: così facendo si finisce con l’annullare qualsiasi confronto e con l’aprire la porta ad un uso politico della minaccia del conflitto (minaccia terroristica, ma anche demonizzazione del conflitto sociale, criminalizzazione del dissenso interno ecc.). La rimozione del conflitto, la negazione della sua natura ineliminabile e anzi di positivo corollario dell’esperienza umana, ha in sé il rischio della patologizzazione di ogni contestazione, della criminalizzazione di ogni divergenza dalla norma, e porta con sé l’effetto “stabilizzante” di ogni ideologia totalitaria che, calandosi all’interno di ciascun individuo come dispositivo interiorizzato di autocontrollo, garantisce il compiuto trasferimento della logica del potere dalla sua forma “antica” di potere sovrano alla sua forma tipicamente contemporanea di potere disciplinare.
"Einstein e la Formula di Dio", José Rodrigues Dos Santos, Cavallo di Ferro Ed., 2008, ISBN: 9788879070331
Questa è una storia d'amore e di tradimenti, un intrigo, una persecuzione implacabile, ma soprattutto una ricerca spirituale che ci porta alla rivelazione più stupefacente di tutti i tempi lasciandoci a bocca aperta davanti al più insondabile dei segreti del mondo.
Cosa hanno in comune la crisi nucleare iraniana e la più importante scoperta mai effettuata da Albert Einstein: la prova scientifica dell’esistenza di Dio? Basato sulle ultime e più avanzate scoperte scientifiche nei campi della fisica, della cosmologia e della matematica, 'Einstein e la formula di Dio' è un thriller mozzafiato ma anche un libro che unisce il pensiero scientifico e quello religioso, le teorie fisiche dell’occidente con le religioni orientali. Sulle scale del museo Egizio del Cairo, Tomás Noronha viene avvicinato da una sconosciuta. Il suo nome è Ariana Pakravan, è iraniana ed è in possesso della copia di un documento inedito, un antico manoscritto dal contenuto enigmatico. Questo incontro condurrà Tomas Noronha nei misteri della crisi nucleare iraniana e lo porterà, attraverso l’incontro con i più importanti scienziati e pensatori del tempo, ad investigare su uno dei più grandi misteri dell’umanità: la prova scientifica dell'esistenza di Dio. Esiste il libero arbitrio o è tutto predestinato? Qual è l’essenza dell’universo? Qual è il fine ultimo, lo scopo dell’umanità e perché l’uomo è stato creato? Se il mondo è destinato alla fine con il big crash, che senso ha vivere?
José Rodrigues Dos Santos è nato in Mozambico nel 1964. Inizia la sua carriera come giornalista radiofonico nel 1981 a Radio Macau. Dopo un breve passaggio alla BBC, ha occupato l'incarico di direttore dell'informazione nella televisione nazionale portoghese. Attualmente, oltre alla scrittura, si dedica all'insegnamento universitario ed è considerato uno dei piú stimati giornalisti televisivi. Einstein e la formula di Dio è il suo quarto romanzo che in patria ha già venduto più di 130.000 copie. Della sua produzione anteriore segnaliamo, La figlia del Capitano, romanzo sulla I Guerra Mondiale e Il Codex 632, thriller sulla vera nazionalità di Cristoforo Colombo.
"I barbari. Saggio sulla mutazione", di Baricco Alessandro, Feltrinelli, 2008 (Fandango 2006).
Maggio 2006. Baricco avvia su Repubblica la pubblicazione a puntate di un libro. Titolo: I Barbari. "Sarà un saggio, nel senso letterale del termine, cioè un tentativo di pensare scrivendo. Ci sono alcune cose che mi va di capire, a proposito di quel che sta succedendo qui intorno. Nella sottilissima porzione di mondo in cui mi muovo io, intendo. Un mondaccio, per molti versi, ma alla fine è lì che le idee pascolano, ed è lì che sono stato seminato. Dal resto del mondo ho perso contatto un sacco di tempo fa, e non è bello, ma è vero. Si fa un sacco di fatica a capire la propria zolla di terra, non resta molto per capire il resto del campo. Ma forse in ogni zolla, a saperla leggere, c'è il campo intero. Dovendo riassumere direi questo: tutti a sentire, nell'aria, un'incomprensibile apocalisse imminente; e, ovunque, questa voce che corre: stanno arrivando i barbari." Di puntata in puntata Baricco ha affrontato temi diversi, dal vino ai libri, passando per la musica classica e arrivando sino a Google, per arrivare a comporre un quadro completo che è qui vediamo nel suo sviluppo completo. Non si era mai visto un libro tanto commentato, recensito e discusso ancor prima di essere pubblicato. Un'ulteriore conferma del talento di Baricco, sempre unico e innovativo, capace di scuotere il pensare comune, ma soprattutto di avvicinare le persone alla lettura.
“Dovendo riassumere, direi questo: tutti a sentire, nell’aria, un’incomprensibile apocalisse imminente; e, ovunque, questa voce che corre: stanno arrivando i barbari. Vedi menti raffinate scrutare l’arrivo dell’invasione con gli occhi fissi nell’orizzonte della televisione. Professori capaci, dalle loro cattedre, misurano nei silenzi dei loro allievi le rovine che si è lasciato dietro il passaggio di un’orda che, in effetti, nessuno però è riuscito a vedere. E intorno a quel che si scrive o si immagina aleggia lo sguardo smarrito di esegeti che, sgomenti, raccontano una terra saccheggiata da predatori senza cultura. I barbari, eccoli qua. Ora: nel mio mondo scarseggia l’onestà intellettuale, ma non l’intelligenza. Non sono tutti ammattiti. Vedono qualcosa che c’è. Ma quel che c’è, io non riesco a guardarlo con quegli occhi lì. Qualcosa non mi torna.” “Ognuno di noi sta dove stanno tutti, nell’unico luogo che c’è, dentro la corrente della mutazione, dove ciò che ci è noto lo chiamiamo civiltà, e quel che ancora non ha nome, barbarie. A differenza di altri penso che sia un luogo magnifico.”
"Professori capaci, dalle loro cattedre, misurano nei silenzi dei loro allievi le rovine che si è lasciato dietro il passaggio di un'orda che, in effetti, nessuno però è riuscito a vedere. E intorno a quel che si scrive o immagina aleggia lo sguardo smarrito di esegeti che, sgomenti, raccontano una terra saccheggiata da predatori senza cultura né storia. I barbari, eccoli qua. Ora: nel mio mondo scarseggia l'onestà intellettuale, ma non l'intelligenza. Non sono tutti ammattiti. Vedono qualcosa che c'è. Ma quel che c'è, io non riesco a guardarlo con quegli occhi lì. Qualcosa non mi torna.
Potrebbe essere, me ne rendo conto, il normale duello fra generazioni, i vecchi che resistono all'invasione dei più giovani, il potere costituito che difende le sue posizioni accusando le forze emergenti di barbarie, e tutte quelle cose che sono sempre successe e abbiamo visto mille volte.
Ma questa volta sembra diverso. E' così profondo, il duello, da sembrare diverso. Di solito si lotta per controllare i nodi strategici della mappa. Ma qui, più radicalmente, sembra che gli aggressori facciano qualcosa di molto più profondo: stanno cambiando la mappa." (I Barbari, Alessandro Baricco). I Barbari, ovvero, un saggio sulle mutazioni. Quello che Baricco definisce "un viaggio per viandanti pazienti" per un libro " a cui non fa schifo niente". Succede che l'autore di Oceano Mare si incammina su una strada da scrittura in forma colloquiale con i lettori, quasi come ai tempi dei racconti western di Shatzy Shell nel romanzo di City, ma qui non ci sono cow boys e non c'è nemmeno il senso artistico delle recensioni del buon vecchio Barnum, né la magia dei suoi romanzi, né la scrittura creativa preconfezionata all'Ikea dei suoi ultimi lavori.
Chiamalo niente: Baricco stavolta caccia fuori la prerogativa del suo essere: può finalmente respirare quel suo diploma in pianoforte al conservatorio a braccetto con una laurea in filosofia con Gianni Vattimo.
Ma allora che c'entrano i barbari? Sono quelli che cambiano la storia e non per questo sono i distruttori: pensiamo ai Romantici che hanno annientato gli Illuministi, ai pittori realisti che hanno infranto la regola del bello ideale. Per indole e non per ideologia, saremo portati a pensarla come lo spirito conservatore di Monsieur Louis François Bertin, il padrone del Journal des Débats. Ma se riusciremo a guardarle le mutazioni sulla cresta della loro onda, avviene qualcosa di magico. La nostra epoca ci è dentro fino al collo. Se riusciamo a respirare con le branchie riusciamo anche a capire il concetto. E allora succede che di Baricco ti puoi di nuovo innamorare come ai vecchi, vecchi tempi di Seta e Novecento,anche se in maniera diversa.
Prende Bethoween, anche lui era un barbaro con quel suo frac verde: via la moda delle parrucche. Ed ecco la Nona: i suoi contemporanei la odiarono come la peste alla sua prima, ma nel 1982, quando quelli della Philips crearono i compact disc, si dissero che nella capacità standard di questo supporto audio sarebbe dovuta starci tutta la Nona per essere perfetto. E così Bethoveen diventa un bozzetto di un piccolo personaggio da letteratura racchiuso in questo scrigno di un micromondo di un Baricco autentico, quello che ama anche Walter Benjamin, un filosofo di fenomenologia che amava guardare le cose, classificarle, stare dentro la sua epoca, rivoltare in lungo e in largo i movimenti dell'evoluzione di Parigi dopo l'Ancien Régine come la filologia su Baudelaire e Goethe e le dinamiche del dramma barocco tedesco e allo stesso tempo, trova interesse a capire le dinamiche del personaggio di Topolino. Topolino, l'arte dell'evoluzione di Benjamin, del suo senso alternativo. E' questa la storia, con il tempo la barbaria che stupra i suoi contemporanei diventa un fondamento della società quasi fossero i barbari a battere la strada dell'avanguardia, del progresso.
Un discorso che non è da poco pensando che tutto questo è nato sulle pagine di un quotidiano,dove devi avere una scrittura semplice, accessibile al lettore medio e parlare di Bethoween e Benjamin è già un piccolo prodigio. Ma in questo cammino ci saranno anche il calcio di Baggio e la parabola del sapere senza confini di Larry Page e Sergei Brinn, i fautori di Google oppure l'analisi dello status della letteratura contemporane dall'enfasi mercantile in cui non ci sono lettori,ma si vendono milioni di copie.
Ma può essere affascinante il mondo delle invasioni barbariche? Certo, ma forse, se la musica classica e Benjamin non sono le vostre passioni, Baricco può spiegarvi la questione anche in questi termini: "Immaginare un supereroe vichingo al volante di una Ferrari senza benzina tirata da otto cavalli,armato con un arco in tungsteno,l'i-Pod nella tasca della tunica da crociato (in audio canto gregoriano e sax) quando parla,parla in latino." Stravagante? Era solo la spiegazione del personaggio di Achille ai suoi contemporanei,di quando un barbaro ricostruisce dalle macerie di chi sconfigge. Forse allora è meglio tracciarlo così, per vederlo con i nostri occhi: fare i barbari "è come far salire Schumacher su un go-kart,come far ascoltare Let It Be a Glenn Gould,come chiedere a De Gasperi un parere sull'Udc,come chiedere a Luciano Berio cosa gli sembra Philip Glass. Magari non lo dicono, ma lo pensano:simpatici,questi barbari."
Questo saggio diventa così una scrittura pop tra la storia già scritta e quella da scrivere: c'è materia su cui studiare, a volte anche in maniera comoplessa. Su questo saggio ci sono state anche polemiche - Goffredo Fofi in primis - ma chissà che non diventi una profezia come gli Scritti Corsari di PPP, ma comunque, contemporanei quanto vuoi, qui a Baricco quel piglio particolare per la filosofia e per la musica classica non gliela toglie nessuno come il giovane Nietzsche che legge di nascosto Shopenauer ascoltando Wagner mentre scrive La Nascita Della Tragedia Dallo Spirito Della Musica.
E sia allora. Bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella che danzi.
