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I miei libri senza tempo 5 Stampa

 

Una volta Valentino Bompiani aveva fatto circolare un motto: Un uomo che legge ne vale due. Detto da un editore potrebbe essere inteso solo come uno slogan indovinato, ma io penso significhi che la scrittura (in generale il linguaggio) allunga la vita. Sin dai tempi in cui la specie incominciava a emettere i suoi primi suoni significativi, le famiglie e le tribu' hanno avuto bisogno dei vecchi. Forse prima non servivano e venivano buttati quando non erano piu' buoni per la caccia. Ma con il linguaggio i vecchi sono diventati la memoria della specie: si sedevano nella caverna, attorno al fuoco, e raccontavano quello che era accaduto (o si diceva fosse accaduto, ecco la funzione dei miti) prima che i giovani fossero nati. Prima che si iniziasse a coltivare questa memoria sociale, l'uomo nasceva senza esperienza, non faceva in tempo a farsela, e moriva. Dopo, un giovane di vent'anni era come se ne avesse vissuti cinquemila. I fatti accaduti prima di lui, e quello che avevano imparato gli anziani, entravano a far parte della sua memoria.
Oggi i libri sono i nostri vecchi. Non ce ne rendiamo conto, ma la nostra ricchezza rispetto all'analfabeta (o di chi, alfabeta, non legge) e' che lui sta vivendo e vivra' solo la sua vita e noi ne abbiamo vissuto moltissime. Ricordiamo, insieme ai nostri giochi d'infanzia, quelli di Proust, abbiamo spasimato per il nostro amore ma anche per quello di Priamo e Tisbe, abbiamo assimilato qualcosa della saggezza di Solone, abbiamo rabbrividito per certe notti di vento a Sant'Elena e ci ripetiamo, alla fine della fiaba che ci ha raccontato la nonna, quella che aveva raccontato Sheherazade.
A qualcuno tutto questo da' l'impressione che, appena nati, noi siamo gia' insopportabilmente anziani. Ma e' piu' decrepito l'analfabeta (di origine o di ritorno), che patisce arteriosclerosi sin da bambino, e non ricorda (perche' non sa) che cosa sia accaduto alle Idi di Marzo. Naturalmente potremmo ricordare anche menzogne, ma leggere aiuta anche a discriminare. Non conoscendo i torti degli altri l'analfabeta non conosce neppure i propri diritti.
Il libro e' un'assicurazione sulla vita, una piccola anticipazione di immortalita'. All'indietro (ahime') anziche' in avanti. Ma non si puo' avere tutto. 
Umberto Eco Estratto da ''Perche' i libri allungano la vita'' LA BUSTINA DI MINERVA, 1991).

 

 

 

N.B. Il testo delle recensioni in grigio chiaro svela il finale del libro, per cui si consiglia, a chi non lo volesse conoscere anticipatamente, di non leggerlo prima della lettura del libro.

 

 

I miei libri senza tempo (quelli che andrebbero riletti di tanto in tanto o che sono pietre miliari della mia conoscenza, e sono tanti, mi limiterò ad aggiungerne qualcuno saltuariamente):

 

 

 

 

 

"La relazione che cura", Petrini Piero e Zucconi Alberto, Alpes Italia, 2007. 

relazioneche_curaLa Relazione che cura è un poderoso trattato di 585 pagine, edito dalla ALPES ITALIA srl nella collana Nuove Tendenze in Psicoterapia.
L'intento della iniziativa editoriale è chiaramente esplicitato nella seconda di copertina: ".. proporre nuove opportunità di riflessione e di confronto nei campi della psicologia,della psichiatria e della psicoterapia. A questo scopo lo spazio che essa ridefinisce viene scandito da contributi significativi di clinici e ricercatori operanti nelle diverse culture e nei diversi paesi..."
Questo intento ci sembra ben rappresentato dal Trattato, che – grazie alla sinergia dei curatori Petrini e Zucconi e dell’Editore nella persona di Roberto Ciarlantini - ha catalizzato rinnovata attenzione sul tema della relazione terapeutica nelle diverse declinazioni oggi attuabili, riunendo sessanta Autori attorno al tema in oggetto e di fatto costruendo percorribili ponti di collaborazione tra psicologi, psicoterapeuti, neurofisiologi e psichiatri.
Il Trattato è diviso in due sezioni:

la relazione nell'ambito della salute mentale, dove vengono prese in considerazione le relazioni tra i curanti ed i pazienti e le relazioni in alcune specifiche patologie;
la relazione psicoterapeutica nei principali modelli, presentati secondo una cronologia storica.

(Dalla Presentazione di Alberto Siracusano) Sin dal 1936 Saul Rosenzweig aveva ipotizzato che esistesse un comune denominatore alla base dell’efficacia delle varie forme di psicoterapia. La ricerca sulle "prove di efficacia" della psicoterapia, resasi necessaria ai fini di una attestazione di "scientificità" nell’era della evidence based medicine, continua ad indicare, quali fattori predittivi di esito, la formazione di un campo terapeutico e la qualità dell’alleanza terapeutica (Lingiardi, 2002). I dati di neuroimaging applicati alla psicoterapia, resisi a loro volta irrinunciabili nell’era delle neuroscienze, mostrano modificazioni metaboliche specifiche in specifiche aree cerebrali in risposta all’applicazione di determinate tecniche psicoterapeutiche. Ancor più significativamente, le medesime tecniche applicate alla ricerca sul trauma, mostrano variazioni volumetriche e citoarchitettoniche di alcune zone dell’encefalo in risposta a cambiamenti del clima emotivo dell’ambiente di crescita di bambini "emotionally neglected" (studi di Chugani sugli orfani rumeni, 2001). Infine, tutto un filone di studi di neuroscienze, a partire da MacLean e Pribram, evidenzia il ruolo dell’empatia e del comportamento cooperativo, accanto a quello competitivo, quali chiavi di volta della sopravvivenza della specie; è evidente la significatività di tale approccio applicato alla relazione psicoterapeutica, di cui empatia e cooperazione costituiscono aspetti basilari. Dunque, fatti salvi i limiti delle tecniche e delle metodologie di ricerca impiegate nei diversi studi, ciò che appare centrale nel discorso sulla psicoterapia nel millennio delle neuroscienze, continua ad essere la natura del potere terapeutico, e controverso, della relazione. In ambito strettamente psicoterapeutico ci si riferisce all’impatto degli eventi relazionali tra terapeuta e paziente sul processo terapeutico come alla "teoria della cura", i cui fattori chiave sono stati di volta in volta identificati nell’empirismo collaborativo, nell’esperienza emotiva correttiva, nell’esperienza interpersonale correttiva, nei processi di identificazione con il terapeuta o di assimilazione ai suoi schemi cognitivi, nel "patto per il cambiamento", nella modifica degli schemi di attaccamento, nella creazione e rottura di alleanze terapeutiche. Lo studio del comportamento umano, del mondo interno, delle emozioni, della mente, del cervello non può prescindere dallo studio delle esperienze interpersonali, ovvero di come le relazioni e la storia personale di ciascun individuo plasmino lo sviluppo del cervello e delle sue connessioni nervose, il cui risultato dinamico è l’"emergere" della nostra attività mentale (Siracusano, 2000). La mente si forma all’interno delle interazioni tra processi neurofisiologici interni ed esperienze interpersonali. Le esperienze costituiscono sia il patrimonio informativo della nostra mente sia determinano in vari modi (plasticità sinaptica, priming, pruning) le modalità attraverso le quali la mente sviluppa le capacità di elaborare tali informazioni (Siracusano, 2006). In questo volume utile per tutti gli studenti ed i professionisti del campo della salute, noti esponenti della relazione di aiuto affrontano questa tematica a seconda dei setting dei paradigmi o delle utenze che la caratterizzano. Il volume è organizzato in due sezioni: la relazione nell’ambito della salute mentale, dove vengono prese in consederazione le relazioni tra i curanti ed i pazienti e le relazioni in alcune specifiche patologie; la seconda sezione è dedicata alla relazione psicoterapeutica nei principali modelli, presentati secondo una cronologia storica di affinità. Un glossario alla fine del volume riporta le singole tassonomie con il nome dell’autore per impedire confusione tra i vari paradigmi.

 

Descrizione:

