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Il più forte desiderio di ogni essere umano è il bisogno di essere apprezzato. Karl Albrecht 

                         
Fonti e spunti per una

 

PSICOTERAPIA ECLETTICA

 

 

Oltre alle teorie cognitiviste e costruttiviste che hanno lasciato un'impronta indelebile nella mia conoscenza e anche una certa influenza nella mia pratica terapeutica, è altrettanto innegabile che la Psicologia in generale debba molto alla Psicologia Dinamica.

 

Originariamente le parole erano magie e, ancor oggi, la parola ha conservato molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice l'altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l'insegnante trasmette il suo sapere agli allievi, con le parole l'oratore trascina con sé l'uditorio e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo comune con il quale gli uomini si influenzano tra loro. Non sottovaluteremo quindi l'uso delle parole nella psicoterapia.                                 Sigmund Freud 

                                     da Introduzione alla psicoanalisi, 1915/17


 

Per sciogliere i sintomi diventa indispensabile risalire fino alla loro origine, rinnovare il conflitto dal quale sono scaturiti e, con l'aiuto di quelle forze motrici che a suo tempo non erano disponibili, indirizzarlo verso uno sbocco diverso.
Ibid. 

 

freudLa Psicologia Dinamica si fonda sul concetto di Pulsione. Il termine pulsione è utilizzato da Freud per indicare un fattore diverso e diversificabile dall'istinto: quest'ultimo è un comportamento animale fissato dalle leggi dell'ereditarietà, caratteristico della specie e preformato. La pulsione invece è una costituente psichica in grado di produrre uno stato di eccitazione che spinge l'organismo all'attività. La pulsione si differenzia dallo stimolo per il fatto di trarre origine da fonti di stimolazione interne al corpo, da cui l'individuo non si può sottrarre. Il concetto di pulsione è al limite tra psichico e somatico. Per comprendere appieno l'importanza del concetto di pulsione è opportuno accennare alla teoria freudiana dello sviluppo sessuale, ed al concetto di "narcisismo" a questa collegato. 03

Nel 1905 Freud pubblica i "Tre saggi sulla teoria sessuale" (1905): nel secondo di questi affronta il problema della sessualità infantile. Freud afferma che bocca e stadio orale sono il primo sviluppo della sessualità infantile la quale si sviluppa sulla fisiologia, è autoeorica e non conosce oggetti. Le fasi dello sviluppo della sessualità infantile vengono espresse come segue: vi sarebbe dapprima una fase di autoerotismo, durante il quale ogni parte del corpo può essere con­siderata erogena ma la cui sede abituale è la bocca, la cui mucosa esprime la sessualità e la soddisfazione di questa nell'attività allatt_gdella suzione (fase orale). A questa segue la fase anale, durante la quale il trattenere le feci rappre­senta la massima fonte di soddisfazione. Segue infine la fase genitale che può essere evidenziata dalla masturbazione in senso lato (l'infante tende a giocare con il suo organo genitale). Il bambino per Freud durante queste fasi è un "polimorfo perverso", ovvero in lui sono presenti, almeno potenzialmente, tutte le perversioni. Sarà solo nella pubertà che il bambino potrà passare dalla condizione di auto-erotismo a quella di amore oggettuale, dalle pulsioni parziali alla loro integrazione; il proprio corpo ed il seno della madre sono il primo, indifferenziato, oggetto d'amore: dopo lo svezzamento la sessualità regredisce allo stato autoerotico, e solo successivamente sarà, di nuovo, rivolta ad oggetti esterni. Questa visione dello sviluppo, pur avendo dato adito a molte avversioni, ha lasciato un segno indelebile nella Psicologia moderna.

300px-freud_sofa1Nei "Tre saggi" viene espressa la teoria della "libido", termine che era già in uso, così come quelli di auto-erostimo e zona erogena. Il modello della libido, o "pulsione sessuale", era già stato tracciato da Platone, con il quale Freud condivide anche l'idea dell'originaria bisessualità degli esseri umani (il mito platonico dell'androgino). Anche che la pulsione sessuale fosse, originariamente, rivolta verso il pro­prio corpo anziché su oggetti esterni era un'idea già espressa da Ellis, che aveva già parlato sia dell'autoerotismo che del narcisismo.

divano_freudÈ comunque Freud che pone la costruzione teorica in una sistematizzazione coerente. Freud costruisce dunque la sua teoria sullo sviluppo sessuale che definisce la sessualità infantile come "polimorfa perversa". Quest'idea nacque in Freud in considerazione del fatto che egli riteneva la configurazio­ne della sessualità adulta normale non come una necessità naturale ma come fenomeno culturale. Freud riteneva che il bambino fosse, per natura, orientato in senso narcisistico, ovvero sul proprio corpo, con una grande capacità di godimento fisico hall_freud_jung_in_front_of_clark_1909che solo successivamente veniva concentrata su di un or­gano particolare (i genitali) e subordinandola ad una meta (la funzione genitale, ovvero la procreazione) che è imposta non dal principio di piacere ma dafreudsmall quello di realtà. Dunque il lungo periodo dell'infanzia umana, con l'intensità delle cure materne che lo accompagnano e con il lungo prolungamento di queste, comporta l'intensa fioritura della sessualità infantile che deve però ridimensionarsi quando viene a contatto con il principio di realtà, frutto dell'educazione e della cultura. È opportuno altresì soffermarsi sul concetto di narcisismo primario poiché è particolarmente importante ai fini della comprensione della concezione di Freud in merito ad oggetti e pulsioni. Il termine narcisismo appare per la prima volta, in Freud, nel 1909, per spiegare la scelta oggettuale degli omosessuali.