►ALESSANDRO BARICCO: LA VITA
Alessandro Baricco nasce a Torino il 25 gennaio 1958. Dopo la laurea in filosofia e il diploma in pianoforte lavora come copy writer. Scrittore tra i più conosciuti e amati dai lettori di narrativa in Italia, ha lavorato come critico musicale de "la Repubblica" e poi come editorialista culturale de "La Stampa". L'amore per la musica e per la letteratura ha ispirato fin dall'inizio la sua attività di brillante saggista e di narratore. Ha collaborato a trasmissioni radiofoniche. Esordisce in TV nel 1993 come conduttore di L'amore è un dardo, una fortunata trasmissione di Raitre dedicata alla lirica, che rappresentava il tentativo di gettare un ponte tra un mondo affascinante, ma spesso impenetrabile ai più, e il comune pubblico televisivo. Conduce nel 'Pickwick, del leggere e dello scrivere', affiancato dalla giornalista Giovanna Zucconi. Mette in scena lo spettacolo 'Totem. Letture, suoni, lezioni'. Nel 1994 fonda "la Scuola Holden", nella quale tuttora insegna scrittura creativa, e nel 1996 scrive un testo teatrale, Davila Roa (mai pubblicato), che va in scena l'anno seguente al teatro Argentina di Roma, per la regia di Luca Ronconi, e che viene duramente criticato. Nel febbraio 2002 firma la sceneggiatura dello spot pubblicitario per i 125 anni della Barilla.A Novembre 2002 realizza il City Reading Project, portando in scena al Teatro Valle di Roma alcuni brani chiave del suo romanzo City, che a marzo 2003 è diventato un CD co-firmato con il gruppo francese AIR. Ad Aprile 2003 Dino Audino Editore pubblica Partita Spagnola, una sceneggiatura di Baricco del '87 realizzata a quattro mani con Lucia Moisio, sulla storia di Farinelli, la voce bianca del '700. A Giugno 2003 esce il cofanetto Totem. Nel settembre 2003, Baricco riprende l'esperienza della lettura in pubblico con 'Il racconto dell'Iliade' - con prima assoluta il 21 Settembre 2003 presso l'Accademia di Francia a Roma, sempre nell'ambito del Roma Europa Festival. Dell'opera omerica Baricco propone una rilettura in chiave moderna che suscita grande interesse e apprezzamento da parte del pubblico.A gennaio 2005 Baricco riprende al Palldium con le sue 'lezioni', raccontando di Fenoglio, Garcia Marquez e Carver.
Baricco ha creato a Torino la scuola di scrittura "Holden", dedicata alle tecniche narrative. Ha vinto il Premio Selezione Campiello e il Premio Viareggio. Ha pubblicato due libri di argomento musicale, Il genio in fuga. Sul teatro musicale di Rossini (Il Melangolo 1988) e L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin (Garzanti 1993), e i romanzi Castelli di rabbia (Rizzoli 1991, Bompiani 1994, Feltrinelli 2007), Oceano mare (Rizzoli 1993, Feltrinelli 2007), Seta (Rizzoli 1996), City (Rizzoli 1999, Feltrinelli 2007), Senza sangue (Rizzoli 2002) e I barbari. Saggio sulla mutazione, pubblicato in volume prima nella Biblioteca di Repubblica e poi da Fandango nel 2006.
"Il silenzio tra due onde. Il Buddha, la meditazione, la fiducia", Pensa Corrado, Mondadori, 2008.
II più autorevole esperto italiano di filosofia orientale ci accompagna in un viaggio attraverso i temi principali del buddhismo: il senso della vita, del dolore, l'illuminazione, la pratica quotidiana della meditazione... Corrado Pensa riesce a rendere vicino all'uomo occidentale del XXI secolo un pensiero nato e sviluppatosi in un clima apparentemente lontano da noi. In questo libro dunque non solo ci offre un'efficace panoramica del messaggio del Buddha, ma ci spiega anche come trasferire nella nostra esistenza di tutti i giorni il cuore di quel prezioso insegnamento.
CORRADO PENSA è insegnante di meditazione di consapevolezza (vipassana), secondo la tradizione buddista Theravada, in spirito interreligioso. E’ anche senior teacher presso l’Insight Meditation Society (I.M.S.) di Barre, Mass., USA., dove conduce ritiri intensivi di meditazione, come in Italia ed Europa. Per l’editore Ubaldini (Roma) ha scritto i libri Una tranquilla passione e Intelligenza spirituale, raccolte di saggi sulla meditazione vipassana. E’ stato ordinario di Religioni e Filosofie dell’India e dell’Estremo Oriente presso l’Università “La Sapienza” di Roma e Socio ordinario dell’Associazione Italiana di Psicologia Analitica.
"La corazza ricamata I greci e l'invisibile", Roberto Peregalli, Bompiani, 2008.
Tra Omero e Platone si verifica, nella cultura greca, un capovolgimento dell'idea di conoscenza: per Omero conoscere equivale a vedere, come per i filosofi presocratici e ancora per Erodoto e Ippocrate; ma per Piatone (e per la lunga tradizione idealistica che da lui prende, le mosse) ciò che si vede è un inganno, la vera conoscenza è quella delle cose invisibili. Passando per il sapere misterico della Grecia pre-socratica, per il mito di Edipo, in cui il tema della vista e della cecità ha un ruolo centrale, e per quello delle sirene, il libro indaga il rapporto, a volte tragico, tra sapere e vedere, mettendo in luce le radici antiche di dibattiti concettuali tuttora in corso.
Che cosa vuol dire sapere? È una domanda antica. Una domanda che non ha una risposta univoca, con buona pace degli scentisti più beceri. A esempio, nel contesto culturale di una qualunque religione, soprattutto se monoteista, «sapere» può coincidere con «credere».
Nella Grecia arcaica, quella omerica, «sapere», invece, coincideva con il concetto di vedere con i propri occhi. Tant’è che i Greci venivano chiamati «il popolo dell’occhio», e che nelle stesse forme verbali ne restano tracce: per un greco «ho visto» significava «io so». E questo modo di intendere la conoscenza, i modi in cui la civiltà greca ha declinato il rapporto tra ciò che è visibile e ciò che non lo è, ha influenzato tutta la nostra civiltà, la nostra filosofia.
Allora il breve libro di Roberto Peregalli La corazza ricamata. I greci e l’invisibile (Bompiani, pagg. 152, euro 18) è un buon viatico, colto ma non accademico, per avvicinarsi al mondo della visione e del sapere nella cultura ellenica.
Le pagine accompagnano il lettore, aiutate dai disegni di Pierre Le-Tan, nella scoperta di quel lungo percorso, snodato su ciò che l’occhio vede o non vede, che porta da Omero a Platone. Un percorso denso di curiosità, di miti, di allegorie. Così si scopre che all’origine, nell’Iliade e nell’Odissea, la differenza fra gli dei e gli uomini è proprio nella potenza della vista o nella possibilità di celarsi alla vista altrui. «Chi potrebbe vedere con gli occhi un dio mentre va o mentre viene, se questi non vuole?», per dirlo con le parole di Omero. Il sonno, come spiega Peregalli, è invece ciò che toglie la onniveggenza e la conoscenza agli dei. Per i mortali è però anche la porta verso l’oblio della stanchezza. La porta dei sogni che sono a loro modo conoscenza: «I sogni si vedono, dialogano con il dormiente, hanno figura umana. Maschere di Ermes, sono al pari di lui messaggeri. Annunciano e ingannano». Sono insomma uno dei tanti varchi verso l’invisibile, quello con cui la civiltà greca si trova a fare i conti prima nei misteri e poi nella ricerca filosofica. E a secoli di distanza alcuni di questi miti, alcuni di questi dubbi su che cosa sia conoscibile e che cosa no, su che cosa sia davvero visibile in quanto esistente e che cosa solo un eidolon, un fantasma, sono ancora aperti e ci fanno interrogare sul senso del presente.
"PENSARE L'ANIMA", DONFRANCESCO FRANCESCO, Moretti & Vitali, 2008.
Un libro, questo di Francesco Donfrancesco, che nasce da una alleanza affascinante fra l'esperienza psicoanalitica e quella psicopatologica, fra le conoscenze della psicologia analitica e quelle della psicoanalisi freudiana, fra gli orizzonti psicodinamici e quelli fenomenologici, fra la cultura estetica e quella mitologica; e questo senza che ci siano contaminazioni di linguaggio ma nel solco di un rigore assoluto animato dalla fiamma della passione: della passione dell'ascolto e della interpretazione dei dolori dell'anima che l'incontro con i pazienti fa nascere senza fine.
L’autore propone in questo libro un radicale ripensamento su come riflettere l'esperienza psichica e scriverne: seguendo Jung, che invitava a evitare quel “pensiero distorto”, o meglio sradicato, che l'illuminismo condivide con la nevrosi, mentre il pensiero psicologicamente giusto rimane legato al cuore, alla profondità dell'anima, allo spirito degli antenati; e seguendo Hillman, che ha proposto una revisione della psicologia attraverso il riconoscimento del mito che dall'inconscio governa l'analisi. Le tre parti in cui si divide il libro rappresentano i movimenti necessari alla conquista di questo rinnovato modo di pensare l'anima:”Coltivare l'immaginazione”, “Ospitare gli invisibili”, “Custodire la bellezza”. Un percorso che si avvale dell'insegnamento non soltanto di Jung e Hillman, ma di filosofi come Maria Zambrano, che lega il sapere dell'anima al pensiero del cuore, e di poeti e artisti, ai quali Donfrancesco si rivolge sia per meglio percepire il linguaggio dell'anima, sia per cogliere le emozioni che essi lasciano affiorare dal profondo e rappresentano in simboli.
"Un'educazione alla felicità", di Flavia Arzeni, Rizzoli, 2008.
II libro di Flavia Arzeni è un piccolo vademecum per la felicità. Da una parte rilegge la vita e le opere di Rataindranath Tagore e Hermann Hesse, che appartengono a mondi diversi ma si muovono verso uno stesso ideale di armonia, una saggezza che va al di là delle vicende contingenti. Dall'altra mette in pratica un percorso costituito da "quattro gradini verso la felicità" attraverso le citazioni e i versi dei due maestri, esplorando l'aspetto "letterario" dei giardini, finora trascurato. Dare forma alla natura diventa un esercizio di meditazione, per calare l'insegnamento di Hesse e Tagore nella pratica (6 nel simbolo) di uno spazio verde creato dall'uomo: un'oasi di stabilità e di ordine legata ai ritmi ciclici della natura.. Il tema della felicita' e' fra i piu' diffusi nella cultura di tutto i tempi e nella vita di tutti gli uomini. Chi non vorrebbe la ricetta magica, quella che ci illumini su cosa sia, come si possa ottenere, dove la si possa trovare, la felicita': domande che piu' o meno consapevolmente si pongono tutti, ricchi e poveri, giovani e anziani, e perfino gli infanti, per non dire filosofi e gli artisti, i santi e i medici, i cui libri figurano in ogni libreria contemporanea. Fra tante formule filosofiche ed esperienze di vita Flavia Arzeni ne isola due lontanissime sul piano geografico, ma con straordinari punti di contatto intellettuale, uno scrittore tedesco e un poeta indiano, Hermann Hesse (1877-1962) e Rabindranath Tagore (1861-1941), entrambi premi Nobel per la letteratura. Di Hesse Flavia Arzeni rilegge con competenza gran parte dell'opera, fermandosi soprattutto su 'Siddharta', il romanzo indiano, che e' esattamente una ricerca mistica della felicita', che moltissimi giovani degli anni Settanta hanno adottato come libro dell'anima. Del Tagore poeta l'intera opera e' un inno alla felicita', un tesoro segreto che si puo' cercare ogni giorno, aiutati magari dall'arte della musica, della pittura e naturalmente della poesia. Sorprende invece che in Tagore sia debole l'esperienza amorosa, che spesso si intreccia con quella della felicita', e resti circoscritta ad un matrimonio combinato accettato secondo le regole della tradizione indiana. E altrettanta sorpresa scaturisce dall'apprendere che, nonostante Hesse abbia pubblicato un libro di viaggio dal titolo 'In India', egli non abbia per nulla subito la fascinazione di quel paese esotico, ma abbia svolto il suo pellegrinaggio come un obbligo intellettuale, per soddisfare impegni editoriali
"Il Gusto di Essere Felici Saggezza e benessere in ogni momento della vita", Matthieu Ricard, Sperling & Kupfer, 2008.
Da queste pagine apprenderemo come funzionano i meccanismi mentali che alimentano la sofferenza e come stroncarli sul nascere. Saremo così finalmente liberi di goderci la vita, investendo le nostre energie ad alimentare un buonumore solido e costante.
In un test sulla felicità un monaco buddista parigino ottiene dei risultati che sbriciolano quella che si pensava fosse la soglia della beatitudine: è dunque l'uomo più felice della Terra?
Il suo nome è Matthieu Ricard ed è la "voce" francese del Dalai Lama: da più di trent'anni vive in un monastero fra le montagne del Nepal, ma è lontanissimo dall'essere un asceta fuori del mondo: viaggia in tutto il pianeta e partecipa a progetti scientifici in cui offre la sua peculiare competenza di filosofo e scienziato.
Tutti gli chiedono sempre cosa sia per lui la felicità, e Ricard ha allora deciso di condividere, attraverso questo volume, i risultati di un lunghissimo cammino spirituale e umano. Da queste pagine apprenderemo come funzionano i meccanismi mentali che alimentano la sofferenza e come stroncarli sul nascere. Saremo così finalmente liberi di goderci la vita, investendo le nostre energie ad alimentare un buonumore solido e costante.