Sezione I - La relazione che cura e la Salute Mentale Capitolo 1 - La relazione interpersonale Il transito dialettico fra psichiatra e psicoterapie (Bruno Callieri) Capitolo 2 - La relazione come fattore curativo in Freud (Paolo Migone) Capitolo 3 - Relazione Medico-Paziente (Luigi Arru) Capitolo 4 - Lo psicologo nel DSM: relazioni terapeutiche nei contesti (Marco Sparvoli) Capitolo 5 - La relazione terapeutica psichiatra-paziente (Massimo di Giannantonio, Francesca Cavallo) Capitolo 6 - Relazione d’integrazione medico-psicologo (Roberto Ferretti) Capitolo 7 - La relazione terapeutica e somministrazione di test (Agnese Giudici) Capitolo 8 - La relazione terapeutica nella riabilitazione psicosociale (Ferdinando De Marco) Capitolo 9 - La relazione nella supervisione clinica (Stefania Borgo, Piero Petrini) Capitolo 10 - Le emozioni che curano. Dalle emozioni al narcisismo: approccio psicofisiologico (Vezio Ruggieri) Capitolo 11 - La relazione nella psicologia d’urgenza (Nila Kapor Stanulovic) Capitolo 12 - Urgenze territoriali (Maria Teresa Daniele) Capitolo 13 - L’infanzia e l’adolescenza in terapia familiare (Marisa Malagoli Togliatti, Silvia Mazzoni, Anna Lubrano Lavadera) Capitolo 14 - La relazione terapeutica nell’adolescenza (Mirella Baldassarre) Capitolo 15 - La relazione terapeutica con gli anziani (Gian Luca Greggio) Capitolo 16 - La relazione terapeutica con il paziente psicotico all’esordio (Raffaele Popolo, Andrea Balbi, Giancarlo Vinci) Capitolo 17 - La relazione terapeutica con il paziente borderline (Piero Petrini, Nicoletta Visconti) Capitolo 18 - Il disturbo ossessivo-compulsivo: modello e trattamento in una prospettiva cognitivo comportamentale (Francesco Mancini, Claudia Perdighe) Capitolo 19 - La relazione terapeutica con il paziente oncologico (Gabriella Marasso) Capitolo 20 - La relazione terapeutica nel paziente psicosomatico (Fausto Agresta) Capitolo 21 - La relazione terapeutica nelle tossicodipenze secondo un approccio psicodinamico (Rosaria Sara Russo, Francesco D’Ambrosio) Capitolo 22 - Relazioni terapeutiche e web (Tonino Cantelmi, Simonetta Putti) Sezione II - La relazione che cura e la psicoterapia Capitolo 23 - La relazione terapeutica in psicoanalisi (Luigi Janiri) Capitolo 24 - Relazione terapeutica e psicoterapia psicoanalitica (Mirella Baldassarre, Piero Petrini) Capitolo 25 - Il contributo della psicologia analitica alla comprensione della relazione psicoterapeutica (Daniele La Barbera) Capitolo 26 - Le re-l-azioni che curano nella e della gruppoanalisi (Leonardo Ancona, Carmela Barbaro, Felicia Tafuri) Capitolo 27 - Il gruppo Balint: formazione, supervisione o (Leonardo Ancona, Carmela Barbaro, Luigi Cecchin, Piero Petrini) Capitolo 28 - Gruppo allargato analitico (Leonardo Ancona,Carmela Barbaro, Alessandra Pancrazi) Capitolo 29 - La qualità della relazione è la cura: il processo del cambiamento nella Psicoterapia Centrata sul Cliente (Alberto Zucconi, Giuseppe Dattola) Capitolo 30 - L’analisi transazionale socio-cognitiva (Pio Scilligo) Capitolo 31 - La relazione terapeutica nelle terapie cognitivo-comportamentali (Francesco Mancini, Angelo Maria Saliani) Capitolo 32 - La relazione terapeutica post-razionalista (Mario Antonio Reda, Maria Francesca Pilleri, Luca Canestri) Capitolo 33 - Il ruolo della relazione terapeutica nella psicoterapia cognitivo-comportamentale integrata (Antonio Attianese, Vincenzo Poerio) Capitolo 34 - La relazione terapeutica secondo l’approccio analitico-reichiano (Genovino Ferri, Luisa Barbato, Giuseppe Cimini) Capitolo 35 - Relazione terapeutica in self-analisi bioenergetica (Ezio Zucconi Mazzini, Gilberta Alpa) Capitolo 36 - La Relazione Terapeutica: l’approccio Sistemico Relazionale (Rodolfo de Bernart) Capitolo 37 - La terapia di coppia in una prospettiva intergenerazionale (Maurizio Andolfi) Capitolo 38 - L’ottica della complessità Sviluppi e prospettive dell’orientamento sistemico (Luigi Onnis) Capitolo 39 - La relazione terapeutica nell’ipnosi ericksoniana (Camillo Loriedo, Camillo Valerio) Capitolo 40 - La relazione terapeutica nell’approccio strategico (Filippo Petruccelli,Valeria Verrastro) Capitolo 41 - La relazione terapeutica nell’approccio gestaltico (Margherita Spagnuolo Lobb) Sezione III - Glossario 

 

 

 

"Guarire con il Sole I benefici della luce solare per la nostra salute", Richard Hobday, Macro, 2008.
guarire_con_il_solePer migliaia di anni l’uomo ha vissuto in armonia con il sole, col calore e la sua luce, nutrendo un’istintiva fiducia nella sua capacità di generare la vita e guarire.
Oggi, quest’antica fiducia sembra persa. Trascorriamo la maggior parte delle nostre giornate in ambienti chiusi e sotto l’illuminazione artificiale, ignorando i benefici che la luce solare può offrire al nostro benessere.
Una regolare e attenta esposizione al sole rappresenta una fonte ineguagliabile di salute: può aiutare a prevenire numerose malattie, tra cui osteoporosi, sclerosi multipla, patologie cardiovascolari, rachitismo e perfino cancro, curare varie forme di stress, difenderci dall’invecchiamento precoce e mantenere il giusto equilibrio di vitamina D, elemento fondamentale per il nostro organismo.
Grazie a questo libro scopriremo tutto quello che c’è da sapere per esporsi correttamente: mettendo in evidenza le precauzioni da non dimenticare, l’autore ci insegna a minimizzare i rischi e massimizzare i vantaggi di un’equilibrata esposizione al sole.
Arricchito da utili informazioni su come applicare i criteri dell’architettura solare all’edilizia abitativa, il manuale dedica un intero capitolo alle più recenti ricerche scientifiche in materia di elioterapia, luce solare e salute.

 

"Firmino", Sam Savage, Einaudi, 2008. 

firminoEdito nel 2006 dall’americana Coffee House Press, piccola casa editrice no profit, con una tiratura di un migliaio di copie, e ancor meno pretese, Firmino ha finito col trasformarsi in un vero e proprio caso letterario. Accolto con entusiasmo dal pubblico e consacrato dalla critica, il libro d’esordio di Sam Savage, è stato eletto come miglior libro dell’anno dall’American Library Association; miglior esordio da Barnes and Noble; miglior debutto dal Library Journal. Il suo segreto? Firmino è una favola d’altri tempi, con tanto di finale nostalgico e morale inclusa, una di quelle favole che fa divertire i bambini e allo stesso tempo riflettere i grandi, una di quelle che poi ricordi tutta la vita. Firmino ha vinto tutti i piú importanti premi letterari per esordienti negli Stati Uniti. Dopo l'ultima Fiera di Francoforte e diventato un caso internazionale. Libro più venduto alla fiera del libro di Torino.

La storia del topo Firmino che si ciba di libri per non morire di fame ha incantato i lettori di tutto il mondo, che lo hanno eletto a simbolo di quella figura emarginata, ma ostinata, che è il lettore di romanzi nella nostra società. Firmino è la voce di tutti quelli che considerano la lettura e la fantasia il cibo più prezioso per l'anima. Un magico racconto dickensiano nero, divertente e malinconico sul potere di redenzione della Letteratura. E’ un libro in cui si fondono umorismo e senso del tragico, sorrisi e lacrime. Riaffiora anche l’antica immagine della libreria buia e polverosa, misterioso luogo in cui anche qualche topolino trova rifugio.  

Firmino, il topo che Walt Disney avrebbe inventato se solo fosse stato Borges. Se leggere è il vostro piacere e il vostro destino, questo libro è stato scritto per voi. (Alessandro Baricco).

Firmino racconta di tutti noi il giorno in cui abbiamo scoperto che con un libro potevamo inventare la nostra vita. (Valeria Parrella).  

Non ne potevo più di topi. Sono ovunque: al cinema, in televisione, nei fumetti, nelle fogne sotto casa. Poi ho conosciuto Firmino.
Solo un topastro sfigato e malinconico come lui mi poteva rimettere in pace con il mondo dei roditori. (Niccolò Ammaniti).  

Chi ama leggere farà subito amicizia con Firmino. Questo memorabile topo di biblioteca generato da una pantegana alcolizzata ci insegna che leggere è anche un peccato di gola. I buoni libri, ci ricorda Firmino, si divorano e lasciano, come questo di Sam Savage, il miele in bocca e un po' d'amaro nelle viscere. (Domenico Starnone).

 

Trama

 

Nei locali di una libreria di Boston negli anni sessanta, si svolge la vita di un topo. Ultimo di 13 fratelli, riesce a sopravvivere grazie ai libri, cibo per il corpo ma soprattutto per la sua mente. Tra soffitte e scaffali polverosi, Sam Savage con "Firmino" narra le vicende del piccolo roditore auto-elevatosi a icona intellettuale.

Firmino inizia a fare i conti con la sua fragilità e a rifletterci un po’ su già nella pancia della sua mamma, stanco dei continui spintoni dei suoi dodici fratelli, prepotenti, inizia a trovare soluzioni alternative e curiose per la sua sopravvivenza. Boston non offre molti luoghi dove mamma Flo possa partorire la sua nidiata di topolini. Ecco allora che la libreria di Norman si presenta come provvidenziale.
Il felice evento stava per accadere!... Flo si diresse verso lo scaffale impolverato, tirò giù con le zampe un grosso libro e iniziò a rosicchiare le pagine riducendole in mille pezzi…ecco adesso poteva mettere al mondo i suoi tredici topolini Swenny, Chucky, Luweena, Feenie, Mutt, Peewee, Shunt, Pudding, Elvis, Elvina, Humphrey, Honeychild e Firmino.

L'ultimo a nascere è Firmino, il piu gracile. Il momento dell'allattamento diventa una guerra per i topolini, in quanto le mammelle di Flo sono 12 e i piccoli sono 13. Firmino perde il confronto con i fratelli e deve arrangiarsi cercando qualcosa che possa nutrirlo al posto del latte materno. Troverà, nella cellulosa dei libri, la sua fonte primaria di sostentamento. E ben presto, la carta delle pagine diventera nutrimento per la mente prima che per il corpo. Imparerà a leggere e si convincerà che le piu grandi figure della letteratura mondiale possano fungere da maestre di vita anche per un topo come lui; cosi, tra una pagina e l'altra, Firmino vivra le avventure di Anna Karenina, attraverserà le pagine di Lolita e si innamorera perdutamente di Ginger Rogers, al punto di immedesimarsi in un Fred Astaire d'altri tempi.

La storia di Savage si snoda lungo i locali angusti della libreria di Norman e la casa di Jerry, dove Firmino andrà a vivere in qualità di "ratto di compagnia". Una serie di riflessioni introspettive narrate in prima persona dal piccolo topo di città, accompagnano il lettore in un exscursus letterario quale potrebbe essere una guida in un museo. Pensieri in libertà di un roditore che usano come cornice gli spunti forniti dai grandi autori letterari. La libreria in cui vivere diventa quindi metafora di un percorso di crescita che però non va oltre il puro e semplice riassunto dei fatti. Si ha come l'impressione che il protagonista sia un un uomo finito per errore nel corpo di un topo, una sorta di diario quotidiano che non ha altra ragione d'esistere se non quella di narrare gli avvenimenti, durante il loro divenire accompagnandoli da commenti in cui il protagonista recita la parte di eroe decadente.

Su tutto pesa la sensazione del tempo che viene a mancare, il disfacimento del quartiere in cui Firmino vive, accompagna di pari passo il lento ma inesorabile monologo che il piccolo roditore mette in scena. 

“Talvolta mi piace pensare che i primi istanti in cui ho lottato per venire al mondo fossero accompagnati, a mò di marcia trionfale, dalla distruzione di Moby Dick. Il che spiegherebbe la mia straordinaria propensione all’avventura…Altre volte, quando ho l’impressione di essere più reietto e bizzarro del solito, mi convinco che la colpa sia di Don Chisciotte…”

Quella di Firmino era una famiglia numerosa e tra le strovine dei libri, che Flo distruggeva, passavano i giorni, non facili per il topolino più gracile del gruppo. Difficile partecipare alla routine alimentare quando si è in tredici! Firmino doveva necessariamente trovare un modo alternativo per poter mangiare e rimanere in vita…e masticare la carta divenne ben presto un’abitudine, ogni giorno un piatto diverso…Oliver Twist, Alice nel paese delle meraviglie, Peter Pan, Il Rosso e il nero, L’amante di Lady Chatterly…nella sua dieta quotidiana incontrerà gli eroi più grandi e più famosi con, con i quali si identificherà, facendo poi un giorno una terribile scoperta…i libri migliori sono anche i più gustosi.

All’inizio Firmino si avventava senza andare troppo per il sottile, ben presto, però, cominciò a notare le sottili differenze. Prima di tutto ogni libro aveva un sapore diverso: dolce, amaro, aspro, agrodolce, salato, rancido e poi il gusto, con l’affinarsi dei sensi, di ogni pagina, frase, e parola portava con sé, suscitando nella mente, un insieme di immagini e rappresentazioni di cose che non conosceva a causa della limitata esperienza nel mondo “ reale “. Firmino, allora, cominciò a leggere qua e là solo lungo i bordi dei suoi pasti e con il passare del tempo tanto più leggeva, meno masticava rammaricandosi anche di aver rosicchiato i libri più belli e soprattutto le parti più belle, cioè quelle che contenevano le trame. Costretto a trovare un altro modo per sostenere il suo corpo e nello stesso tempo continuare a nutrire la sua mente, Firmino esce dalla sua tana e compie la sua seconda scoperta, il “ mondo della celluloide” dove incontrerà divi e personaggi indimenticabili come Fred Astaire e scoprirà anche l’amore, infatti perderà la testa per Ginger Rogers…come rimanere indifferenti a questo personaggio! Firmino entra nel cuore del lettore attraverso un delicato e nello stesso tempo incisivo, inno d’amore per la lettura…

Lo consiglio perché: riesce a fondere insieme umorismo e senso del tragico, sorrisi e lacrime, ricordandoci l'esistenza di un qualcosa che nessun rinnovamento edilizio potrà mai abbattere... la fantasia!

Sam Savage, autore di questo piccolo capolavoro, è un ex professore di filosofia con la passione per la pesca e l’animo del poeta. A quasi settant’anni, in una notte di veglia, nasce in lui l’idea di Firmino: un topo romantico e sentimentale che si nutre di libri. Ultimo di una nidiata di dodici cuccioli, Firmino viene al mondo quando già tutte le mammelle di mamma Flo sono occupate dai suoi fratelli, rimanendo così escluso dal nutrimento. L’istinto di sopravvivenza ispira in lui l’arte dell’arrangiarsi e poiché è nato in una libreria di Boston, alla fine degli anni sessanta, inizia a rosicchiare tutti i libri che ha intorno, scoprendo ben presto che i più belli sono anche i più buoni. Tra saggi e manuali, enciclopedia e romanzi, Firmino diventa un vorace onnivoro che non si accontenta di fagocitare ogni libro che trova, perché un libro non lo si può semplicemente ingerire, bisogna farlo proprio, assorbirlo, succhiarne l’anima. Così Firmino finisce con l’identificarsi con i grandi eroi della letteratura di ogni tempo e davanti gli si apre un mondo nuovo, diverso. La fantasia.

Al contrario però di molte favole quello di Savage, amante di Kafka e Dostoevskij, non è un happy hend. Firmino dovrà assistere alla distruzione della libreria ad opera delle ruspe comunali per permettere l’attuazione del nuovo piano edilizio. La sensibilità intellettuale lascia spazio al pragmatismo, la cultura al rinnovamento urbanistico, emblema della modernità che avanza lasciandosi alle spalle solo il ricordo di una bellezza che non c’è più. Firmino è il simbolo dell’esclusione, dell’esilio. Rifiutato dalla famiglia d’origine che non si preoccupa nemmeno del suo nutrimento, al pari di un eroe boccacciano mette in pratica l’arte dell’arrangiarsi per ottenere prima il riscatto e poi, perdere tutto. O quasi tutto. Già perché i più romantici, come Savage, credono ancora che esista qualcosa che nessun rinnovamento edilizio potrà mai abbattere: la fantasia.

Forse è stato questo a decretare il grande successo di Firmino e del suo autore: l’aver dato voce, in una splendida favola, a coloro i quali, nonostante i deliranti “piani edilizi” della società moderna, continuano a scorgere e a sognare le antiche bellezze.  

 

"Trauma", Mc Grath Patrick, Bompiani, 2007. 

traumaCharlie Weir si guadagna da vivere affrontando i demoni altrui. Nella sua attività di psichiatra a New York ha visto ogni tipo di trauma, eppure non riesce ancora a trovare una soluzione ai propri conflitti famigliari: l'accesa rivalità con il fratello Walter, affermato pittore; il gelo nei confronti di un padre senza nerbo; il soffocante rapporto con la madre. Né ha ancora accettato, dopo sette anni, il tragico errore costato la vita alla moglie e alla figlia, che gli ha lasciato nient'altro che una solitudine consumante e una rabbia inquieta. Quando Walt presenta Nora Chiara al fratello, questi si sente attratto tanto dalla sua bellezza mozzafiato quanto dalla sua aria sofferta. Si innamorano velocemente, avidamente, ma l'idillio ha vita breve. La vulnerabilità di lei, un tempo irresistibile, comincia ad avvelenare il rapporto finché Charlie si accorge di avere accanto una paziente più che una compagna. E mentre sonda le origini del dolore di Nora Chiara, un vago ricordo comincia ad affiorare dal suo inconscio, sollevando in lui un atroce sospetto. Il nuovo viaggio di Patrick McGrath nei labirinti dell'animo umano.

"Come ormai avrete compreso, sono uno psichiatra. Ho scelto questa professione a causa di mia madre, e non sono l'unico. Sono le madri che hanno spinto la maggior parte di noi verso la psichiatria: di solito, perché le abbiamo deluse."

"Patrick McGrath è un autore di thriller psicologici ormai di culto." (Fernanda Pivano, Corriere della Sera).

 

 

"Le saggezze antiche. Controstoria della filosofia I", Onfray Michel, Fazi, 2006.