Biologo molecolare, trent'anni fa Matthieu Ricard si è convertito al buddismo e ora vive in un monastero in Nepal. Attualmente è il più celebre ambasciatore del buddismo in Francia, il traduttore dal tibetano in francese e inglese del Dalai Lama, il curatore della riedizione dei testi sacri tibetani medievali, un autore di saggi best-seller e, ora, anche un romanziere.
"Dialoghi con Leucò", Cesare Pavese, Einaudi, 1999.
Nell’immediato dopoguerra, fra il 1945 e il 1947, Pavese compone probabilmente l’opera più coraggiosa della sua vita, Dialoghi con Leucò, ventisei brevi conversazioni a due, che analizzano le eterne angosce degli uomini, affrontando temi fondamentali come il dolore, la morte, il destino e le imperscrutabili leggi che li governano. I protagonisti dei dialoghi sono sempre eroi della mitologia greca e latina, e sempre personaggi diversi tranne Leucotea, corrispondente, nel nome (troncato nel titolo in Leucò), ad una dea tebana ma traduzione greca del nome Bianca, come la donna di cui era innamorato Pavese in quel periodo.
Ed era un momento, quello, di dominante neorealismo, in cui la cultura letteraria del dopoguerra imponeva la trattazione pressoché esclusiva di argomenti legati al presente, al conflitto stesso o alle gravi difficoltà dell’uomo a vivere “il giorno dopo” in una terra sconvolta dall’odio. Anche Pavese è un autore neorealista, per alcuni critici il più grande, ma i Dialoghi sembrano operare uno strappo memorabile, non immediatamente compreso. Un ritorno al passato, un balzo all’indietro addirittura fino alla mitologia classica non era tollerabile, far rivivere Achille e Patroclo, Eros e Tanatos, o Calipso anziché la maga Circe, poteva far temere alle prevalenti lettere del tempo un rischioso arretramento, un inutile salto nel buio che chi era impegnato con vigore a monitorare l’oggettiva realtà non avrebbe mai messo in conto di compiere.
Condannato per “disimpegno” e definitivamente emarginato dalla politica e dagli ambienti culturali, Pavese, ormai sfiduciato ed isolato anche nella vita privata, si uccide a Torino il 26 agosto 1950, in una camera d’albergo. Ma il suo riscatto era appena iniziato. E’ proprio del ’50 l’assegnazione del prestigioso Premio Strega, un riconoscimento che interviene opportunamente ad accelerare un’operazione già intrapresa, la complessiva riconsiderazione delle opere di Pavese. E i «dialoghetti» (come egli stesso li chiamava) sopra tutte le altre, ottengono finalmente la giusta lettura.
Che personaggi come Issione e La Nube, Saffo e Britomarti, Ippolito-Virbio e la dea Diana risultassero impopolari alla letteratura del primo dopoguerra, così materialistica ed intrisa di realtà umana, era facilmente ipotizzabile. Qualsiasi noto scrittore del tempo avrebbe proposto in loro vece soldati o contadini dai nomi familiari, ed il successo gli avrebbe immediatamente arriso. I temi trattati nel libro si sarebbero agevolmente potuti adattare ad un linguaggio più convenzionale, maggiormente in linea con la tendenza del momento, spesso retorica. Ma il rifiuto di omologazione di Pavese supera i tempi, li trascende e li analizza seguendo un percorso audace che dal mito precristiano arriva alla valutazione lucida dei problemi contemporanei, l’ineluttabilità del destino, la necessità della morte o i dubbi sulla felicità dell’uomo, i medesimi affrontati dai personaggi mitologici citati prima.
Ed il coraggio di Pavese nel comporre Dialoghi con Leucò, asserito in apertura, consiste proprio in questo, nella forza intellettuale che solo un autentico uomo di cultura possiede nello sfidare il conformismo del proprio tempo, assumendosi tutte le responsabilità delle proprie ragioni e pagandone senza esitazioni il relativo prezzo, persino il più alto.
Quando il corpo senza vita di Cesare Pavese viene ritrovato in una camera dell’Hotel Roma, nella sua Torino, il 27 agosto 1950, sullo scrittoio i Dialoghi con Leucò e un epitaffio in prima pagina: «perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». La morte, raccontata così da Davide Lajolo o Lorenzo Mondo, mette in scena la solitudine di un uomo, ossessionato da un senso di inadeguatezza e che in vani amori aveva cercato di trovare sollievo. Un uomo che sembra voler condividere il proprio tragico destino solo col libro preferito, dopo aver trovato nella letteratura il suo mestiere, i motivi per vivere. Aveva deciso di trascorrere la giovinezza sognando l’America e scoprendone gli autori: «quel sentirsi sradicati e primordiali pur in mezzo al fraterno fervore di una civiltà ricchissima e goduta e complessa, esaltava», scrive ancora a distanza di anni. Quella letteratura, oltre a essere una risposta all’autarchica cultura fascista, gli offre un linguaggio nuovo, «rustico universale», erudito e semplice, una nuova intramatura dell’inglese, tutta fatta d’idiotismi americani, uno stile lontano dal dialetto, ma linguaggio ripensato, ricreato, poesia. Per questo, in dieci anni, dà numerosissimi articoli, spesso utilizzati a prefazione delle varie traduzioni, spaziando dal Nobel Sinclair Lewis a Sherwood Anderson, da Dos Passos a Lee Master. Quando scopre Gertrude Stein ne caldeggia due pubblicazioni e vi intrattiene un carteggio, l’unico esistente con un autore straniero, perché più di altre le sue opere si esplicitano come l’elemento mancante di una catena dialettica. E mentre teorizza il passaggio dal racconto di una realtà al racconto di un racconto, alla continua ricerca di modelli, apre gli occhi all’etnologia, ai miti, alle dinamiche psicologiche e soprattutto a Jung, del quale diviene il primo fautore. Permeato da queste letture, comprende la carica ermeneutica dei postulati analitici, nonostante la paura di vedere compromesso il suo mestiere da certe «scoperte psicologiche di perversità potente». E l’incontro con Bianca Garufi del 1946, la Circe dei Dialoghi con la quale discorre di letteratura e psicanalisi, non può che concretare anni di ambizioni poetiche e intellettuali. Questo percorso di studi su Cesare Pavese ha avuto inizio tre anni fa quando mi è stato concesso di studiare negli Stati Uniti per consultare i materiali della “Beinecke Rare Book & Manuscript Library” dell’Università di “Yale”. I risultati della ricerca consistono nel ritrovamento di alcune lettere inedite, parzialmente pubblicate in un dossier da me curato per la rivista «Sincronie» (VIII, 15, gennaio-giugno 2004), che appaiono in forma definitiva nella Tesi di Dottorato assieme a quelle di Giulio Einaudi inviate alla stessa autrice americana. Vicino troverà spazio anche un’intervista a Bianca Garufi, la musa dei Dialoghi, l’ultima concessa prima della sua scomparsa nella scorsa primavera. Un’intervista che ha motivato lo studio di nuovi aspetti della carriera del langarolo, l’unico italiano a conoscere e studiare Jung fra le due guerre.
Biografia:
Cesare Pavese nasce il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, un paesino delle Langhe in provincia di Cuneo, dove il padre, cancelliere del tribunale di Torino, aveva un podere. Ben presto la famiglia si trasferisce a Torino, anche se le colline del suo paese rimarranno per sempre impresse nella mente dello scrittore e si fonderanno pascolianamente con l’idea mitica dell’infanzia e della nostalgia. Il padre di Cesare muore quasi subito: questo episodio inciderà molto sull’indole del ragazzo, già di per sé scontroso e introverso.
Molti si sono occupati dell’adolescenza di Cesare, di questo ragazzo timido, amante dei libri, della natura e sempre pronto ad isolarsi dagli altri, a nascondersi, a inseguire farfalle e uccelli, a sondare il mistero dei boschi.
Davide Laiolo, suo grande amico, in un libro intitolato Il vizio assurdo tende a evidenziare due elementi fondamentali: la morte del padre e il conseguente irrigidirsi della madre che, con la sua freddezza e il suo riserbo, attuerà un sistema educativo più da padre asciutto e aspro che non da madre affettuosa e dolce. L’altro elemento è la tendenza al «vizio assurdo», la vocazione suicida. Ritroviamo infatti sempre un accenno alla mania suicida in tutte le lettere del periodo liceale, soprattutto quelle dirette all’amico Mario Sturani.
Questo mondo adolescente di Cesare, così difficile, così traboccante di solitudine e di isolamento per Monti sarebbe invece il risultato della introversione tipica della adolescenza, per Fernandez la risultante di traumi infantili (morte del padre e mondo femminile in cui viene allevato, desiderio inconscio di autopunizione). Per altri ancora invece il dramma della impotenza sessuale, indimostrabile forse, ma a momenti rintracciabile in alcune pagine de Il mestiere di vivere.
Qualunque sia l’interpretazione che si vuole dare a questi primi anni, non si può negare che si profila subito in essi la storia di un destino tragico e amaro, evidenziato da un disperato bisogno d’amore, da una ricerca di apertura verso gli altri, verso il mondo, verso le relazioni interpersonali, destino di solitudine, di amarezza, di disperata sconfitta. Una grande dicotomia tra l’attrazione per la solitudine e il bisogno di non essere solo.
Dibattuto tra gli estremi di una orgogliosa affermazione di sé e della constatazione di una sua inadattabilità alla vita, Pavese sceglie fin da ragazzo la letteratura «come schermo metaforico della sua condizione esistenziale» (Venturi), in essa cercando la risoluzione dei suoi conflitti interiori.
Studia nell’Istituto Sociale dei Gesuiti e nel Ginnasio moderno, quindi passa al Liceo D’Azeglio, dove avrà come professore un maestro d’umanità, Augusto Monti, al quale molti intellettuali torinesi di quegli anni devono tanto. L’ingresso al liceo D’Azeglio è di somma importanza per la vita di Cesare, il quale tra il 1923 e il 1926 partecipa a quel rinnovamento delle coscienze che non solo esercitava l’azione educatrice di Monti ma che trovava concretezza e palpabilità nell’opera di Gramsci e Gobetti. Dapprima Pavese è assai riluttante a impegnarsi attivamente nella lotta politica, verso la quale egli non nutre grande interesse, anche perché tende a fondere sempre il motivo politico con quello più propriamente letterario. È però attratto dai giovani che seguono Monti: Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Tullio Pinelli, Massimo Mila, i quali non aderiscono né al movimento di Strapaese (legato al fascismo) né a quello di Stracittà (movimento apparentemente progressivo ma in realtà anch’esso trincerato dietro lo scudo fascista), in opposizione ai quali essi coniano la sigla Strabarriera.
Cesare trova gusto nelle discussioni, si trova a suo agio nelle trattorie, assieme agli operai, ai venditori ambulanti, alla gente qualunque: molti di questi saranno un giorno protagonisti dei suoi romanzi. Ha la sensazione di essere giovane, rinato e, negli ultimi anni dell’Università, nella sua vita privata entra colei che sarà al centro della sua anima, «la donna dalla voce rauca». Cesare appare addirittura trasformato: per tutto il tempo durante il quale ha la sensazione che questa donna gli sia vicina, diventa cordiale, umano, affettuoso, aperto al colloquio con gli altri. Quella donna gli riporta l’incanto dell’infanzia, il suo viso, quando non la sente sua non è più il mattino chiaro, è una nube, ma una nube dolcissima e, anche se vive altrove, gli riflette sempre «lo sfondo antico». Quelle colline e quel cielo tornano ancora umanissimi come il «dolce incavo della sua bocca».
Nel 1930 (a soli ventidue anni) si laurea con una tesi Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman e comincia a lavorare alla rivista «La cultura», insegnando in scuole serali e private, dedicandosi alla traduzione della letteratura inglese e americana nella quale acquisisce ben presto fama e notorietà. Gli anni del liceo e poi dell’università portano nella vita del ragazzo solitario il suggello dell’amicizia: tutto contribuisce ad umanizzare le sue rabbiose letture: le dispute letterarie, l’eccitante accostamento al mondo vietato della politica, i caffè concerto, i miti sfolgoranti dell’industria cinematografica, le marce in collina, le vogate sul Po che rinvigoriscono il suo corpo, precocemente squassato dall’asma. In confronto al paese, la città si presenta come una grande fiera, come una festa continua. Di giorno la vita è piena, i negozi sono tanti, i tram sferragliano e dovunque si ascolta musica.
Nel 1931 muore la madre, pochi mesi dopo la laurea: per l’ammirazione mai manifestata e per il rimorso di non aver mai saputo dimostrare il suo affetto e la sua tenerezza per lei, la sua morte segna un altro solco amaro nella vita dello scrittore. Rimasto solo, si trasferisce nell’abitazione della sorella Maria, presso la quale resterà fino alla morte.