saggezze_antiche2Le saggezze antiche costituisce il primo tomo dedicato alla filosofia greco-romana di questa Controstoria della filosofia – così recita il sottotitolo dell’opera - che Michel Onfray presenta come un antidoto e una risposta alle mistificazioni di lunga data della storiografia filosofica ufficiale. E poiché “la scrittura della storia della filosofia greca è platonica” (p. 6) la controstoria di Onfray “si propone di andare a vedere dall’altro lato dello specchio platonico per scoprire pagine alternative” (p. 9). Le critiche dell’autore alla storiografia dominante muovono dalla constatata cristallizzazione del corpus tradizionale della storia della filosofia entro una ricostruzione consolidata e indiscussa che ha eletto la filosofia platonica a filosofia ufficiale a scapito di altre scuole di pensiero, condannando queste ultime al carro dei vinti.
Se per un verso indulge all’ironia di una scrittura sarcasticamente antiplatonica, l’autore non si limita ad accusare Platone. Egli rinviene le ragioni del non casuale processo di oblio/annientamento della cosiddetta filosofia dei vinti nella secolare egemonia del pensiero esercitata in occidente dalla filosofia cristiana e dalla speculazione idealista: da un lato la propaganda cristiana, per lungo tempo impegnata a demolire teoricamente e demonizzare quelle filosofie ritenute incompatibili con la dottrina evangelica, dall’altro la chiesa ufficiale, che ha contribuito praticamente a quest’opera di demolizione attraverso la distruzione dei manoscritti, il saccheggio e l’incendio delle biblioteche, e non in ultimo le mistificazioni compiute sui testi dai monaci copisti; infine l’idealismo moderno e contemporaneo che ha monopolizzato la scena filosofica perpetrando la messa al bando dei pensatori anti-idealisti.
Ecco allora che la controstoria della filosofia prende forma come “storiografia dei pensieri dominati” (p. 9), ovvero come storia di quelle filosofie e di quei filosofi che sono stati volutamente dimenticati, ignorati, confinati al ruolo di autori minori oppure denigrati e ritratti come immorali, folli, licenziosi, corrotti, viziosi.
Ma chi sono dunque questi filosofi ‘sconfitti’ protagonisti della controstoria di Onfray? I filosofi appartenenti al cosiddetto arcipelago edonista (p. 265), antenati del materialismo moderno e contemporaneo, filosofi della terra avversari della celeste filosofia platonica, filosofi del corpo e dei sensi, filosofi del piacere, pensatori atei e irreligiosi, relativisti, utilitaristi: fautori di un pensiero dell’immanenza che rigettando la tradizione metafisico-religiosa ambiva a restituire il mondo alla giurisdizione degli uomini. Tra questi Leucippo di Mileto e Democrito di Abdera, Antifonte il sofista e Anassarco il beato, Aristippo di Cirene e Diogene il cinico, Epicuro e Filodemo di Gadara, infine Lucrezio e Diogene di Enoanda, solo per citare alcuni dei personaggi che popolano le pagine di questo volume.
La filosofia idealista-platonica, cristiana e tedesca, originariamente dualistica, ha tradizionalmente privilegiato l’anima a scapito del corpo, santificato lo spirito contro la materia, accreditato le Idee screditando le percezioni, nobilitato il dolore e la sofferenza demonizzando il piacere. Agli occhi dei filosofi idealisti l’edonismo di matrice sensistico-materialista professato dai filosofi di parte avversa rappresentava un pensiero scomodo, un pensiero nemico da combattere con tutti gli artifici della speculazione, e perfino con le assai meno legittime armi della menzogna. Non è un caso, nota Onfray, che la vasta aneddotica fiorita intorno ai padri dell’edonismo antico pulluli di episodi grotteschi e caricaturali che avevano come unico scopo quello di ridicolizzare questi filosofi e meritare loro il disprezzo collettivo. Né è un caso che a promuovere la circolazione delle ridicole storielle infamanti sul conto degli edonisti fossero proprio i filosofi militanti nelle fila degli schieramenti rivali. Emblematico è il caso di Epicuro, che l’iconografia tradizionale associa al ritratto di un maiale, l’animale confinato alla bassezza dal bestiario filosofico; quindi l’esempio di Lucrezio calunniato da San Girolamo che fa di lui un individuo disturbato, folle e suicida; poi ancora il personaggio di Diogene puzzolente, straccione e perfino cannibale, infine Democrito che – stando a quanto riporta Tertulliano - finì in tarda età per accecarsi da sé, allo scopo di placare il desiderio indomabile da sempre scatenato in lui dalla vista delle donne.
Agli aneddoti sottoposti ad una “ermeneutica erudita […] alla ricerca dei significati smarriti” (p. 93) l’autore attinge in abbondanza, talvolta per ovviare alla scarsità degli scritti tramandati dei filosofi presi in considerazione, ma più spesso per smascherare per mezzo degli stessi aneddoti la falsificazione sistematicamente messa in atto dalle scuole dei vincitori, mostrando come il ricorso da parte di questi ultimi all’espediente del discredito personale costituisca un’ulteriore testimonianza del consenso e del plauso di cui godettero le filosofie edonistiche, filosofie denominate ‘minori’, e tuttavia tali da costringere gli avversari a combatterle perfino con le armi della diffamazione.
A livello metodologico la pars destruens di questa controstoria consiste in primo luogo nella radicale messa in discussione dell’attendibilità dei dialoghi platonici che rappresentano con tutta evidenza una fonte copiosa, imprescindibile, eppure, data l’arbitrarietà delle citazioni, dei rimandi e delle omissioni contenuti in essi, tutt’altro che imparziale nella ricostruzione della storia della filosofia antica.
Platone e i suoi discepoli furono i primi ad intraprendere quella opera di sabotaggio della filosofia edonista che poi sarebbe stata proseguita dagli esponenti della patristica cristiana. Del filosofo dell’Accademia è proverbiale il disprezzo manifestato nei confronti dei sofisti che accusava di essere mercenari della parola. Non meno disprezzo Platone nutrì nei confronti della filosofia di Democrito, che mai compare citato nei suoi scritti, e il cui materialismo egli sembrava detestare a tal punto - stando al racconto di Diogene Laerzio - da voler bruciare tutte le sue opere. Contro i filosofi del piacere infine scrisse il “Filebo”, dialogo dedicato interamente alla confutazione delle tesi edonistiche cirenaiche, in cui il nome di Aristippo, maggiore esponente della scuola cirenaica - menzionato una sola volta nelle pagine del Fedone per segnalare con malevolenza la sua assenza al funerale di Socrate - non viene mai citato. La rappresentazione che Platone offre dell’edonismo antico in questo dialogo è fortemente condizionata dalla faziosità polemica dell’autore: nelle pagine del “Filebo” Protarco, difensore dell’edonismo, appare come un personaggio ridicolo ed evanescente, mentre le poche argomentazioni addotte a sostegno delle sue posizioni risultano deliberatamente indebolite per meglio poter essere confutate per bocca di Socrate. Per questa ragione oltre “la cortina di fumo” (p. 120) della storiografia platonica, Onfray si impegna a restituire all’edonismo tutto il suo spessore etico e speculativo.
Una fisica materialistica, un’etica del piacere, un ateismo moderato costituiscono le caratteristiche comuni alle filosofie di questa corrente del pensiero anti-idealista di cui fanno parte l’atomismo abderita, la sofistica, la scuola cirenaica, l’ascetismo cinico, l’epicureismo greco e romano. L’edonismo che li accomuna va ben oltre la semplificazione faziosa che ne fornì nei secoli la vulgata platonico-cristiana insistendo sul portato istintuale e animalesco di queste filosofie del piacere. La ricerca del piacere e della felicità presso gli antichi edonisti, assai lontana dagli stereotipi del libertinismo moderno, non professa quasi mai il culto degli eccessi, non incita ad assumere un atteggiamento smodato, né predica il vizio e l’abbandono agli istinti sfrenati. L’edonismo autentico considera auspicabile, per il saggio come per l’uomo comune, il perseguimento del piacere e della felicità attraverso la pratica di una condotta sobria e misurata, capace di preservare l’uomo dai turbamenti dannosi per la serenità dell’animo. Nelle sue molteplici varianti – dall’edonismo individualista e libertario di Antifonte all’edonismo austero di Epicuro passando per le stravaganze di Aristippo - l’etica edonista si configura come un’etica della misura e della ponderazione volta al conseguimento dell’equilibrio e del benessere individuale. La fisica prevalentemente atomistica e di stampo materialista e la critica rivolta alla religione tradizionale rappresentano i corollari necessari di una filosofia eminentemente pratica che individua il proprio fine nel dispensare esempi e consigli per una buona condotta e una vita felice. Vivere in pace con sé e con gli altri, vivere bene: questo il monito di ogni autentico filosofo edonista. Ma per vivere bene occorre liberare la mente da tutto ciò che puntualmente può rappresentare un ostacolo alla serenità dell’animo ed essere fonte di turbamento: la religione in primis e la paura della morte che condannano l’uomo all’infelicità, ma anche il denaro, la guerra, la politica e i suoi conflitti, i piaceri smodati, l’invidia, la gelosia, il risentimento e, nel caso di Democrito che tesse l’elogio del celibato, persino la famiglia e i figli. A ben guardare la ricerca del piacere è un’euthymia che aspira alla tranquillità dell’anima e all’armonia con sé; essa consiste nel tentativo di preservare l’individuo dall’esperienza del dolore e di salvaguardarlo dalla sofferenza estirpandone le cause; l’edonismo, connotandosi in senso fortemente antipitagorico e antiplatonico, vuole essere una tecnica di rimozione di tutto ciò che di negativo vi è nell’esistenza umana. In questo senso la filosofia edonistica sottintende una concezione terapeutica della filosofia, incarna l’ideale di una medicina filosofica capace di guarire il corpo e l’anima – basti pensare al famoso quadrifarmaco epicureo - e porta a sintesi filosofia e vita nell’esperienza di una saggezza filosofica che rappresenta anche una condotta di vita.
Inconsistente si rivela pertanto l’antico topos che vuole contrapporre la pratica della filosofia all’esercizio del piacere, ritenendo incompatibili saggezza e voluttà: l’esempio di Epicuro e degli altri antichi edonisti dimostra nei fatti la possibilità del contrario: la realtà di una filosofia “esistenzialmente utile” (p. 14).
Rispetto ad una visione del mondo rigidamente dualistica quale quella propugnata nei secoli dal platonismo e dalle filosofie filoplatoniche, la pratica dell’edonismo testimonia di una concezione più conciliante e naturale del rapporto tra corpo e spirito, vita e morte, saggezza e piacere. La negletta filosofia edonistica ha avuto il merito di riscattare dall’anatema platonico il corpo, la materia e l’universo terreno per confidarli all’uomo, e attraverso questa operazione ha indicato il cammino del pensiero verso il piacere e la felicità. Questa, infine, la grande lezione dell’edonismo che il filosofo francese sceglie deliberatamente di privilegiare nella sua controstoria come la più feconda delle saggezze antiche.

Da troppo tempo, l'accademia ha deciso di destinare all'oblio interi continenti della storia della filosofia; da troppo tempo, continua a incensare i protagonisti più seriosi e austeri della grande battaglia delle idee. Perché? Perché la storia della filosofia è stata scritta dai vincitori: i vincitori di una lotta che vede contrapposti, infaticabilmente, idealisti e materialisti. Con il cristianesimo, gli idealisti hanno avuto esclusivo accesso alle stanze alte del potere filosofico: da venti secoli, hanno favorito i pensatori che concordano con la loro impostazione e hanno tentato di cancellare ogni traccia di filosofie alternative. Di qui, l'oblio dei cinici, dei cirenaici, degli epicurei, dei cristiani edonisti, degli gnostici licenziosi, dei fratelli e delle sorelle del Libero Spirito, dei libertini barocchi, degli ultra illuministi, degli utilitaristi francesi e anglosassoni, dei socialisti dionisiaci, dei nietzscheani di sinistra e di mille altri ribelli. Ma l'opera degli idealisti al potere, per nostra fortuna, non ha potuto compiersi. E la "Controstoria della filosofia" di Michel Onfray, il cui primo volume è dedicato all'antichità, racconta la storia degli sconfitti dalla parte degli sconfitti: gli eroi di questo libro sono dunque Democrito e Diogene, Aristippo ed Epicuro, Lucrezio e Filodemo, e non Platone e Aristotele. E secondo Onfray, abbiamo tutto da guadagnarci.
Con malcelata soddisfazione constatiamo come, negli ultimi tempi, siano state pubblicate diverse opere che studiano la storia della filosofia sul lunghissimo periodo, cercando di riportarne alla luce gli approcci non metafisici che, come un fiume sotterraneo, attraversano tre millennî di cultura occidentale. È un’attenzione che testimonia la sottovalutazione che la storiografia dominante ha riservato al pensiero laico, che al contrario rappresenta una pietra fondante della nostra cultura. Il susseguirsi di questi lavori è forse anche la spia che l’abuso di retorica sulle radici cristiane ha sortito l’effetto opposto a quello voluto, generando una reazione che sta portando alla riscoperta di una ricchezza di materiale insospettabile perfino per lo stesso militante laicista. Voci lontano in grado di dire qualcosa di significativo anche all’uomo di oggi.
Dopo il nostro Carlo Tamagnone e A.C. Grayling, dunque, ben venga anche questo interessante sforzo di Michel Onfray, già autore del Trattato di Ateologia. Il suo è un progetto ambizioso: scrivere una Controstoria della filosofia in sei volumi. Una storia dei vinti, come la definisce l’autore: una storia che ripercorre la vita di tanti pensatori salvati dall’oblio, molto spesso, solo per circostanze fortuite. Un’opera che si propone «di andare a vedere dall’altro lato dello specchio platonico per scoprire pagine alternative». Anche in quest’opera, dunque, il moloch da abbattere è l’idealismo promosso dal «lottatore malintenzionato», come Onfray definisce il fondatore dell’Accademia.
Il punto di vista scelto dall’autore, nel pendolo tra edonismo ed eudaimonismo, oscilla prevalentemente verso il primo. Non che sia impossibile farli convivere: si tratta, in fin dei conti, di dissonanze non sostanziali, di dettagli che creano una differenza. Onfray sceglie un approccio filosofico che «non si costituisce contro il corpo, suo malgrado o senza di esso, ma con esso». I pensatori presentati nella Controstoria sono stati scelti dall’autore in base a considerazioni legate soprattutto alle loro concezioni etiche e individualistiche, e non si caratterizzano dunque tutti per la propria rigorosa miscredenza (soprattutto gli epicurei, ovviamente).
In una carrellata che non si trasforma mai in un mero elenco di nomi, sfilano dunque autori e idee decisamente non convenzionali: Leucippo il primo atomista; l’eutimia di Democrito, il filosofo che rideva; il promemoria edonistico di Ipparco; Anassarco “il Beato”; il sofista Antifonte (inventore della psicoanalisi?); Aristippo e il piacere buono; Diogene il cinico; Filebo e Protarco, i punching ball di Platone; Eudosso, il platonico presentabile alle famiglie; Prodico che filosofava avvolto nelle pellicce; e, infine, Epicuro e i suoi discepoli: Filodemo di Gadara, Lucrezio e Diogene di Enoanda. Come si può constatare, vi sono alcune assenze di rilievo (da Stratone di Lampsaco a Evemero, dagli scettici a Crizia), personalmente riducibili solo con difficoltà ai criteri di selezione posti da Onfray.
Dovendo scrivere partendo da frammenti scarsi e citazioni dubbie (quando non interessate) l’autore, per tentare di riportare alla luce il pensiero originale, ha scelto la strada dello scavo nell’aneddottica, del lavoro di cesello sull’informazione più minuta. Molti di questi episodi sono gustosi di per sé: da Anassarco che si strappa la lingua di fronte al potere, a Diogene che lancia un pollo spennato contro Platone. Forse un’ulteriore percorso di ricerca potrebbe sfociare in una rilettura punk dell’antichità classica…
Di Onfray si può comunque dire che non inventa: semmai, reinterpreta i documenti a suo modo, senza mai abbandonare la vis polemica che l’ha reso famoso. Talvolta si lascia un po’ prendere la mano (non si comprende la necessità di ripetere svariate volte che Democrito non deve essere considerato un presocratico, o che Platone è stato particolarmente malevolo nel non citare Aristippo). Ma la bibliografia ragionata (benché soprattutto francese) e la duplice cronologia, edonista e idealista, proposte alla fine del volume costituiscono ulteriori risorse per un viaggio verso l’alba della miscredenza. Scritto con semplicità e con un indubbio compositivo, Saggezze antiche è una lettura intelligente anche e soprattutto per chi ha sempre masticato poco la filosofia.

Indice
Preambolo. La storiografia, un’arte della guerra
Introduzione. Polveri di astri
Volume primo. Le saggezze antiche
Primo tempo. Tracce di atomi in un raggio di luce: il materialismo abderita
1. Leucippo e “la gioia autentica”
2. Democrito e “il piacere del rapporto con se stessi”
3. Ipparco e “la vita più piacevole”
4. Anassarco e la sua “natura appassionata di godimento”
Secondo tempo. Usi terapeutici del verbo: la sofistica antifontea
5. Antifonte e “l’arte di sfuggire all’afflizione”
Terzo tempo. L’invenzione del piacere: il giubilo di Aristippo di Cirene
6. Aristippo e “la voluttà che solletica”
Quarto tempo. Piacere del desiderio risoluto: la costellazione cinica
7. Diogene e “il godere del piacere dei filosofi”
Quinto tempo. Salvati dalla polemica: tre moschettieri edonisti
8. Filebo e “la vita felice”
9. Eudosso e “l’oggetto di desiderio per tutti”
10. Prodico e “la felicità”
Sesto tempo. Sotto il segno del porcello: l’epicureismo greco-romano
11. Epicuro e “il piacere supremo”
12. Filodemo di Gadara e la comunità edonista
13. Lucrezio e “la voluttà divina”
14. Diogene di Enoanda e “la gioia della nostra natura”
Note
Bibliografia
Cronologia
Indice analitico

Michel Onfray (Argentan, 1959), insegnante di filosofia nei licei per quasi vent’anni, nel 2002 ha fondato l’Università popolare di Caen (Normandia) presso cui insegna Filosofia edonista. Tra le molte opere pubblicate, alcune delle quali tradotte in 14 lingue, ricordiamo, in italiano, il Trattato di ateologia (Fazi, 2005) e la Teoria del corpo amoroso (Fazi, 2006).

 

 

"Libri del fiore d'oro", Osho, Libri ORO RCS, 2007.

i_libri_del_fiore_doro_oshoLe meditazioni del maestro in una raccolta unica: Il cuore celeste; Lo splendore dell'essere; La luce nell'abisso; Il sacro fuoco.
Osho è un Buddha contemporaneo la cui saggezza, che unisce chiarezza di visione a un forte senso dell'umorismo, ha toccato la vita di milioni di persone in ogni parte del mondo.
Con i suoi discorsi, e il suo lavoro di rinnovamento nella dimensione della meditazione, ha messo le basi per la nascita di ciò che egli definisce l'"Uomo Nuovo": un essere umano del tutto discontinuo dalla lunga marcia della follia che sembra riassumere la vita del genere umano del passato; un uomo nuovo la cui esistenza si fonda sulla consapevolezza, l'affermazione della vita e la libertà.
Osho ha sviluppato strumenti pratici in grado di sostenere una vera e propria Rivoluzione Interiore, in quanti, sentendo i suoi discorsi, sono colpiti dall'urgenza e dall'importanza di una mutazione radicale nella propria vita.
Consapevole della realtà dell'uomo moderno: un uomo appesantito da retaggi che non riconosce più, stretto nella morsa di ansie per un'accelerazione mai vista in passato, oppresso dal peso di una civiltà che ben poco concede alla spontaneità e alla naturalezza, soffocato da repressioni e da un vero e proprio analfabetismo emozionale, Osho ha creato tecniche di meditazione di tipo dinamico, in grado di ripulire e liberare il cielo interiore dalle tante repressioni in atto.
È un lavoro necessario, se si vuole scoprire lo stato di meditazione libero da pensieri e totalmente rilassato, più semplice da raggiungere in altre epoche.
"Sii nel mondo, senza farne parte" è il trucco che Osho suggerisce. Il come è racchiuso in queste pagine che ripropongono in chiave attuale un processo di evoluzione della consapevolezza antichissimo, racchiuso nel trattato taoista "Il Segreto del Fiore d'oro", un testo che risale alI'VIII secolo.
"Questo processo ti aiuterà a diventare integro, ti renderà un individuo, ti porterà a vivere in equilibrio tra il fare e il non fare." Ed essere esattamente nel mezzo tra il mondo dell'azione e il regno della quiete interiore è segno di buona salute ed è il presupposto per una vita sana e pienamente realizzata. Non solo: da quella pienezza affiorerà passo passo l'intima comprensione di ciò che si è, risolvendo così l'enigma primario che accompagna da sempre il destino dell'uomo.
'Tu sei la meta: sei la sorgente e la meta, il principio e la fine, l'alfa e l'omega. Tu contieni tutto ciò cui hai sempre anelato, possiedi già tutto ciò che hai sempre desiderato. Non devi essere un mendicante, essere un imperatore è la tua essenza più intima."
Negli anni Settanta Osho fece la sua comparsa sulla scena internazionale con una Visione che scardinava tutti gli equilibri tradizionali, sociali e religiosi, rivoluzionando le prospettive esistenziali comuni e proponendo un'utopia la cui concretezza è risultata evidente alla luce degli sconvolgimenti epocali che hanno accompagnato i primi anni del nuovo millennio.
A tutte le dicotomie che hanno scandito finora le scelte di vita del genere umano Osho contrappone l'invito a creare un giusto equilibrio che rispetti tutti gli aspetti e le dimensioni in cui l'uomo effettivamente vive. A suo avviso, è il solo modo per contrastare una nevrosi che sta assumendo un carattere epidemico, a causa della forte accelerazione che caratterizza la vita moderna; nulla e nessuno si può salvare, a meno che non si assuma la piena responsabilità del proprio stile di vita e si trovi il tempo per prendersi cura di sé.  

oshoMai nato - Mai morto - Ha solo visitato il pianeta Terra tra l'11 dicembre 1931 e il 19 gennaio 1990.
Con queste parole immortali, Osho detta il suo epitaffio e allo stesso tempo elimina la necessità di una biografia. Dopo aver cancellato il suo nome, accetta alla fine il termine "Osho" spiegando che esso deriva da "oceanico", come lo usa William James. "Non è il mio nome" afferma "è un suono di guarigione".
Le migliaia di ore di discorsi estemporanei, presentati a persone di tutto il mondo per un periodo di vent'anni, sono tutti registrati, spesso anche in video, e possono essere ascoltati da chiunque in qualsiasi posto, creando, come dice Osho, "ovunque lo stesso silenzio".
Le trascrizioni di questi discorsi sono ora pubblicati in centinaia di libri in dozzine di lingue diverse. In questi discorsi, la mente umana viene messa al microscopio come mai prima, analizzata nelle sue pieghe più sottili. La mente come psicologia, la mente come emozione, la mente come corpo/mente, la mente come moralista, la mente come storia, la mente come credo, la mente come religione, la mente come evoluzione sociale e politica - il tutto esaminato, studiato e integrato. E poi lasciato alle spalle con grazia nel viaggio fondamentale verso la trascendenza.
Nel corso di questo processo Osho mette allo scoperto l'ipocrisia e le falsità dovunque le incontri. Come dice in modo eloquente lo scrittore Tom Robbins: "Riconosco la brezza smeraldina quando scuote le mie finestre. Osho è come un vento teso e dolce che percorre il pianeta, facendo volare via le teste di rabbini e papi, sparpagliando le bugie sulle scrivanie dei burocrati, mettendo in fuga precipitosa gli asini nelle stalle dei potenti, sollevando le gonne dei moralisti e facendo il solletico a chi è spiritualmente morto per farlo tornare in vita."
"Gesù aveva le sue parabole, Buddha i suoi sutra, Maometto le sue fantasie di notti arabe. Osho ha qualcosa che è più appropriato per una specie resa invalida dall'avidità, dalla paura, dall'ignoranza e dalla superstizione: ha la commedia cosmica".
"Quello che Osho vuole fare, mi sembra, è squarciare i nostri travestimenti, mandare a pezzi le nostre illusioni, curare le nostre dipendenze e dimostrare la follia autolimitante e spesso tragica del prendersi troppo sul serio".
Allora cosa si può dire di Osho? Il destrutturatore supremo? il visionario che diventa la visione? Certamente una proposta all'esistenza: è diritto naturale di ognuno di fare la stessa esperienza oceanica di individualità autentica. A questo riguardo, Osho dice: "C'è solo un sentiero - ed è un sentiero che va dentro - dove non troverai nessuno, dove troverai solo silenzio e pace".
Una conclusione? Non ci sono punti fermi nella visione di Osho, ma solo un aiuto alla comprensione di te stesso:
"Voglio dirti che la scienza è il valore supremo. E ci sono due tipi di scienza: una, una scienza oggettiva, che riguarda il mondo esterno; e la seconda, una scienza soggettiva, che finora è stata chiamata religione. Ma è meglio non darle questo nome. È meglio chiamarla la scienza dell'interiorità, e dividere la scienza in due parti - scienza oggettiva e scienza soggettiva. Ma falla diventare un tutto unico, solido, e la scienza rimane il valore supremo - non c'è nulla di più alto".