Intanto sempre nel 1931 viene stampata a Firenze la sua prima traduzione: Il nostro signor Wrenn di Sinclair Lewis. Il mestiere di traduttore ha tale importanza non solo nella vita di Pavese ma per tutta la cultura, da aprire uno spiraglio a un periodo nuovo nella narrativa italiana. Con le sue traduzioni, egli dà la misura di quanto sia grande la sua ansia di libertà, la sua esigenza di rompere lo schema delle retoriche nazionalistiche e aprire a sé e agli altri nuovi orizzonti culturali, capaci di smuovere quelle incrostazioni vecchie e nuove che avevano fatto ammalare la società italiana. Egli vuole presentare coscientemente «il gigantesco teatro dove, con maggior franchezza che altrove, veniva recitato il dramma di tutti». Il fascismo negava ogni iniziativa alle grandi masse, condannava e impediva gli scioperi, mentre in quei romanzi americani si leggeva la possibilità di creare nuovi rapporti sociali.
Contro la monotonia della prosa d’arte e diversamente dall’Ermetismo, Pavese dimostrava come il contatto con le grandi masse americane attraverso quei romanzi vivificasse anche il linguaggio, con l’inserimento della parlata popolare, sì da renderlo congeniale con i nuovi contenuti. Di tutti, quello che diventa la coscienza del suo destino è Peter Mathiessen (lo scrittore della Natura: Il leopardo delle nevi, L’albero dove è nato l’uomo, Il silenzio africano NdR.), per la comune ricerca del linguaggio, per il senso tragico e per il considerare inutile la vita, nonché per l’estremo gesto suicida.
Nel 1933 sorge la casa editrice Einaudi al cui progetto Pavese partecipa con entusiasmo per l’amicizia che lo lega a Giulio Einaudi: questi sono gli anni dei suoi momenti migliori con «la donna dalla voce rauca», una intellettuale laureata in matematica e fortemente impegnata nella lotta antifascista: Cesare accetta di far giungere al proprio domicilio lettere fortemente compromettenti sul piano politico: scoperto, non fa il nome della donna e il 15 maggio 1935 viene condannato per sospetto antifascismo a tre anni di confino da scontare a Brancaleone Calabro. Tre anni che si ridurranno poi a meno di uno, per richiesta di grazia: torna infatti dal confino nel marzo del 1936, ma questo ritorno coincide con un’amara delusione: l’abbandono della donna e il matrimonio di lei con un altro. L’esperienza (che sarà il soggetto del suo primo romanzo, Il carcere), e la delusione giocano insieme per farlo sprofondare in una crisi grave e profonda, che per anni lo terrà avvinto alla tentazione dolorosa e sempre presente del suicidio.
Si richiude in un isolamento forse peggiore di quello adolescenziale ma ancora una volta a salvarlo è la letteratura, il suo «valere alla penna».
Nel 1936 compare a Firenze, per le edizioni Solaria, la prima raccolta di poesie Lavorare stanca che comprendeva le poesie scritte dal 1931 al 1935 e che fu letta da pochi. Una seconda edizione, comprendente anche le poesie scritte fino al 1940, fu pubblicata nel 1942 da Einaudi. In quegli anni scrive ancora racconti, romanzi brevi, saggi. Esce nel 1941 la sua prima opera narrativa, Paesi tuoi, «ambiantata in quelle colline e vigne delle Langhe, che accanto alla Torino dei viali e dei caffè, dei fiumi e delle osterie, costituisce l'altro grande luogo mitico della poetica pavesiana» (Emilio Cecchi). Sembra aver riacquistato la fiducia in se stesso e nella vita e, soprattutto frequentando gli intellettuali antifascisti della sua città, pare aver maturato anche una coscienza politica. Tuttavia non partecipa né alla guerra né alla Resistenza: chiamato alle armi, viene dimesso perché malato di asma.
Destinato a Roma per aprire una sede della Einaudi, si trova isolato e in lui prevale la ripugnanza fisica per la violenza, per gli orrori che la guerra comporta e si rifugia nel Monferrato presso la sorella, dove vivrà per due anni «recluso tra le colline» con un accenno di crisi religiosa e soprattutto con la certezza di essere diverso, di non sapere partecipare alla vita, di non riuscire aessere attivo e presente, di non essere capace di avere ideali concreti per vivere (motivi che ritorneranno nel Corrado de La casa in collina e che in un certo senso riportano alla inettitudine sveviana e quindi al Decadentismo).
Dopo la fine della guerra si iscrive al Partito comunista ma anche questa scelta, come la crisi religiosa, altro non era se non un ennesimo equivoco, una nuova maniera di prendere in giro se stesso, di illudersi di possedere quella capacità di aderenza alle cose, alle scelte, all’impegno che invece gli mancavano. La sua probabilmente era una sorta di tentativo di riparazione, di voglia di mettere a posto la coscienza e del resto ancora il suo impegno è sempre letterario: scrive articoli e saggi di ispirazione etico-civile, riprende il suo lavoro editoriale, riorganizzando la casa editrice Einaudi, si interessa di mitologia e di etnologia, elaborando la sua teoria sul mito, concretizzata nei Dialoghi con Leucò.
Recatosi a Roma per lavoro (dove soggiornerà per un periodo stabilmente, a parte qualche periodica evasione nelle Langhe) conosce una giovane attrice: Constance Dowling. È di nuovo l’amore. La giovane con le sue efelidi rosse e forse in qualche modo con una sincera ammirazione per un uomo ormai famoso e noto, ricco di intelletto e capace di una forte emotività, accende ancora una volta Cesare, ma poi va via, lo abbandona. Costance torna in America e Pavese scrive Verrà la morte e avrà i tuoi occhi…
A questo secondo abbandono, alle crisi politiche e religiose che riprendono a sconvolgerlo, allo sgomento e all’angoscia che lo assalgono nonostante i successi letterari (nel 1938 Il compagno vince il premio Salento; nel 1949 La bella estate ottiene il premio Strega; pubblica La luna e i falò, considerato il suo miglior racconto) alla nuova ondata di solitudine e di senso di vuoto non riesce più a reagire. Logorato, stanco, ma in fondo perfettamente lucido, si toglie la vita in una camera dell' albergo Roma di Torino ingoiando una forte dose di barbiturici. È il 27 agosto del 1950. Solo un'annotazione, sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, sul comodino della stanza «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.».
Aveva solo 42 anni.
"La danza della realtà", Alejandro Jodorowsky, Feltrinelli, 2006.
Senza dubbio l’opera più importante, rivelatrice e ipnotizzante dello scrittore, è un’autobiografia che va letta come il romanzo di una vita sorprendente, un’opera che scandisce il percorso di un uomo alla ricerca delle verità ultime e fornisce le chiavi del suo universo filosofico e sciamanico. Dall’infanzia dolorosa che aprì la sua sensibilità all’esistenza delle cose fino all’inesausta scorribanda tra le arti e i saperi in tutte le latitudini delle culture. Da questa infinità di esperienze deriva la psicomagia, pratica che restituisce all’arte e all’immaginazione la loro primitiva funzione curativa.
In breve
L’autobiografia dello sciamano “occidentale” per eccellenza. Una storia reale, mai romanzata, di una vita vissuta intensamente e spesso in modo drammatico. Magia e psicomagia, arte e surrealismo, cinema, droghe, illuminazioni.
Il libro
Un inno alla vita, la prova che l’uomo può superare i traumi e dolori che lo hanno segnato nel corso della sua esistenza e migliorare la realtà. L’interesse del libro risiede soprattutto nell’aneddotica di un’autobiografia davvero fuori dal comune e nella rivelazione di un nuovo modo di intendere la psiche umana e i modi per curarla.
Approfondimento
Una vita davvero movimentata, quella di Jodorowsky. Dall’infanzia in Cile, male amato e maltrattato dai suoi genitori, agli anni bui dell’adolescenza in cui ha scoperto la vocazione poetica sul campo, integrando la poesia nella vita quotidiana mediante azioni come la decisione di attraversare Santiago del Cile in linea retta, oppure mettersi a inseguire una “victoria” (la tipica carrozza trainata dai cavalli) come metafora dell’inseguimento del successo. Poi la decisione di partire per Parigi con cento dollari in tasca, dopo aver buttato a mare la rubrica con gli indirizzi. E gli incontri fondamentali con il gruppo surrealista di Breton, con Marcel Marceau, con Maurice Chevalier e molti altri.
Una vita vissuta nel costante tentativo di dilatare le proprie capacità mentali e di comprendere la realtà che lo circonda. Che sia attraverso una serie di rigidi e crudeli esercizi zen, o attraverso le esperienze con l’Lsd, o tramite lo studio della psicoanalisi o anche attraverso l’incontro con personaggi che vivono il mondo reale in modo magico, come gli sciamani mapuche e i guaritori come Pachita, Jodorowsky ha imparato a controllare le capacità della mente e a metterle al servizio degli altri: creando la psicomagia, è riuscito a fondere il mondo magico delle credenze popolari e la psicoanalisi; a parlare al subconscio utilizzando un linguaggio non razionale, una tecnica che gli ha permesso, attraverso il compimento di atti apparentemente folli, di aiutare persone afflitte da problemi psicologici anche gravi.
“Sono nato nel 1929 nel nord del Cile, in terre conquistate al Perù e alla Bolivia. Tocopilla è il nome del mio paese natale. Un piccolo porto ubicato, forse non per caso, all’altezza del ventiduesimo parallelo. Nei tarocchi ci sono ventidue arcani maggiori. Ciascuno dei ventidue arcani dei Tarocchi marsigliesi è disegnato all’interno di un rettangolo composto da due quadrati. Il quadrato superiore può simboleggiare il cielo, la vita spirituale, mentre quello inferiore la terra, la vita materiale. Al centro del rettangolo s’iscrive un terzo quadrato che simboleggia l’essere umano, unione tra la luce e l’ombra, ricettivo verso l’alto, attivo verso la terra”.
Alejandro Jodorowsky, nato nel Cile del Nord nel 1929, figlio di immigrati ebreo-ucraini, si è trasferito dal 1953 a Parigi, dove ha fondato con Fernando Arrabal e Roland Topor il movimento di teatro "panico".
Oltre che direttore di teatro, Alejandro Jodorowsky è autore di pantomime e pièce teatrali, di romanzi e libri di fumetti, ma la notorietà di Jodorowsky è dovuta soprattutto ai suoi film, dei quali ricordiamo Il paese incantato, dall'omonima opera di Arrabal, El Topo, La montagna sacra, Santa sangre-Sangue santo e Musikanten. Figlio di immigrati ebreo-ucraini, Alejandro Jodorowsky si è trasferito a Parigi nel 1953, dove ha fondato il movimento di teatro "Panico" con Fernando Arrabal e Roland Topor. Artista poliedrico, è direttore di teatro, autore di romanzi e di sceneggiature di fumetti (tra cui L'Incal e La casta dei meta-baroni). Vanno poi ricordati i film che ha diretto e a cui deve la sua notorietà, come Il paese incantato, El Topo, La montagna sacra, Santa sangre.
"Il teatro delle ninfee", Lulu Wang, Il Saggiatore, 2000.
Che cos'è la vita per una bambina che viene allontanata brutalmente dalla famiglia per essere rinchiusa in un collegio governato da regole assurde e crudeli? Per Lian gli adulti si trasformano in orchi, i compagni in folletti maligni e crudeli, la scuola in un arido campo di battaglia, dove occorre sempre guardarsi le spalle per non soccombere e dove solo la tenace amicizia per un'amichetta, vissuta come un'alleanza preziosa in un mondo duro e ostile, riserva qualche gioia. Ma la lotta ha un prezzo, e Lian sviluppa una fastidiosa malattia psicosomatica che ha l'effetto per i suoi aguzzini di ricongiungerla con la madre. La scrittrice Lulu Wang attualmente è insegnante di cinese in Olanda, visse la sua adolescenza proprio nel periodo della Rivoluzione culturale Cinese ed è in questo scenario politico, siamo intorno agli anni ’70, che si dipana l’adolescenza di Lian, la protagonista del suo romanzo. Lian figlia di genitori agiati ed intellettuali, dopo il loro arresto ed un periodo passato incollegio,viene favorita nel riunirsi alla madre nel campo di rieducazione in cui ella è rinchiusa, a causa di una strana malattia che la colpisce: la vitiligine. Qui, lontano dalla scuola, avrà a disposizione come insegnanti i migliori intellettuali del paese che le riveleranno la vera storia della sua Patria. E qui, proprio nel campo, lei stessa, priva di coetanei con cui divagarsi, terrà le sue lezioni rivolte ad un pubblico di rane e ninfee in uno stagno nei pressi del campo ribattezzato “Teatro delle ninfee”.