Osho nasce a Kuchwada, In India Centrale, l'11 dicembre 1931. Fin dalla più tenera età, si pone di fronte alla vita come spirito libero. Insofferente alle regole e alle norme imposte, rifiuta la fede della famiglia, di religione giainista, e sfida sempre e comunque il potere costituito e chi lo rappresenta.
La sua ricerca della verità raggiunge il suo culmine all'età di ventun anni, il 21 marzo 1953. Quel giorno, Osho vive nel proprio essere la più alta vetta di consapevolezza sperimentabile dall'uomo: l'illuminazione. Descritta in oriente come "l'istante in cui la goccia si fonde nell'oceano, e l'oceano si riversa nella goccia", per noi occidentale è molto arduo avvicinarsi a comprendere questo fenomeno. Osho stesso ne parla come di un'esperienza "orgasmica", assolutamente inaccessibile, per sua stessa natura, alla mente razionale. La goccia che si versa nell'oceano, e si fonde con esso, diventando l'oceano.
Osho, spinto a voler invitare gli altri esseri umani a quella esperienza di trasformazione, inizia a viaggiare per tutta l'India. Alla fine degli anni Cinquanta arriva a tenere conferenze a platee anche di centomila persone.
Termina comunque gli studi nel 1956, laureandosi in filosofia, e prosegue la carriera universitaria come professore al "Sanskrit College" di Rajpur prima, e quindi come rettore della cattedra di filosofia presso l'università di Jabalpur.
Agli inizi degli anni Sessanta intraprende un lavoro diverso: aiutare altri esseri umani a vivere la stessa esperienza da lui vissuta. E tenta di fare ciò che non può essere fatto, di condividere ciò che non può essere condiviso, di insegnare ciò che non potrà mai , per sua stessa natura, essere insegnato.
Dalle folle che ascoltano le sue conferenze emergono i primi discepoli che, paradossalmente, si uniscono a lui proprio sulla base di questa certezza, cioè che l'illuminazione non può essere comunicata. Il bisogno e l'impegno di questi individui va al di là del semplice ascoltare parole di saggezza e ben oltre le futili controversie che queste possono scatenare; essi vogliono intraprendere una ricerca reale, che li porti a conoscere veramente, senza intermediari.
Per rispondere a questa esigenza, nel 1964 Osho inizia a organizzare Campi di Meditazione durante i quali utilizza delle tecniche in grado di aiutare a cogliere quel "silenzio" in cui la nostra vera natura si manifesta.
Consapevole della diversa struttura mentale e psicofisica dell'uomo moderno, Osho ha ideato, negli anni, tecniche di meditazione conformi al tipo di "sonno psicologico" in cui oggi si vive, facendo anche buon uso delle intuizioni della psicoterapia.
Nel 1966 egli abbandona la carriera universitaria e alla fine degli anni Sessanta si stabilisce a Bombay, dando vita a un Ashram, o "comunità spirituale", che viene trasferito a Puna (India) il 21 marzo 1974, in occasione del ventunesimo anniversario della sua illuminazione.
Riconosciuto da quanti vivono intorno a lui come "Maestro di Realtà", dopo un'intensissima esperienza americana, conclusasi tragicamente con il suo arresto e un avvelenamento, scoperto con analisi mediche solo nel 1987, Osho torna proprio in quell'anno all'Ashram di Puna. Qui crea un "laboratorio di crescita", il cui impatto ancor oggi richiama da ogni parte del mondo ricercatori del vero, consapevoli di trovare in questo habitat immerso nella meditazione quello stimolo essenziale per scuotere l'equilibrio interiore e spostare il centro dell'autoidentificazione dell'essere: dal senso di separatezza che generalmente ci contraddistingue, a un senso di profonda appartenenza alla vita.
Osho ha spiegato che il suo nome deriva dal termine "osheanic" coniato dal filosofo inglese William James, e da lui usato per indicare l'esperienza del "dissolversi nell'oceano dell'esistenza".
"Ma osheanic descrive solo l'esperienza" egli ha chiarito. "Come definire colui che fa quell'esperienza della vita ? Per definirlo usiamo il termine Osho."
osho2"O" significa profondo rispetto, amore e riconoscenza, come pure indica sincronicità e armonia. "Sho" significa espansione multidimensionale della consapevolezza, e il riversarsi dell'esistenza da ogni direzione.
Un suono, dunque, con forti eco nella nostra coscienza, più che una figura storica...così Osho ha voluto essere ricordato da quanti traggono ispirazione e alimento dalla sua visione, espressa nelle decine di migliaia di discorsi tenuti nel corso degli anni e pubblicati in centinaia di volumi.
A Puna, in India, la comunità sorta ispirandosi alla sua visione di un Uomo Nuovo è ancora fiorente; in essa ha sede una "Multiuniversità" che offre corsi e programmi di crescita interiore (
www.osho.com). Ma sopratutto, qui è possibile immergersi in un contesto di salute globale che rende chiaro il senso di un nuovo stile di vita fondato sull'armonia, la pace e la quiete interiore. A migliaia tutti gli anni persone provenienti da ogni parte del mondo, trascorrono in questa dimensione periodi più o meno lunghi, riconoscendo l'importanza di un'intima connessione col proprio essere per cogliere e accettare quel nulla e quel vuoto che sono il vero significato dell'esistenza.

 

Consigli per la vita", Dalai Lama, Armenia, 2006. 

dalai_lama_libroConsigli per la vita, parole di saggezza del maestro buddhista per sciogliere dubbi e interrogativi del nostro tempo. Questo l’ammonimento del Dalai Lama, pacato ma fermo nella sostanza (V.pdf intervista_al_dalai_lama 16.58 Kb). In realtà, l’uomo moderno dovrebbe semplicemente prendere atto che, benché i beni materiali siano estremamente utili, certamente non possono risolvere tutti i problemi. Il fatto che la nostra società materialista sia mentalmente irrequieta e frustrata dimostra che, dopo tutto, siamo solo esseri umani e, in quanto tali, molto diversi dagli oggetti inanimati. Per cui dovremmo rivalutare le nostre capacità interiori e i valori spirituali. Quale migliore occasione per riflettere su questi importantissimi temi se non quella di attingere alla sapienza del Dalai Lama. Ecco una serie di lezioni di vita forniteci dal capo spirituale del buddhismo tibetano. Ricordando il ruolo fondamentale della compassione e della non-violenza in nome della nostra innata bontà, le sue parole richiamano costantemente al senso di responsabilità per le nostre azioni e i loro risultati; ma soprattutto insegnano a vivere e a morire bene, infondendoci conforto per tutte le situazioni della vita e aprendo uno spiraglio di speranza per il futuro.


"Trasformare la Mente. Riflessioni su vita, amore e felicità", Dalai Lama, Oscar mondadori, 2005.
 
trasformare_la_menteNel suo stile tipicamente amichevole, semplice e strutturato, Sua Santità il Dalai Lama esamina in questo libro la natura della mente umana e sottolinea che esiste la possibilità di trasformarla in profondità per vivere un'esistenza più consapevole e piena.
Attraverso una serie di conversazioni che coprono un arco di nove anni, il Dalai Lama parla della sofferenza, della felicità, dell'amore e della verità, offrendo preziosi consigli di saggezza pratica su un arco di argomenti che spaziano dalla tolleranza religiosa all'economia mondiale. 

Il DALAI LAMA è il leader politico e spirituale del popolo tibetano, nonché la massima autorità spirituale della scuola Gelug del Buddhismo Tibetano. Le parole Dalai e Lama vengono normalmente tradotte come "Oceano di Saggezza".

 

 

Se incontri il buddha per la strada, uccidilo!», Kopp Sheldon, Astrolabio, 1975. 
seinilbupe"Uccidere il Buddha quando lo si incontra significa superare il mito del maestro, il mito del guru, il mito dello psicoterapeuta; significa rinunciare al ruolo di discepolo e distruggere la speranza che qualcun altro, all’infuori di noi, possa essere il nostro padrone." Sheldon B. Kopp.
Da sempre nel mondo gli uomini hanno intrapreso pellegrinaggi, viaggi spirituali, ricerche personali; da sempre sono andati in cerca dell'illuminazione, della pace, del potere, della gioia o dell'irrealizzabile. Nella loro ricerca della conoscenza, gli uomini hanno però confuso l'apprendimento con la conoscenza stessa e spesso hanno cercato aiuti, guaritori, e guide, insegnanti spirituali dei quali poter diventare discepoli. L'uomo di oggi, il pellegrino contemporaneo, desidera essere discepolo dello psichiatra. Se cercherà la guida di questo guru dei nostri giorni, l'uomo si troverà a intraprendere il proprio moderno perllegrinaggio spirituale. Nel suo viaggio il perllegrino, il viandante, il discepolo, impara soltanto che nessuno può insegliargli nulla. Appena sa rinunciare al suo ruolo di discepolo, impara che ha sempre saputo come vivere, che questa conoscenza ha sempre fatto parte della sua storia. Il segreto è che non ci sono segreti. Il monito del maestro Zen - "Se incontri il Buddha per strada uccidilo!" - insegna a non cercare la realtà in ciò che è esterno a noi. Uccidere il Buddha quando lo si incontra significa distruggere la speranza che qualcuno all'infuori di noi possa essere il nostro padrone. Nessun uomo è più grande di un altro. Dobbiamo imparare che per ognuno di noi la vita può diventare un pellegrinaggio spirituale, una ricerca, un esilio, senza fine. La nostra unica consolazione in questo viaggio è riconoscere in ogni uomo il nostro compagno di strada.«Se incontri il buddha per la strada, uccidilo!» è un koan e come tale non ha un significato preciso. Forse non ne ha nessuno, forse ne ha centomila. A me dice che tutti noi, più o meno consciamente, abbiamo introiettato un modello di perfezione, cui abbiamo dato un nome altisonante: «buddha», per esempio. Ma questo non è il vero buddha. È un idolo creato dalla nostra stessa mente. Una proiezione, insomma, ottenuta cambiando di segno ciò che in noi percepiamo come «negativo». Dopo aver disconosciuto quel che in effetti non è che il nostro lato oscuro, lo proiettiamo fuori di noi, in cinerama e col dolby surround, trasfigurandolo. Togliamo l'«im» dall'imperfezione e ci illudiamo, in questo modo, d'aver ottenuto la perfezione. In realtà, abbiamo creato una caricatura autoreferenziale. Uccidere questo buddha vuol dire volgersi finalmente verso la propria mente non per uniformarla a un «buddha» immaginario, ma per conoscerla così com'è, senza volerla ad ogni costo cambiare, e creando così lo spazio in cui il cambiamento diviene possibile. Ma questo non è il vero buddha. È un idolo creato dalla nostra stessa mente. Una proiezione, insomma, ottenuta cambiando di segno ciò che in noi percepiamo come «negativo».

Dello stesso autore altri due testi sempre di Astrolabio preziosissimi e purtroppo ormai introvabili:

Ripartire da uno  e Guru, metafore di uno psicoterapeuta (per i colleghi assolutamente da leggere!).

 

 

"Come diventare un Buddha in cinque settimane. Manuale (serio) di auto-realizzazione", Giulio Cesare Giacobbe, Ponte alle Grazie, 2005.

giacobbe_buddhaChiunque può diventare un buddha: non c'è bisogno di essere buddhisti, né di compiere pellegrinaggi in Oriente. Chiunque si applichi con volontà e costanza alla realizzazione dei poteri descritti in questo manuale, in cinque settimane può raggiungere l'illuminazione e realizzare lo stato di buddhità. Da anni Giacobbe studia il Buddhismo dal punto di vista della psicologia, e questo libro non è un prontuario di psicologia divulgativa facilona e superficiale. Riprendendo l'insegnamento originale del Buddha, lo ricostruisce in modo chiaro e semplice, rendendolo comprensibile e praticabile da tutti. Un libro rivolto a chi vuole conoscere i fondamenti del buddhismo in modo “serio” (come chiarisce subito lo stesso autore). Curiosità legittima poiché sempre più spesso noto che in ambiti formativi si espongono e si applicano concetti largamente presenti nell’insegnamento del buddha che, ricordiamo, risale al VI secolo a.c.
Il pregio principale del libro è porsi in un’ottica di ricerca di quello che è il nocciolo originale della dottrina buddhista, vale a dire un metodo pratico per ottenere un miglioramento sostanziale della propria vita.
Il punto di partenza dichiarato dall’autore è che le diverse tradizioni buddhiste hanno riportato il contenuto dell’insegnamento del buddha in maniera complicata (non esistono, infatti, testimonianze scritte direttamente dal buddha) dandogli una valenza religiosa prima e filosofica poi, senza tenere presente che si tratta “principalmente” di un insegnamento psicologico basato su un metodo scientifico. Affermazione in parte condivisibile visto il buddha stesso più volte ha sostenuto di non essere interessato ad inutili discussioni metafisiche che costituivano solo un appesantimento nel percorso di liberazione e di non essere ispirato da nessuna entità superiore, ma che tutte le sue realizzazioni e i suoi conseguimenti sono frutto dell’intelligenza dell’uomo. L’uomo e il come funziona la sua mente è quindi l’aspetto centrale in tutto l’insegnamento. Andare all’essenza pratica e utile; oltre le classificazioni...
Il buddha stesso in prima persona rifiuta il problema se trattasi di religione, filosofia o metodo psicologico ponendo sempre l’attenzione solo sul chiedersi criticamente da parte del praticante “se l’insegnamento funziona” e se migliora la vita…e non posso che essere d’accordo, per esperienza personale, con Giacobbe: funziona e bene.
Il nucleo dell’insegnamento originale del buddha sono le quattro nobili verità: l’esistenza della sofferenza, l’origine della sofferenza, la cessazione della sofferenza, il sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza.
La parola “sofferenza” ha in questo caso un significato più profondo rispetto a quello ordinario (spesso proprio per questo molto autori si rifiutano di tradurla in Italiano e usano il termine pali “dukkha”), ma include idee più profonde come quelle di “imperfezione” o “impermanenza”, e fa riferimento ad un assetto psichico di tipo nevrotico della personalità umana che tende continuamente a porsi in una condizione di insoddisfazione e di sofferenza mentale.
L’origine della sofferenza è, infatti, nell’attaccamento alla realtà e nell’ignorare la sua natura impermanente. La vita in sé non è dolorosa, ma la sua continua mutevolezza la rende imperfetta e insoddisfacente.
La cessazione della sofferenza avviene nel momento in cui si diventa consapevoli della natura impermanente della realtà e la si accetta.
La quarta nobile verità espone otto principi (ottuplice sentiero) da seguire per raggiungere la cessazione della sofferenza: retta comprensione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retti mezzi di sussistenza, retto sforzo, retta presenza mentale, retta concentrazione.
La retta comprensione è proprio ciò a cui si faceva riferimento prima: la realtà è un continuo cambiamento e ogni cosa è condizionata da tutte le altre quindi non possiamo attaccarci a nulla se vogliamo essere felici. Il non attaccamento porta alla liberazione dalla sofferenza e a raggiungere l’illuminazione (in altre parole la retta comprensione). In questo caso il non attaccamento non implica una passività (cosa di cui spesso si accusa il buddhismo) nell’approccio alla vita, ma spinge a non esasperare e a non essere schiavi dei propri sentimenti.
Il retto pensiero riguarda l’eliminazione di atteggiamenti mentali negativi (odio, ira, desiderio, ecc.) e il coltivare pensieri positivi (compassione, gentilezza, amore, ecc.).
La retta parola, la retta azione e i retti mezzi di sussistenza riguardano il tenere una condotta di vita che facilita l’attuazione degli altri principi contenuti nel sentiero. Interessante in questo caso il fatto di non fare riferimento ad una morale comune, ma solo alla necessità di evitare situazioni che possono generare in noi sensi di colpa. Quindi una “retta” condotta di vita non ha canoni standard, ma ha un significato diverso da persona a persona.
Il retto sforzo pone l’accento sulla volontà (condizione necessaria) di attuare gli otto principi. La retta presenza mentale consiste nel rivolgere la propria attenzione alla realtà del momento presente, in altri termini vivere la vita con “consapevolezza”. La retta concentrazione consiste nell’osservazione distaccata della mente (intesa come insieme dei nostri pensieri, emozioni e sensazioni), quindi cercare di comprendere il più possibile quali sono i propri meccanismi mentali con cui si percepisce la realtà.
Invito ad un percorso...
L’autore propone alla fine cinque poteri da ottenere uno dopo l’altro (uno a settimana!) e degli esercizi pratici per realizzarli: controllo della mente, presenza nella realtà, consapevolezza del cambiamento, non attaccamento e amore universale. Sostanzialmente propone una sequenzialità nel conseguire i principi dell’ottuplice sentiero.
Riassumendo il “buddhismo”, in accordo a quanto dichiarato dal buddha stesso, è quindi un “metodo” per sperimentare (da qui la giustificazione dell’aggettivo “scientifico”) la vera natura della realtà che ha lo scopo, raggiungibile attraverso il seguire alcuni principi base, di eliminare la “sofferenza” realizzando lo stato di buddhità, cioè uno stato permanente di serenità.
Il libro espone tutti questi concetti in modo conciso e semplice con un approccio apprezzabile in termini di chiarezza nell’esposizione senza appesantirli con una terminologia complessa che potrebbe spaventare chi vi si volesse avvicinare. Caratteristica spesso comune alla maggior parte dei manali classici di buddhismo.
A mio avviso l’autore riesce quindi in pieno nel suo intento principale: far conoscere l’insegnamento originale del buddha ad un pubblico di non “addetti ai lavori”. Per questo lo consiglierei a chiunque volesse avere un primo approccio teorico al buddhismo per poi scendere in profondità consultando altri testi.
Quello che invece personalmente non condivido è la banalizzazione di come (e con quali tempi) percorrere il famoso “sentiero”. Il capire il significato profondo delle quattro nobili verità e percorrere l’ottuplice sentiero richiede molto impegno e un grosso lavoro su se stessi che non si può certo risolvere in cinque settimane come invece viene promesso esplicitamente dall'autore. I cinque esercizi pratici proposti nel libro (uno a settimana) da fare per raggiungere la buddhità sono semplificazioni di pratiche reali che richiedono spesso anni per avere dei risultati. Inoltre la pratica meditativa, unico strumento pratico indispensabile e imprescindibile per ottenere “retta comprensione”, “retta concentrazione”, “retto pensiero” e “retta presenza mentale”, viene trattata in poche righe chiamandola “esercizio definitivo”. Non a caso il buddha ha raggiunto la sua illuminazione dopo giorni e giorni di meditazione continua…
In conclusione ho apprezzato molto il libro per il suo intento divulgativo e per la chiarezza e la fedeltà con cui ha esposto i fondamenti dell’insegnamento del buddha, ma avrei preferito più onestà intellettuale dell’autore nei confronti di chi volesse intraprendere questo percorso, facendo capire che non è semplice da percorrere e che non ci si possono aspettare risultati in poco tempo e soprattutto che serve molta forza di volontà (il “retto sforzo”).
Ma chi avrebbe comprato un libro chiamato “Impegnati una vita e forse diventerai un buddha…”? Però il senso vero del buddhismo è proprio questo: un percorso di miglioramento che ti accompagna tutta la vita, che ti può dare tanto se però sei disposto a metterti in gioco completamente (idee, emozioni e sentimenti).