La Rivoluzione culturale l'ha strappata ai suoi genitori ancora dodicenne. Da allora ha iniziato a "scrivere per non impazzire". Ne sono nati romanzi carichi di lirismo e sentimenti, che esplorano la società cinese in tutte le sue contraddizioni. E che l'hanno resa famosa in tutto il mondo. Una storia dai toni forti ed accesi da un lato, per la descrizione dell’implacabile Rivoluzione in atto e dai toni delicati e poetici dall’altro, ricca di ogni sfumatura possibile del fragile periodo della adolescenza. E su tutto, la realtà di un’amicizia difficile da vivere che porterà a delle tragiche scelte finali incancellabili dalla mente e dal cuore. Un romanzo autobiografico che merita certamente di essere letto anche per poter meglio comprendere gli effetti della prevaricazione e della violazione che gli esseri umani possono arrivare ad ingiungere ai propri simili.
Lulu Wang è nata a Pechino nel 1960. sul volto e su un polpaccio ha ancora i segni della vitiligine, una malattia della pelle che l'ha colpita appena dodicenne a causa della solitudine in cui la Rivoluzione culturale di Mao l'aveva rinchiusa privandola dei genitori, segregati in un campo di rieducazione. Era una famiglia borghese e benestante quella di Lulu, con la madre docente e il padre medico, ma le Guardie Rosse avevano sentenziato: "I primi saranno gli ultimi". All'età di 25 anni, Lulu vince un premio in Cina per un'opera in prosa, ma la censura la mette subito al bando e la giovane decide di lasciare il paese, definitivamente.
A Maastricht insegna cinese all'università. Racconta di quel periodo: "Quando me ne sono andata volevo dimenticare tutto della Cina, non volevo più scrivere nemmeno nella mia lingua. L'esperienza della Rivoluzione era stata troppo profonda. Volevo una nuova vita: un marito olandese, dei figli, una bella macchina e le vacanze in Italia, ma stavo male, soffrivo. E allora il mio psicanalista mi ha detto: scrivi, se non vuoi impazzire". È nato così il suo primo libro, Il teatro delle ninfee (edizioni Est), vincitore del Premio Nonnino assegnatole a Salisburgo nel 1999 durante il Festival di Pasqua. Lei, in lacrime, in quell'occasione ha confessato, mentre il maestro Claudio Abbado l'abbracciava: "Ho dovuto scrivere questo libro per ritrovare la pace".
Il romanzo parla di una bambina, Lian, che "grazie" alla sua malattia può godere del privilegio di stare con la madre nel campo di rieducazione: 25 letti a castello e 49 donne ammassate come bestie in una stanza con due buchi per l'aria. Nel campo conosce intellettuali e scienziati, perseguitati dal regime, che le impartiscono lezioni delle diverse materie e le raccontano la storia, quella vera, del suo paese. Non avendo coetanei con cui condividere le sue giornate, Lulu-Lian ripete le lezioni alle rane e ai grilli, ai fili d'erba e all'acqua di un piccolo stagno ai quali confida paure, sogni e piccole gioie. Sono loro il teatro delle ninfee. Ma il libro è anche la denuncia dell'ipocrisia del regime di Mao e del suo fanatico "equalitarismo". Uscita dal campo, Lian riallaccia l'amicizia con Kim, una giovane della terza classe, bersaglio delle angherie dei ragazzi soprattutto della prima classe, quella della protagonista. Non servirà alla giovane, figlia di poverissimi, primeggiare negli sport e nello studio grazie alla solidarietà di Lian. Il rispetto o il timore degli altri se lo guadagnerà solo entrando a far parte di una banda di ladruncoli, aprendo però così un abisso, dal finale tragico, tra sé e l'unica amica che le aveva voluto bene davvero.
Tra le storie dolorose si snodano quelle d'amore: ci sono le emozioni delle infatuazioni giovanili, la scoperta del corpo che cambia, i giochi, i momenti belli delle amicizie vere. "Faccio guardare le realtà dai bambini perché il loro modo di raccontare anche storie dolorose è più carico di humour e ironia". Ed è infatti un bambino appena nato il protagonista del suo ultimo libro, La festa bianca (edito da Il Saggiatore). La storia di Xingrong si svolge nel periodo dell'occupazione giapponese degli anni Trenta e affronta, come il primo libro, il tema della sopravvivenza. Il padre, autista della sposa del presidente cinese, perde il lavoro quando questi ultimi vengono esiliati. La famiglia cade in miseria e l'ex autista scompare nelle fumerie d'oppio. Dice Lulu Wang: "Io non ho ricevuto l'amore paterno, ero sola. Mio padre era un uomo brillante, un intellettuale, ma Mao l'ha distrutto. Faceva solo sì o no con la testa. Come una pianta. La Rivoluzione ci ha insegnato l'odio e il sospetto reciproco. Chiunque poteva tradirti e denunciarti come "borghese". Non biasimo i miei genitori per l'amore che non hanno saputo darmi, non potevano. Le violenze li hanno spenti. Con questo romanzo ho cercato di tornare ad amare mio padre".
Ying e Yang
Spiega Lulu Wang: "La cultura cinese è diversa dalla vostra. Il concetto che più mi piacerebbe trasmettere è quello dello Ying e dello Yang. C'è sempre un lato positivo e uno negativo in ogni cosa. La realtà non è o bianca o nera come per gli occidentali. Negli anni Sessanta mio nonno ricevette una bara come regalo di compleanno. Si fece mettere dentro e urlò alla moglie di non farlo ingrassare perché non ci sarebbe più entrato. Poi comprò alcuni barattoli di lacca per i tarli. D'estate gli uomini si sedevano fuori dalle loro case, di fianco alle bare e discutevano, prendendosi in giro, su chi aveva dato più mani". Alla fine del romanzo il fratello maggiore del protagonista si indebita per 15 anni per comprare una bara al padre, ritrovato morto per l'oppio. Quel padre che li aveva abbandonati e ridotti in miseria. Ma "io credo che in questo libro la parola "amore" sia un articolo di lusso. Nonostante la miseria, è l'amore "vero" che tiene uniti gli uomini, questo è il mio messaggio". Curiosa è stata la scelta di Lulu Wang di scrivere tutte le sue opere in olandese. "In realtà - dice lei - scrivo in olandese pensando in cinese. Ad esempio per dire "sono triste", scrivo: sul mio volto cadono le lacrime". Pagine dense di Cina e di cultura cinese, quelle scritte da Lulu, che però non rimpiange nessun luogo, nessun legame del suo paese. Un'agenzia turistica organizza viaggi dal titolo Sui passi di Lulu Wang dove i partecipanti vengono accompagnati dalla scrittrice nei luoghi descritti nei suoi libri. "Torno regolarmente in Cina - dice la scrittrice - ma non resisto più di due settimane. Ho dovuto andare lontano dal mio paese per capire che lo amavo. La gioventù cinese oggi è molto simile a quella occidentale, sono sicura che la situazione sociale e politica cambierà". Le labbra rosse si aprono in un sorriso grande. La malinconia, di cui alcuni giornalisti avevano parlato, se n'è andata completamente.
"Elogio della fuga", Henri Laborit, Oscar Saggi Mondadori, 1990.
"Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si chiama Desiderio."
Alcuni passi:
"Per noi, la causa prima dell'angoscia è l'impossibilità di realizzare l'azione gratificante, e sottrarsi a una sofferenza con la fuga o la lotta è anch'esso un modo di gratificarsi, quindi di sfuggire all'angoscia."
"L'uomo è un' essere di desiderio. Il lavoro può solo soddisfare i suoi bisogni. Sono rari i privilegiati che riescono a soddisfare i bisogni dando retta al desiderio. Costoro non lavorano mai."
"...perseguire un obiettivo che cambia continuamente e che non è mai raggiunto è forse l'unico rimedio all'abitudine, all'indifferenza, alla sazietà. E' tipico della condizione umana ed è elogio della fuga, non per indietreggiare ma per avanzare. E' l'elogio dell'immaginazione mai attuata e mai soddisfacente".
"Non potendo più immaginare l'uomo moderno confronta.
Confronta la sua sorte con quella degli altri, e non è soddisfatto.
[...] E tuttavia le cose si limitano ad essere.
É l'uomo che le analizza, le separa, le suddivide, e mai disinteressatamente.
All'inizio, di fronte all'apparente caos del mondo, ha classificato, costruito i cassetti, i capitoli, gli scaffali.
Ha introdotto il suo ordine nella natura per agire.
E dopo ha creduto che quello fosse l'ordine della natura, senza accorgersi che era il suo, che era stato stabilito secondo i suoi criteri e che quei criteri provenivano dall'attività funzionale del sistema che gli permetteva di entrare in contatto col mondo: il sistema nervoso.
L'uomo primitivo aveva la cultura della pietra scheggiata che lo univa, oscuramente ma completamente, al cosmo.
L'operaio di oggi non ha neppure la cultura del cuscinetto a sfera che costruisce con gesti automatici, tramite una macchina.
E per ritrovare il cosmo, per sentirsi parte della natura deve avvicinarsi alle finestrine che l'ideologia dominante accetta di aprire qua e là, nella sua prigione sociale, per fargli arrivare l'aria fresca.
È un'aria avvelenata dai gas di scappamento della società industriale, eppure quest'aria viene chiamata "cultura".
"Amori difficili", Cantelmi T. e Barchiesi R., San Paolo, 2007.
L'attaccamento morboso, l'instabilità del legame affettivo, la monogamia intermittente, la polifedeltà e la sex addiction: sono questi i nuovi termini che la società è costretta a coniare per capire e interpretare gli amori, i tradimenti e le loro cause, in un insieme di relazioni personali e sociali sempre più all'insegna dell'ambiguità, dove femminilità e mascolinità spesso si confondono mentre l'omosessualità chiede di essere "normalizzata". L'autore, noto psicoterapeuta, offre una lettura della situazione nella famiglia e nei singoli, tracciando un percorso per la ricerca dell'amore come costruzione della relazione affettiva primordiale e fondamentale. Particolarmente intenso ed efficace il capitolo dedicato a Marilyn Manson come simbolo di un diffuso ermafroditismo psichico.
Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta, è presidente dell’Associazione Psicologi e Psichiatri Cattolici (AIPPC) e direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Interpersonale (ARPCI) di Roma. È docente di psicopatologia presso la Pontificia Università Gregoriana e di psichiatria nell’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma. Componente dell’Osservatorio Nazionale Salute Mentale - Ministero della Salute. Ha pubblicato recentemente: La mente virtuale (San Paolo); Gli dei morti son diventati malattie (Sodec), Psicologia e teologia in dialogo (San Paolo). Francesca Orlando è una stretta collaboratrice del prof. Cantelmi e ha già collaborato per la redazione di Narciso siamo noi (2005, San Paolo).
"Amico del cuore. Come superare la crisi «post-abbandono»", Soldano Mauro, Sarteur, 2007.
Un libro d’impatto che colpisce dritto al cuore. Una verità dolceamara dal risvolto illuminante, un incontro-scontro tra ragione e sentimento.
Lasciamoci sorprendere da un’opera originale frutto della spiccata sensibilità di Mauro.
"Amico del cuore. Come superare la crisi «post-abbandono", Soldano Mauro, Sarteur, 2007.
L’autore, attraverso un elaborato diviso per titoli-frasi (“Sto malissimo non vedo l’ora che tutto sia passato”, “Lei/lui era quello giusto per me”, “Non troverò mai più nessuno come lei/lui" , “Perché non mi dice la verità, almeno me ne farei una ragione” ecc.), sottolinea l’importanza di un reale “amico del cuore”, pronto a sorreggere e disposto a guidare i nostri passi con obiettività, nel sempre impenetrabile universo dell’amore. Un libro d’impatto che colpisce dritto al cuore. Una verità dolceamara dal risvolto illuminante, un incontro-scontro tra ragione e sentimento. Lasciatevi sorprendere da un’opera originale frutto della spiccata sensibilità di Mauro Soldano.
Mauro Soldano, 35 anni, nato a Palermo, vive da sempre ad Aosta. Ragioniere, i suoi studi terminano al secondo anno della facoltà di Economia e Commercio di Torino. Lavora per lungo tempo nei locali notturni, inizialmente come DJ e successivamente come promoter.
Nel 1995 entra nel corpo della Polizia di Stato dove tuttora presta servizio presso la Questura di Aosta.
Felicemente sposato con Katia e da tre anni padre con orgoglio di Simone.
"Itinerari del rancore", Renato Rizzi a cura di, Bollati Boringhieri, 2007.
Il rancore è un sentimento (o un'emozione?) oggi più che mai diffuso, un sentimento che permea e ammorba la società e i singoli. Gli autori si propongono (tralasciando volutamente l'aspetto religioso) di esplorare i possibili itinerari attraverso i quali il rancore si esprime: dal piccolo astio all'invidia, dalla rabbia all'odio, fino agli esiti più propriamente psicopatologici. Ecco quindi che il rancore (dal latino "ranceo", essere rancido) si differenzia dal risentimento per la ruminazione continua e torturante, che induce l'individuo a tornare sul torto subito - e talvolta perpetrato -, e che spesso non si estingue neanche con la vendetta. In questo volume sono esaminate tutte le declinazioni di questo sentimento complesso e sfaccettato, tanto nelle sue espressioni "sociali" (arte, storia, antropologia, politica), quanto in quelle "psicologiche" (criminologia, psicopatologia, componenti cognitive).
In questo volume vengono esaminate tutte le declinazioni di quest’emozione complessa, nelle sue espressioni “sociali” (arte, storia, antropologia, politica), e “psicologiche” (criminologia, psicopatologia, componenti cognitive).
Renato Rizzi, Origine del rancore
Luca Casadio, La rappresentazione del rancore nelle arti
Stefano Tomelleri, Presupposti antropologici e sociali del risentimento
David Bidussa, La memoria del rancore nella storia e nella politica
Paola Di Blasio, Sarah Miragoli, Aspetti psicologici del risentimento e del rancore
Renato Rizzi, Psicopatologia del rancore
Luisa Bonfiglioli, Pio Enrico Ricci Bitti, Fenomenologia del rancore
Vittoria Ardino, Steve Davies, Il rancore e rimorsi nella criminologia
Valentina D’Urso, Rancore e altri demoni
Luis Kancyper, La memoria e il rancore.
"L'ignoranza delle emozioni (visioni per una nuova psicologia delle emozioni)", De Pasquale Giuseppe, Montedit, 2007.
Molti dei problemi dell'individuo e della società sono riconducibili alla mancanza di un sufficiente livello di sviluppo dell'intelligenza emozionale, della quale si ignorano non solo la prospettiva evolutiva, ma anche la stessa esistenza. Il libro si propone di descrivere un nuovo concetto di emozione e di intelligenza emozionale all'interno di un modello evolutivo che offre originali spunti di riflessione su un mondo poco conosciuto. Il titolo deliberatamente ambiguo, prpone immediatamente il primo spunto di riflessione. Dove sta l'ignoranza, in coloro i quali poco conoscono delle emozioni o nelle emozioni stesse in quanto strumento sottosviluppato e quindi poco utile alla conoscenza?
"Il dono del Dharma: La saggezza del perdono - Il senso dell'esistenza - La pace dello spirito-Risposte sul senso della vita", Gyatso Tenzin (Dalai Lama), BUR Biblioteca Univ. Rizzoli (collana Radici BUR), 2007.
Donare il Dharma - cioè gli insegnamenti del Buddha - è il compito che il XIV Dalai Lama, il leader e guida spirituale della nazione tibetana, si è assunto dal suo esilio in India nei confronti del mondo occidentale, compito che egli svolge privilegiando, secondo la più antica tradizione buddhista, l'insegnamento orale attraverso incontri, conferenze, interviste. E l'accoglienza che il pubblico occidentale da anni offre a colui che, come il Papa, viene chiamato dai suoi devoti "Sua Santità", trova una straordinaria testimonianza nelle parole dell'Arcivescovo anglicano Desmond Tutu: "Riveriamo il Dalai Lama. È forse il solo, o uno dei pochissimi, che possono riempire il Central Park di New York di devoti in adorazione. Ma perché? Ho incontrato pochissime persone che abbiano una serenità profonda come la sua". Il volume contiene quattro libri che offrono il pensiero del Dalai Lama. Ne "La saggezza del perdono", attraverso la penna di Victor Chan, il leader buddhista parla al mondo con episodi illuminanti che ne fanno apprezzare la compassione, l'altruismo e il perdono. "Il senso dell'esistenza", "La pace dello spirito" e "Risposte sul senso della vita" sono la trascrizione di conferenze che il Dalai Lama ha tenuto in questi anni in Europa e in India. Conclude il volume un glossario, agile strumento per orientarsi nel ricco panorama del buddhismo, che non è né solo religione né solo filosofia ma vera "scienza dello spirito".
La grandezza del Dalai Lama sta nell'aver compiuto una delle imprese più ardue nella storia dell'umanità: riuscire ad essere amato come leader spirituale, come leader politico tibetano e, soprattutto, come uomo. Attraverso le norme auree della compassione, dell'amore e della resistenza non violenta alla tirannia, è riuscito a tenere alto l'orgoglio di un popolo schiacciato dall'invasione cinese. Benché umiliato dall'esilio forzato in India, ha contribuito a diffondere i principi fondamentali del buddhismo in tutto il mondo. Il suo destino è stato segnato fin dall'età di tre anni, quando neI 1935 venne riconosciuto come la reincarnazione del XIII Dalai Lama e partì da uno sperduto villaggio del Tibet alla volta della capitale, Lhasa, dove gli venne impartita la rigidissima educazione che lo avrebbe portato a diventare un capo spirituale di fama mondiale, vincitore del premio Nobel per la Pace.
da Milano - Ride, appena può ride. E quando vede un bambino il Dalai Lama si illumina. Se potesse si metterebbe a giocare con loro. Ma non può, non ne ha il tempo. E allora deve limitarsi a una battuta, a una carezza, a un inchino; gesti semplici ma sempre personali. Hai l’impressione che riesca a essere espansivo con i più svegli, rispettoso con i più timidi. Come faccia non lo sai. Ma quando lo incontri senti - anche tu che fanciullo non sei - una sensazione di serenità; il barlume di una pace interiore. E ti chiedi: ma è davvero questo l’uomo che spaventa la Cina?
Cerchi le sue armate e non le trovi. Come potrebbe averle il saggio che predica la compassione, il perdono, la non violenza? Lui ha perdonato davvero i cinesi che nel 1959 invasero brutalmente il suo Tibet costringendolo all’esilio. Elogia la loro grande cultura, li descrive come un popolo straordinario e denso di umanità. Fino a qualche anno fa rivendicava l’indipendenza per la sua terra, ora si limita a chiedere un po’ di autonomia. Ma Pechino non sente ragioni e minaccia, ricatta, punisce i Paesi che osano tendergli la mano, come sta avvenendo in questi giorni in Italia.
Al suo posto qualunque persona proverrebbe rancore, amarezza o, perlomeno, disincanto. Il Dalai Lama no. È fresco, entusiasta, fiducioso, come se il giorno del suo ritorno fosse imminente. Perlomeno così ti appare in tv o sul palco di un palazzetto, quando impartisce i suoi insegnamenti di fronte a migliaia di persone; ad esempio ieri a Milano in un PalaSharp stracolmo e in composta ammirazione. Non appena parla del suo popolo si fa serio: è preoccupato per l'afflusso incessante dei cinesi che sta travolgendo l’equilibrio demografico del Tibet. Ringrazia con slancio le organizzazioni impegnate a fornire aiuti umanitari. Ma mai si lascia contagiare dall’odio. E scaccia subito i cattivi pensieri, con una risata contagiosa. Sa che la sua missione da noi è di aiutare gli occidentali, ricchi ma spesso tormentati, a ritrovare un equilibrio. E offre il suo insegnamento, invitando chi lo ascolta a liberarsi dalla sofferenza e dall’attaccamento, a trasformare la mente in senso positivo. Anziché tentare di convertire al buddhismo, supplica cristiani ed ebrei a restare fedeli alla proprie tradizioni, perché «i valori essenziali sono identici a tutte le religioni» e cambiare genera spesso confusione.
L'attuale Dalai Lama, Tenzin Gyatso, è una voce tra le più ascoltate del pacifismo mondiale. Un personaggio affascinante, che ha saputo guadagnare rispetto e considerazione in tutto il mondo. Nato nel 1935 e residente in esilio in India dal 1959 in seguito all'occupazione cinese del Tibet (1949 - 1951), Tenzin Gyatso ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 1989 per la resistenza non violenta contro la Cina. Negli ultimi anni sono stati moltissimi libri pubblicati dalla guida spirituale TIBETANA di cui molti sono stati tradotti in Italiano.
"L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani", Galimberti Umberto, Feltrinelli, 2007.
L'amore che cura. Guida alla relazione d'aiuto", Carlo Lazzari, Maria Angela Masino, Franco Angeli, 2007.
"In armonia con le emozioni", Ingeborg Bosch Bonomo, Fabbri Editori, 2007.
Non c'è istinto pari a quello del cuore. (Lord Byron)
Perchè abbiamo paura di soffrire?
Che origine ha i lnostro dolore?
Siamo degli inguaribili lunatici oppure stiamo solo cercando di difenderci da un vecchio dolore infantile? La terapia della PRI (Past Reality Integration, "integrazione della realtà passata"), messa a punto dall'autrice, propone di portare alla luce il dolore passato celato in noi, imparando a riconoscerlo e ad accettarlo, per poter vivere in armonia con le nostre emozioni. Un libro che aiuta a vivere il presente per come è in realtà: sorprendentemente leggero. Mentre la società contemporanea incoraggia a fuggire dalle sofferenze e spinge a trovarne la soluzione attraverso medicine (antidolorifici, antiinfiammatori), cibo, alcol, fumo. Questo libro vuole dimostrare che le cause dei propri mali hanno radici nel passato, in un'infanzia che, contrariamente a quanto si pensi, rappresenta un periodo di vita a volte doloroso, durante il quale ogni bambino, come meccanismo di difesa, respinge o nega la verità e ciò che lo circonda. Queste delusioni si sedimentano nel corso degli anni per emergere nell'età adulta, nel momento in cui si devono affrontare esperienze più difficili. L'autrice, attraverso la sua personale teoria dell'"integrazione della realtà passata", fa un'analisi dettagliata di questo comportamento per portare alla luce il dolore celato in ognuno, superarlo e ritrovare l'equilibrio interiore.
Guarire le ferite del passato e riconquistare una coscienza indivisa. Questo è l'obiettivo della PRI. Alla base di questo nuovo approccio terapeutico vi è l'idea che durante l'infanzia gran parte dei bisogni dei bambini non vengano opportunamente soddisfatti. La delusione e sofferenza che ne consegue non è superata con l'età adulta, anzi spesso rimossa e negata attraverso molteplici meccanismi di difesa. A livello inconscio permane tuttavia il ricordo vivo di quel dolore, che si ripresenta ogni qualvolta una persona o situazione richiama alla memoria il passato. In quei momenti, la coscienza infantile scavalca quella adulta e questo compromette la capacità di vivere in modo equilibrato le emozioni del presente. Solo un processo di accettazione, per quanto doloroso, delle sofferenze del passato, potrà permettere all'adulto di demolire le proprie difese e vivere l'esperienza del presente per quello che è, senza filtrarla attraverso gli occhi del bambino che era un tempo.
"Borderline", Colombani Valentina, Einaudi, 2004.
Valentina ha diciassette anni e conosce tutti i modi per farsi del male. Li sperimenta con metodo dalla mattina alla sera. Ubriacarsi di Hennessy, Martini, J&B; impasticcarsi di Quaalude e Lexotan; stonarsi di coca o di freebase. Mangiare fino a scoppiare, poi ficcarsi due dita in gola: vomitare per dimagrire, per scomparire. Fuggire da un padre affettuoso e amare una madre indifferente e disperata, senza fiato e senza sogni. Prostituirsi, ogni tanto fingere d'innamorarsi. Dilapidare denaro. Ferirsi le mani. Per quindici anni Valentina sfonda un limite dopo l'altro, nel tentativo di riempire la voragine che la abita da sempre. Poi la voragine la ingoia: e questo è quanto. Lei può solo starsene sdraiata al buio a fumare. A pensare, ossessivamente, all'inferno. Le pare già di vederlo, l'inferno: un ascensore di pietra che non porta da nessuna parte. E allora è già questo, l'inferno. E forse va raccontato. All'impazzata, con rigore e senza pietà. Soprattutto senza pietà per se stessa. Perchè solo così il nudo racconto di una vita alla deriva può attraversare il buio. Scriveva così Valentina Colombani nel suo "Borderline", libro autobiografico in cui racconta gli anni più bui con questo disturbo di personalità mescolato ad anoressia, bulimia e forte dipendenza da droghe e psicofarmaci, il dolore, quella fonte inconfondibile dove il piacere diventa qualcosa di acuto da cui diventare dipendente. Stare male DENTRO. Mostrarne i segni FUORI diventa qualcosa di inconcepibile agli occhi "del mondo".. Non si tratta di un romanzo ma una storia vera, non pretende di essere un trionfo letterario ma un modo per la protagonista di cominciare a vivere una vita così come avrebbe voluto che fosse. Se per Valentina, questo il nome della scrittrice, è un tentativo di ricominciare a vivere, sicuramente per chiunque legga il suo libro è un modo per capire cosa lei abbia vissuto finora, com'è stata la sua vita fino ai trent’anni, qual è la realtà di un borderline.