 

"La convinzione diffusa in Occidente che le filosofie orientali costituiscano in qualche modo delle sugggestioni per la psicoterapia se non addirittura dei veri e propri sistemi psicoterapeutici è, come tutte le convinzioni, in parte vera in parte falsa. È vera per il Buddhismo, falsa per lo Yoga. Non approfondiamo le altre dottrine orientali classiche come il Brahamanesimo, il Vedanta, il Taoismo, il Confucianesimo, perché la loro cifra è più filosofica che psicologica e quindi la loro valenza terapeutica, dal punto di vista tecnico, quasi del tutto trascurabile. La non funzione terapeutica dello Yoga è di più difficile persuasibilità. Troppe palestre, troppi libri, troppi maestri, troppi discorsi hanno infarcito l’Occidente sulla ipotetica valenza terapeutica dello Yoga per poter demolire questa convinzione con poche parole. Non volendo essere questo articolo un trattato sulla non terapeuticità dello Yoga, mi limiterò a poche osservazioni fondamentali che per il lettore intelligente possono essere più che sufficienti. Lo Yoga antico ed originale, il Raja Yoga, risalente a più di duemila anni fa, esposto nel trattato principe dello Yoga, gli Yoga Sutra di Patanjali (III sec. a.C.), ha come esplicito ed unico fine la realizzazione di uno stato di trance (Kaivalya) in cui si ha la sola percezione di esistenza e di beatitudine (SatChitAnanda) che viene raggiunto attraverso un’ipossia cerebrale controllata (PranaYama) e viene assunto come unione (Yoga) con l’Assoluto. Lo stesso Buddha, che dedicò quattro anni alla pratica dello Yoga, riconobbe che la trance yogica non è risolutiva per la sofferenza nevrotica, in quanto temporanea ed avulsa dalla realtà quotidiana. Lo Yoga moderno, lo Hata Yoga, fondato nel XVI secolo ed esposto nello Hata Yoga Pradipika di Svatmarama, da cui derivano tutte le versioni da palestra praticate oggi, ha lo stesso fine ma tenta di raggiungerlo attraverso un orgasmo sessuale in cui viene inibita l’eiaculazione fino al deliquio. Nelle palestre quest’ultima parte viene tralasciata (snaturando lo Yoga del suo fine precipuo) e vengono semplicemente praticate le tecniche fisiologico-ginniche preparatorie, che nulla hanno di psicoterapeutico. Anche la filosofia naturalistica elaborata in epoca recente a complemento dello Hata Yoga, consistente nel considerare l’energia vitale individuale una particella dell’energia cosmica alla quale essa si unisce in un atto estatico coinvolgente sia il piano fisico che quello psichico (che di fatto non possono essere separati), al quale gli adepti tendono confusamente senza mai realizzarlo perché gli è stato sottratto il mezzo tecnico per farlo (l’orgasmo), non costituisce una psicoterapia. Una psicoterapia può invece essere considerata il Buddhismo originale, ossia l’insegnamento del Buddha. Diciamo subito che, come tutte le terapie psicologiche, essa non è esasustiva. Nessuna lo è, d'altronde. La psicoterapia buddhista agisce principalmente sul cosciente e non sull’inconscio, e quindi ha tutte le limitazioni delle psicoterapie cognitive. Essa è efficace soltanto con quei soggetti che hanno conservato la funzione dell’autocoscienza, quindi soltanto nelle nevrosi non avanzate fino al limite del border line. Ma nell’ambito di quelle esso è particolarmente efficace, più di altre terapie cognitive. L’eliminazione della sofferenza era stato lo scopo esplicito dell’insegnamento di Buddha. Che si tratti della sofferenza nevrotica è evidente. La sofferenza naturale, infatti, conseguente alla perdita di una persona cara, a un insuccesso, a una sconfitta, non necessita di un intervento terapeutico perchè ha una durata temporanea. La sofferenza di cui si occupò il Buddha è la sofferenza che ci portiamo dietro per lunghi, troppo lunghi periodi o addirittura per tutta la vita. Cioè la sofferenza cronica. Ma la sofferenza cronica non è normale. È patologica. È appunto la sofferenza nevrotica. Di questa sofferenza, si occupò il Buddha. La sua dottrina costituisce quindi, già nell’intento, una psicoterapia. La natura pratica e non teorica dell’insegnamento di Buddha, e quindi il suo costituire appunto una tecnica psicologica, è rimarcato dalla stessa tradizione, che attribuisce al Buddha questa dichiarazione:
«“Benché il mio insegnamento non sia un dogma né una dottrina, certo alcuni lo intendono così. Devo spiegare chiaramente che insegno un metodo per sperimentare la realtà, e non la realtà medesima, così come un dito che indica la luna non è la luna. Una persona intelligente seguirà la direzione indicata dal dito per vedere la luna, ma chi vede soltanto il dito e lo scambia per la luna non vedrà mai la luna reale. Io insegno un metodo da mettere in pratica, non qualcosa in cui credere o da adorare. Il mio insegnamento si può paragonare a una zattera che serve ad attraversare un fiume. Solo uno stolto rimarrà abbarbicato alla zattera una volta che sia approdato all’altra sponda, alla sponda della liberazione.”»

Il protocollo terapeutico adombrato nel Dharma, l’insegnamento originale del Buddha, non è facile da individuare. Prima di tutto perché non è facile da individuare lo stesso insegnamento originale nella enorme letteratura buddhista.
Ma anche se ci limitiamo a prendere in considerazione le uniche enunciazioni sicuramente attribuite al Buddha in tutti i Canoni, antichi e moderni, e quindi risalenti molto probabilmente al Buddha stesso, le Quattro Nobili Verità e gli Otto Nobili Sentieri, il compito non è facilissimo. Tuttavia sono riuscito a distillare il procedimento che il Buddha ci voleva trasmettere. Ed ho scoperto che esso è effettivamente anche formalmente una psicoterapia. L’enunciazione delle Quattro Nobili Verità costituisce infatti una premessa diagnostica che accerta l'esistenza della sofferenza nevrotica, ne individua le cause e ne stabilisce la terapia.
Essa infatti stabilisce
1 l'esistenza della patologia (diffusione della sofferenza cronica);
2 la diagnosi eziologica (individuazione delle cause);
3 l'indicazione terapeutica (eliminazione delle cause);
4 la modalità terapeutica (gli Otto Nobili Sentieri).
Gli Otto Nobili Sentieri costituiscono invece il protocollo terapeutico della psicoterapia proposta dal Buddha. Tradizionalmente essi sono, nell’ordine, Retta Comprensione, Retto Pensiero, Retta Parola, Retta Azione, Retti Mezzi di Sussistenza, Retto Sforzo, Retta Presenza Mentale, Retta Concentrazione.
Retta Parola, Retta Azione, Retti Mezzi di Sussistenza (professione), costituiscono precetti morali e quindi, a rigori, non rientrano nel protocollo terapeutico.
Il Retto Sforzo è finalizzato alla realizzazione della Retta Concentrazione.
Quindi propriamente il protocollo terapeutico buddhista è costituito da:
1 Retta Comprensione
2 Retto Pensiero
3 Retta Presenza Mentale
4 Retta Concentrazione
La Retta Comprensione consiste nella scoperta dell’impermanenza e interdipendenza dei fenomeni, ossia del fatto che tutte le cose dell’universo cambiano continuamente e sono tutte interconnesse fra loro (scoperte fatte anche recentemente dalla nostra fisica e note come dinamicità di campo ed effetto Butterfly). Essa costituisce la famosa illuminazione.
Il Retto Pensiero consiste nella eliminazione dei pensieri involontari negativi (indirizzati alla separazione) e nella costruzione volontaria di pensieri positivi (indirizzati all’unione).
La Retta Presenza Mentale consiste nella presenza nella realtà, ossia nel volgere l’attenzione alla realtà, fuori della mente nevrotica.
La Retta Concentrazione consiste nell’attivazione della funzione cerebrale dell’autoosservazione psichica, capace di renderci consapevoli della nostra stessa dinamica nevrotica.
Se ordiniamo la sequenza suriportata secondo un criterio scientifico di consequenzialità psicologica e quindi operativa, raggruppiamo Retto Pensiero e Retta Concentrazione sotto la voce controllo della mente ed aggiungiamo ad essa due parametri psicologici, il non attaccamento e l’amore universale, ampliamente riportati dalla tradizione buddhista e quindi attribuibili all’insegnamento originale del Buddha, abbiamo la seguente sequenza:
1 Controllo della mente (Retto Pensiero e Retta Concentrazione)
2 Presenza nella realtà (Retta Presenza Mentale)
3 Consapevolezza del cambiamento (Retta Comprensione)
4 Non attaccamento
5 Amore universale
Questa sequenza costituisce un protocollo terapeutico di grande momento.
Infatti il controllo della mente permette al nevrotico di eliminare o quanto meno di tenere sotto controllo il pensiero tensivo compulsivo, che costituisce la materia stessa della sua nevrosi.
Il controllo della mente conduce tradizionalmente al vuoto mentale, che permette di rivolgere interamente e sistematicamente l’attenzione alla realtà, con la quale di realizza la consapevolezza del cambiamento, la quale dà luogo al non attaccamento e all’amore universale (in quanto privo di interesse egoistico).
Un soggetto liberato dal pensiero tensivo compulsivo di natura nevrotica, rivolto alla realtà, adattato al cambiamento, liberato dagli attaccamenti generatori di sofferenza e rivolto all’amore è indubbiamente un soggetto liberato dalla nevrosi.
Abbiamo così che il protocollo buddhista, sia pure con le limitazioni già dette, è un protocollo ben utilizzabile a livello terapeutico.
Senza alcuna limitazione esso è poi naturalmente utilizzabile a livello preventivo.
L’esposizione dettagliata della genesi logica e storica di codesto protocollo costituisce precisamente l’argomento di un mio libro di prossima pubblicazione dal titolo Come diventare un buddha.
Si tratta pur sempre però, occorre non dimenticarlo, dell’insegnamento originale del Buddha e non della religione e della filolsofia buddhista che sono sorte dopo il suo insegnamento.
Esse infatti non costituiscono, come nessuna religione e nessuna filosofia, delle psicoterapie ma degli approcci alla divinità e alla conoscenza."
                                                                                       Giulio Cesare Giacobbe

Giulio Cesare Giacobbe, psicologo e dottore in filosofia, ha praticato analisi personale e formazione in psicoterapia presso l’Istituto di Psicosintesi a Firenze. Insegna Fondamenti delle discipline psicologiche orientali presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova, dove vive e lavora. Ha scritto due libri : ‘Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita’, che ha avuto un grande successo editoriale, così come 'Alla ricerca delle coccole perdute' dell'Editore Ponte alle Grazie, uscito nel 2004 e 'Come diventare bella, ricca e stronza', ed. Mondadori.

 

"L’arte di persuadere. Teorie, dinamiche e modelli della persuasione", Giancarlo Signorini, Pendragon, 2004.
signoriniCome si fa a persuadere qualcuno spingendolo a compiere una determinata azione? Perché spesso noi stessi ci troviamo a prendere decisioni che sembrano andare contro la nostra volontà? Con L’arte di persuadere Giancarlo Signorini cerca di rispondere a queste domande passando in rassegna le teorie e le correnti di pensiero cognitiviste, comportamentiste, psicosociali e psicodinamiche. È un manuale indirizzato sia agli addetti ai lavori sia a coloro che vogliono trovare idee, spunti, teorie utili per conoscere e utilizzare al meglio (o per difendersi da) la comunicazione persuasiva.

 

 

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