“Borderline” è il titolo di questo libro ed è anche il nome della malattia che affligge la protagonista che dice di sé: “Borderline è il nome della mia malattia. La malattia che mi porta a raccontare balle, a essere autolesionista e promiscua sessualmente. Io sono Borderline. O pazza. O una stronza scandalosamente viziata. La mia malattia è l'impossibilità di essere normale”. Le pagine di questo libro rendono perfettamente l'idea di come possa scorrere la vita di un borderline: ci si vede scorrere le righe sotto gli occhi e ci si rende conto di come stia fuggendo, piuttosto che cambiando, la protagonista e tutta la sua vita. Valentina passa una vita a fuggire da qualsiasi situazione che le potesse garantire una stabilità, continua a vivere in bilico, sulla “linea di confine” così come la sua malattia vuole che sia. Fugge da un padre che la ama e la vuole proteggere, fugge da un uomo che la ama e che la sposa, sfugge alle amicizie che avrebbero potuto darle supporto, fugge da tutto ciò che è positivo perchè “lei non merita niente di positivo”. Continua, infatti, a inseguire un uomo che non la ama, insegue il sogno di essere magra e bella come sua madre con cui però non è mai riuscita ad instaurare nessun tipo di rapporto, continua a volersi del male, ad avere voglia di ferirsi e a privarsi di cibo.
Valentina inizia il suo racconto partendo da quando aveva 14 anni, da quando frequentava il collegio ed era innamorata di Vittorio, da quando per sua madre “sembrava non ci fosse sulla faccia della terra più niente che la interessasse, che valesse la pena d'essere vissuto o coltivato. non ascoltava più musica, non leggeva più libri, non si vestiva e non si truccava più”.
Anche se solo adolescente, Valentina ha già l’abitudine piuttosto frequente di prendere un mix di psicofarmaci e alcol per sentirsi bene, o più che altro per non essere più in se stessa: non accetta il suo corpo, non si piace e si vede grassa. Lo “stono” che si procura con le sostanze psicotrope la aiuta a non pensare a tutto ciò. D’altronde è una cosa che ha imparato da sua madre che, in preda alla depressione e ad una sofferenza esistenziale (a cui ovvierà trovando come compagno un predicatore), le diede un mix di bourbon e serpax all’età di 8 anni. A 15 anni già sniffava cocaina.
Quello del drogarsi non è il solo “trucco” che Valentina usa per sentirsi meglio: al collegio lei e le sue amiche usano lassativi e diuretici per far fronte al “baby fat che non si decide a sciogliersi” e il “procurarsi il vomito la fa sentire furba e in gamba”. Non ne era cosciente ma Valentina stava entrando nella patologia dei disturbi dell'alimentazione. Lei stessa dirà : “Per quanto riguarda me io amavo Vittorio e l'anoressia”. Vittorio non l’amava (dimenticava di leggere le lettere che lei gli scriveva), facevano sesso, fumavano spinelli ma non erano una vera coppia. Vittorio le sfugge, lei si sente in continuo paragone con la sua ex fidanzata (che Valentina vede perfetta come sua madre e quindi irraggiungibile), si sente inferiore a lui perchè lui è uno da “progetti grandiosi” mentre lei sarà nuovamente bocciata a scuola. Quando Vittorio la lascia per tornare dalla sua ex fidanzata, Valentina si sente persa e decide di “mettere l'oceano fra sé e il dolore” andando in America a trovare un’amica.
La promiscuità sessuale, le droghe, il senso di colpa nei confronti di chi la ama e la certezza di non essere in grado di fare nulla di buono nella vita sono costanti anche negli anni che passa negli Stati Uniti fino al rientro in Italia che avverrà nel momento in cui, suicidatasi la madre, Valentina eredita un appartamento in cui andrà a vivere con il suo fidanzato e un’amica.
Valentina non è capace di parlare di sua madre, ne è ossessionata, la adora e la odia allo stesso tempo. Vorrebbe essere come lei, bella, perfetta, ex Miss Svezia ma allo stesso tempo si rende conto di averla vista sobria solo rare volte in tutta la sua vita. Paradossalmente raggiunge il suo obiettivo: diventa come la madre: passa le sue giornate a letto in uno stato di semi-incoscienza dovuto all’alcol e agli psicofarmaci, non ha più interessi e disprezza se stessa. “Dopo aver tanto criticato mia madre, mi comportavo come lei”.
Il suo morboso amore adolescenziale le resta nel cuore così come anche il bisogno di avere accanto qualcuno, l’uomo che sposa la ama e si prende cura di lei esattamente come fa suo padre e lei ripaga queste attenzioni, così come fa con quelle paterne, con delusioni e tradimenti. Valentina ha dei tratti istrionici di personalità il che la porta ad avere comportamenti promiscui con uomini e donne più o meno conosciuti, chiedendo anche soldi in cambio delle sue prestazioni.
Le sue ossessioni, l’odio per se stessa e la soddisfazione alle sue pulsioni sessuali si incarnano in Marcello, amico del suo primo amore, che le concede il ruolo di amante senza riservarle un briciolo di affetto.
Quest’uomo rappresenta l’amore ossessivo che Valentina ha sempre sentito di voler dare, lei stessa lo definisce come un bisogno più che un amore: “amore folle e sperequato, un amore che forse era soprattutto un bisogno. Un vuoto, una voragine buia che lui riusciva parzialmente a colmare”. Marcello, con la sua indifferenza e con il suo silenzio, rappresenta anche la mamma di Valentina che si drogava e poi stava a guardarla senza parlarle quando era una bambina, la mamma che la “scacciava come si scaccia via una mosca” quando lei le si avvicinava mostrandole un po’ di affetto cercando di spazzolarle i capelli.
Infine quest’uomo soddisfaceva il bisogno che una ragazza come era Valentina a quei tempi (che si ferisce, con una diagnosi di disturbo borderline di personalità e anoressia) è probabile che abbia: poter toccare con mano il disprezzo per se stessa e per il proprio corpo. Marcello la trattava come fosse una prostituta, “il suo disprezzo per me era un afrodisiaco potentissimo”, “mi piaceva farmi trattare così. Odiavo chi mi amava, non sopportavo più Stash [suo marito] e il suo amore devoto e delicato” , “amo il fatto che lui non ami me, così evito di sentirmi in debito”.
Per quanto possa sembrare strano, la presenza di Marcello riusciva a consolarla da tutto il resto. In effetti Valentina è una ragazza abituata fin da bambina ad avere attenzioni genitoriali sotto forma di tranquillanti e alcolici, che ha sempre visto se stessa come una che non è degna di realizzare “progetti grandiosi”, che ha cercato in tutti i modi di privarsi del cibo per contrastare la lievitazione del proprio peso che vedeva spropositato nonostante non lo fosse, che si rivolge al proprio corpo con una lama per infliggersi ferite o con la cicca di una sigaretta per bruciarsi, che ha visto sua madre comportarsi allo stesso modo prima che suo padre andasse via di casa. Un background simile può facilmente portare a preferire di non essere amata per paura di non essere in grado di ricambiare e a vedere nel disprezzo di un amante un comportamento assolutamente normale in quanto vissuto in prima persona più volte nel passato come unica forma di attenzioni che le possono essere rivolte.
Alla soglia dei trenta anni riesce lucidamente a realizzare che le vite delle due sue colleghe di università, delle sue cugine, del suo grande amore Vittorio e perfino quella della sua amica americana, che aveva un travagliato trascorso di anoressia e abuso di eroina, erano ben diverse dalla sua. Ripensando alla sua adolescenza “con rabbia per essere stata alla ricerca spasmodica di qualcosa che non avrebbe mai trovato”, si rese conto sia che le mancavano le persone che frequentava 15 anni prima, sia che quelle persone erano cresciute ed erano cambiate, a differenza di lei.
Il prendere coscienza della realtà non le diede, comunque, la motivazione necessaria per riuscire a portare a termine il programma di aiuto della prima comunità in cui il padre la accompagna per essere seguita da specialisti. Ha un comportamento “tipicamente borderline”: mente al suo terapeuta su tutto senza un motivo, continua a ferirsi e bruciarsi con le sigarette, ha ancora atteggiamenti promiscui.
Lasciato il centro inizia a lavorare ma il suo rapporto con il cibo non migliora: continua a vivere fra orge bulimiche e sigarette, resta al buio nella sua stanza tutto il giorno continuando a disprezzare se stessa e la vita che conduce senza, però, riuscire a cambiarla. Vorrebbe una figlia, ne sceglie perfino il nome. Vorrebbe scrivere il romanzo a cui pensa fin da adolescente.
La sua situazione inizia a cambiare con il suo ingresso nella seconda comunità dove conosce un ragazzo su cui riversa il suo amore senza diventare ossessiva nei suoi confronti, inizia a concentrarsi su se stessa, ambisce alla normalità accettando il suo corpo per quello che è. Ascoltando la sua terapeuta e il suo tutor inizia a scrivere dando forma e significato al suo dolore: nasce questo libro insieme al concretizzarsi di una nuova esistenza. Magari il prossimo capitolo della sua vita sarà segnato da questa positività, e magari potremo leggerne in un secondo libro.
"La ragazza interrotta", Kaysen Susanna, Corbaccio, 1994.
A 18 anni Susanna, dopo una sommaria visita da un medico che NON aveva mai visto prima, viene ricoverata in una clinica per malati mentali. Vi resterà per 2 anni.Anni in cui verrà a contatto con altre pazienti con le più disparate psicosi, con le infermiere cordiali e solidali, con i medici incompetenti. Anni in cui, ricoverata solo perché il giorno della visita era apatica e depressa, crederà di essere davvero pazza, in cui avrà degli impulsi autolesionisti. Ma alla fine verrà dimessa, perché guarita.
Il libro è scritto dalla stressa protagonista, Susanna Kaysen (ne è stato tratto anche un film con Winona Ryder ed Angelina Jolie), ed è impostato in modo strano. Non è un vero e proprio romanzo, ma più una suddivisione in capitoli di idee, esperienze, fatti accaduti. Il tutto è narrato in modo casuale e non in ordine cronologico, così che una paziente che si suicida nelle prime pagine, continua ad apparire in tutto il libro.
Quando l'ho visto in libreria l'ho preso per paragonarlo a Veronika decide di morire, visto che l'argomento, e l'ambiente in cui si svolge la storia sono gli stessi. Ma questo è più reale. Veronika, pur essendo un bel libro, era ottimista, anche nei momenti più tragici. Questo non vuole essere né ottimista né pessimista, si limita a raccontare i fatti come si sono svolti.
[...] Cercavo di chiarire la situazione a me stessa: stavo male e nessuno lo sapeva; persino io stentavo a rendermene conto. Così mi ripetevo di continuo: stai male... [...]
"Ti chiedono: come sei finita lì dentro? In realtà vogliono sapere se c'è qualche probabilità che ci finiscano anche loro. E io, a questa domanda, alla domanda vera, non so rispondere. Posso solo dire: è facile." E infatti erano bastati dieci minuti di frettoloso colloquio con uno psicanalista distratto per chiudere lei, l'autrice, appena sedicenne, in quella clinica psichiatrica. In una serie di flash taglienti, caratterizzati da un efficace "umorismo nero", Susanna Kaysen evoca quello sconosciuto universo parallelo che è il mondo delle cliniche psichiatriche.
"CI SONO UN SACCO DI NOMI: DEPRESSONE, CATATONIA, MANIA, AGITAZIONE. Non dicono poi molto. Caratteristica predominante è la viscosità. L'esperienza è densa. Le percezioni si addensano e si attutiscono. Il tempo è lento, gocciola lentamente attraverso il filtro della percezione adensata".
Susanna Kaysen ha imparato a conoscere e riconoscere il suo male, ha stretto con lui un patto che le ha permesso di scrivere dei due anni di reclusione nella clinica psichiatrica che ospitò prima di lei Sylvia Plath, James Taylor, Ray Charles.
Cronaca retrospettiva di una vertigine mentale, questo scritto è dolce, poi inspiegabilmente divertente, poi terrorizzante nella sua precisione scientifica, nella descrizione medica del male. Solo la sofferenza dei malati permette tanta conoscenza dei termini medici, quasi a volersi impossessare del sapere nel tentativo di governare la malttia, di sedare l'angoscia del non saper come fare ad uscirne.
Può essere la pazzia una forma di protesta? Un NO gridato in faccia alla finzione, a chi detta cosa fare, quando, come, alla normalità che non esiste. La più grande e coraggiosa delle ribellioni sociali: l'antisocialità contro l'ipocrisia, la sofferenza più distruttiva contro il vuoto della cecità dei "normali". Che cosa distingue un pazzo da un veggente, una personalità borderline da una artistica?
Queste e tutte le altre che le pagine chiamano alla mente sono le domande della biografia di una giovane donna inghiottita dai due anni della sua vita vissuti più di tutti, senza però appartenenre al mondo di tutti. Il 1968 arriva e, mentre nelle piazze e nelle università gli studenti picchiano e sputano sulla polizia, le "ragazze interrote" lo fanno sulle infermiere, si stagliuzzano i polsi, si danno fuoco, si torcono dalla rabbia, la stessa rabbia per la forma che il mondo ha preso e che per questo fa tanta paura. Ecco allora che il grande NO dell'isolamento è pieno di coraggio quanto di viltà: l'ospedale è prigione quando si è sani, ma rifugio quando si salta al di là della comune realtà, nel mondo parallelo della follia. Perché se si è al di fuori della realtà si è anche privi di richieste e aspettative, quelle stesse che hanno condotto la mente a "saltare" nella pazzia. E' allora che, in uno strano modo, si è liberi.
Sottile e intenso racconto di autoanalisi, "La ragazza interrotta" crea vortici di ragionamento e anche rabbia nel pensare alle "cure" con cui la società si occupa dei nostri pazzi: ieri la psicochirurgia, l'internamento in manicomio, il coma insulinico; oggi ancora l'elettroshock, il trattamento coatto, gli psicofarmaci.
"Malati di mente" si viene diagnosticati da uno psichiatra secondo criteri di normalizzazione che ignorano l'individualità, la sofferenza emotiva, la sensibilità del singolo. Si dimentica veramente molto spesso che naturale non è sinonimo di normale. "Secondo me la psichiatria è stata costruita apposta per eliminare la persone scomode" (G.Antonucci, psichiatra, primario del reparto autogestito di Modena).
"La principessa che credeva nelle favole. Come liberarsi del proprio principe azzurro", Grad Marcia, Piemme, 1998.
Ecco la storia di una principessa che trova il suo principe azzurro ma che scopre, come accade a milioni di donne, che non è tutto azzurro ciò che somiglia al cielo, e che nessun dolore è più atroce di quello inflitto dalla persona amata. Marcia Grad, con il suo piccolo best-seller, ha aiutato migliaia di donne a liberarsi di rapporti non autentici, con uomini che non piacevano loro per ciò che erano, ma per quello che esse volevano o avevano bisogno che fossero. È ciò che accade a Victoria, la principessa che credeva nelle favole. Ma una serie di avventure in luoghi fantastici in compagnia di personaggi spiritosi e saccenti la porterà, insieme alle lettrici, a distinguere i sogni dalla realtà, a scoprire cosa sia veramente l'amore.
Il libro “La principessa che credeva nelle favole” è stato scritto dalla scrittrice Marcia Grad, nel 1995 e pubblicato per la prima volta in Italia nel 1998 dalla casa editrice Piemme. L'autrice del libro vive in California dove insegna tecniche di crescita personale a gruppi di managers e professionisti; oltre a questo libro, ne ha scritti altri due i cui titoli originali sono: “A taste for life” e “How to get that scepial magic”.
Le tecniche utilizzate dalla scrittrice sono quelle caratteristiche del racconto psicologico. Nel racconto infatti prevale la caratterizzazione psicologica della protagonista che è definita in ogni aspetto della sua personalità;risaltano i suoi pensieri e le sue paure e il suo carattere e comportamento si evolvono progressivamente e sono segnati da un punto di svolta,che li porta, a subire una profonda trasformazione.
L'ambiente concorda con lo stato d'animo della principessa.
Il racconto in rapporto alle tecniche utilizzate è molto efficace dal punto di vista narrativo. Esso infatti definisce molto bene sia il carattere di Victoria sia i suoi pensieri questo anche grazie all'esistenza dell'amica immaginaria Vicky, che in realtà non è altro che la sua parte nascosta, con la quale essa confida tutte le sue paure e incertezze. Anche l'ambiente rispetta le tecniche del racconto psicologico in quanto è in accordo con i sentimenti della principessa come quando essa è turbato e si scatena una tempesta.
Il messaggio è valido in quanto aiuta a riflettere, facendo quasi personificare il lettore con la protagonista, su come si possa vivere un sogno nella realtà anche se elimina gli stereotipi del principe azzurro.
"Metamedicina - Ogni sintomo è un messaggio La guarigione a portata di mano", Claudia Rainville, Amrita, 2000.
Vi è una correlazione fra sintomo e causa profonda della malattia, confermata dal vissuto personale di migliaia di uomini e donne che si sono rivolti a Claudia Rainville. Se siete fra coloro che s’interrogano sul senso profondo della malattia, questo libro potrebbe dare il via ad un vero processo di autoguarigione.
Dieci anni di lavoro nel campo della microbiologia hanno fornito all’Autrice il rigore, il metodo d’indagine e di analisi necessari per questa ricerca, durata a sua volta dodici anni. L’esperienza personale della malattia (cancro, mal di schiena cronico, depressione nervosa e una quantità di operazioni) e l’autoguarigione completa che ne è seguita l’hanno condotta a testare con altri la sua convinzione sulla correlazione tra sintomo e causa profonda.
Claudia Rainville, fondatrice del metodo Metamedicina, esperta psicoterapeuta, conferenziera in campo internazionale e autrice di molti libri, Claudia Rainville possiede innegabilmente una grande conoscenza dell’animo umano e delle sue sofferenze. Nata in Québec il 9 maggio 1951, Claudia Rainville è la minore di una famiglia di otto figli. Ha studiato Microbiologia Medica e, dopo dieci anni di lavoro in ambito ospedaliero, la sua ricerca del “meglio-vivere” la conduce ad esplorare diverse scuole di pensiero, sia occidentali che orientali, dove frequenta i più grandi maestri conoscitori dell’Essere. Integrando con successo questi nuovi apprendimenti nella sua vita, diviene lei stessa un’esperta nel campo del “meglio-vivere”, nel quale opera da più di venti anni. Sito ufficiale di Claudua Rainville: http://www.metamedicina.com/It/INDEX.htm.
"Da Buddha a Einstein La struttura del pensiero orientale nella fisica moderna", Guido Paolo, Il Punto d'Incontro.
Oriente e Occidente: due mondi che hanno sviluppato un approccio alla vita molto diverso. L'Oriente, con la sua visione spirituale, ha da sempre posto l'accento sulla trascendenza; l'Occidente, attribuendo maggior importanza ai sensi, ne ha razionalizzato l'essenza. Di primo acchito è facile pensare che questi due modi di intendere la realtà si trovino in contrapposizione l'uno all'altro. Tuttavia, una riflessione più profonda permette di comprendere che la filosofia orientale e la scienza, in particolare fisica, occidentale non rappresentano due universi a se stanti. Al contrario, essi si incrociano e si fondono, presentando ciascuno elementi dell'altro. Da questo accostamento, da questi punti in comune tra le due correnti di pensiero, nasce una sintesi più profonda e, si potrebbe dire, più antica dell'esistenza e della natura del mondo.Un testo coraggioso e illuminante propone un parallelo tra le filosofie orientali e la fisica moderna, riconducendo alla loro unità originaria idee apparentemente distanti, se non addirittura opposte. Se la visione mistica del mondo, trasmessa dalle tradizioni filosofico-religiose d'Oriente è ormai entrata a far parte della nostra cultura, lo si deve anche agli sviluppi della scienza moderna, in particolare della fisica, che dopo la rivoluzione portata dalla teoria della relatività e dalla meccanica quantistica ha scoperto in sé una tendenza verso verità nascoste dietro l'apparente caos del quotidiano. È nata così nello scienziato l'aspirazione verso una originaria unità perduta, raggiungibile tramite l'elevazione della coscienza, ma anche, a livello teorico, attraverso il riconoscimento di una matrice comune tra il pensiero orientale e quello occidentale. Da questa unione ideale di Oriente e Occidente, scaturiscono anche un messaggio di pace, di fratellanza, e una visione positiva del futuro, all'insegna dell'altruismo e della collaborazione.
"L'esperienza del dolore: le forme del patire nella cultura occidentale”, Salvatore Natoli, Feltrinelli, 1986.
Natoli insegna Filosofia Teoretica all'Università di Bari, si è interessato di Teoria degli affetti, delle passioni, ha scritto anche un libro sulla felicità.
"La felicità. Saggio di teoria degli affetti", Natoli Salvatore, Feltrinelli, 2003.
Tra la felicità e il dolore si distende "la media vita", sia che la si intenda come "vita neutra" che come "ordinario benessere". In ogni caso non si può dire che vi sia una sola felicità, né una felicità per tutti. Molte sono le modalità per sentirsi felici. E si può mai separare del tutto la felicità dalla sofferenza? Non risiede però solamente negli istanti di piacere che di volta in volta si possono sperimentare, ma sta all'origine. Felice può dirsi però solo una vita presa nella sua interezza. E' anche normale constatare come la felicità, una volta perduta, viene dagli uomini ricercata e anche nel dubbio di poterla ritrovare, non necessariamente si arriva alla disperazione. Diviene così un modo di interrogarsi sulle chances affettive possibili. «La felicità - si dice comunemente - è fatta di attimi. Essa transita, non la si possiede. Ammesso che questo sia vero, la felicità si possiede però quanto basta per poter affermare che esiste. E poi, è proprio vero che gli uomini sono felici nell'attimo, o la felicità, in senso stretto, si può predicare solo di un'intera vita? La felicità non è mai un problema per chi si sente felice, nel momento in cui si sente felice, ma di certo essa si muta in problema quando la si perde: da esperienza si trasforma in meta, da stato della mente volge in questione morale. Sono questi i modi con cui in questo libro si parla di felicità. La felicità è colta come luogo di esperienza e insieme come idea. Chi è felice è infatti felice secondo un'idea. Indipendentemente dalla sua condizione, l'uomo è situato in un mondo che decide della percezione e del significato della sua stessa felicità. È questa la ragione per cui quando si parla di felicità ciò di cui si parla davvero riguarda i modi del sentirsi felici e quando si ragiona di felicità si indaga anche sulle risorse dell'io.» "Questo libro non può dare ciò di cui parla, ma offre immagini di mondo in cui chi legge può meglio vedersi, e capire di più qualcosa di sé. Uno specchio dunque... forse una mappa." Questa indagine si pone all'intersezione tra fenomenologia e morale, tra esperienze individuali e visioni del mondo. In questo senso è opera di filosofia. D'altra parte la felicità è il vero tema della filosofia, almeno secondo Agostino.
"Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica", di Galimberti Umberto, Feltrinelli, 2000.
Una delle opere teoriche più imponenti degli ultimi decenni. Un testo filosofico che ha l'ambizione di accompagnarci a varcare la soglia della nuova età della tecnica.
Psiche e techne è sicuramente il libro più importante di Umberto Galimberti, è un imponente tentativo di descrivere l'uomo, nei suoi diversi aspetti, in rapporto alla tecnica. Continuiamo a pensare, scrive Umberto Galimberti, che la tecnica sia uno strumento del quale noi deteniamo le chiavi. In realtà la tecnica ha sostituito la natura che ci circonda e costituisce oggi l'ambiente nel quale viviamo. Noi però ci muoviamo nell'ambiente-tecnica con i tratti tipici dell'uomo pre-tecnologico che agiva in vista di scopi, con un bagaglio di idee proprie e di sentimenti in cui si riconosceva. Ma la tecnica non tende a uno scopo, non apre scenari di salvezza, non svela verità, la tecnica "funziona". Questo libro si propone di ridefinire i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia. Concetti che nella nuova età della tecnica vanno appunto riconsiderati, abbandonati o rifondati alle radici. Il punto cruciale sta nel fatto che tutto ciò che finora ci ha guidato nella storia - sensazioni, percezioni, sentimenti - risulta inadeguato nel nuovo scenario. Come "analfabeti emotivi" assistiamo all'irrazionalità che scaturisce dalla perfetta razionalità dell'or-ganizzazione tecnica, priva ormai di qualunque senso riconoscibile. Ciò di cui necessitiamo è un ampliamento psichico capace di compensare la nostra attuale inadeguatezza. Il valore più profondo di questo libro consiste appunto nel tentativo di fondare una nuova psicologia dell'azione che ci consenta, se non di dominare la tecnica, almeno di evitare di essere da questa dominati.
Umberto Galimberti insegna Filosofia della storia all’Università di Venezia. Ha pubblicato: Heidegger, Jaspers e il tramonto dell’Occidente (Marietti 1975, e ora il Saggiatore 1996), Linguaggio e civiltà (Mursia 1977), Psichiatria e fenomenologia (Feltrinelli 1979), Il corpo (Feltrinelli 1983), La terra senza il male (Feltrinelli 1984), Invito al pensiero di Heidegger (Mursia 1986), Gli equivoci dell’anima (Feltrinelli 1987), Il gioco delle opinioni (Feltrinelli 1989), Dizionario di psicologia (Utet 1992, e ora Garzanti 1999), Idee: il catalogo è questo (Feltrinelli 1992), Parole nomadi (Feltrinelli 1994), Paesaggi dell’anima (Mondadori 1996), Psiche e techne (Feltrinelli 1999), Le orme del sacro (Feltrinelli 2000). Da alcuni anni firma una rubrica settimanale sull’inserto "D" della "Repubblica", giornale che ospita anche numerosi suoi interventi su temi sociali e culturali.
"L'epoca delle passioni tristi", Benasayag Miguel e Schmit Gérard, Feltrinelli, 2004.