1188640017amul_thumb95Il termine è ripreso da Havelock Ellis (1897) che lo aveva usato (Narcissus-like) per indicare un atteggiamen­to psicologico, l'amore verso l'immagine di se stessi, con un preciso riferimento al mito di Narciso. Nel 1914 Freud introduce il termine in uno scritto apposito. Freud infatti aveva presupposto l'esistenza di una fase dell'evoluzione sessuale, quella appunto del narcisismo, intermedia tra quella dell'autoerotismo e quella dell'amore oggettuale. Quello che Freud definisce narcisismo primario è utatafioreno stadio evolutivo precoce durante il quale il bambino investe tutta la sua libido su se stesso: l'io, in questo caso, è posto alla stregua di un oggetto esterno. Credo si possa esprimere nella maniera migliore ciò che Freud con precisione intende per narcisismo primario citando le parole stesse di Freud: "[...] Ci formiamo [...] il concetto di un investimento libidico originario dell'Io di cui una parte è ceduta in seguito agli oggetti, ma che in sostanza persiste ed ha con gli investimenti d'oggetto la stessa relazione che il corpo di un organismo ameboidale ha con gli pseudopodi che emette" (1914). Il narcisismo secondario designerebbe invece un ripiegamento sull'io della libido, sottratta ai suoi investimenti oggettuali. Anche il termine auto erotismo è ripreso da H. Ellis: Freud nei "Tre saggi sulla teoria sessuale" utilizza il termine per descrivere la sessualità infantile in uno sta­dio talmente precoce da essere addirittura antecedmain-freudente alla fase del narcisismo primario: le pulsioni sessuali, in questa fase, si soddisfano ciascuna per proprio conto, ciascuna attraverso componenti parziali. In seguito Freud abbandonerà, in pratica, la distinzione tra auto-erotismo e narcisismo, facendo coincidere tali fasi nell'evoluzione della sessualità. Comunque, in genere, Freud designa come narcisismo primario quella fase nella quale il bambino assume se stesso come oggetto d'amore, prima di scegliere oggetti esterni. Il periodo durante il quale questa fase si sviluppa sarebbe il primo stadio della vita, antecedente alla costituzione dell'io, ed il cui archetipo è quello della vita intrauterina. m060102sigmundfreuda0wr

Il concetto di narcisismo pone Freud, che lo ha introdotto, in difficoltà e determina una radicale trasformazione della originaria teoria pulsionale, che contemplava la contrapposizione tra principio di piacere e di realtà, verso la formulazione definitiva di questa, che vede la contrapposizione tra istinti di vita (eros) e di morte (thanatos), espressa in "Al di là del principio di piacere" (1920): si può riconoscere questa difficoltà nel fatto che è necessario spiegare come mai l'istinto puberty4ppsessuale possa trovare (o addirittura perché debba ricercare) il piacere fisico in una forma appropriata di unione con la realtà esterna, con l'altro: anche Freud si accorge che l'essere umano non ama solo se stesso, come riteneva, ma anche la madre che si prende cura di lui; Freud non riusciva cioè a spiegarsi, l'attaccamento della libido agli oggetti: "[...] possiamo addirittura porci il problema di dove sorga la necessità per la nostra vita psichica di andare oltre le frontiere del narcisismo e di applicare la libido agli oggetti. Attenendoci al nostro orientamento di pensiero dovremmo rispondere ancora una volta che tale necessità interviene quando l'investimento dell'io ha oltrepassato una certa misura." (1914). È quindi co017me qualcosa che trabocca, che non può ulteriormente essere trattenuto. Nell'impostazione concettuale di Freud il principio di realtà comincia dunque a non essere più così distinto dal principio di piacere: il principio di piacere, per esprimersi, necessita della presenza di un oggetto esterno. Freud ritenne tuttavia di essere posto in difficoltà dal concetto di narcisismo poiché se la libido narcisistica è rivolta verso il soggetto, allora non è possibile di­stinguerla dall'istinto di auto conservazione. Narcisismo, pulsioni ed osediaggetti sono dunque concetti strettamente correlati.

Il termine "oggetto" ha, nella psicoanalisi freudiana, almeno due diversi significati. Il primo è quello correlato alla pulsione: l'oggetto è ciò in cui e con cui la pulsione tende a raggiungere la soddisfazione. Analizzando il concetto di pulsione, Freud distinse oggetto e meta: l'oggetto, in questo senso, è il mezzo contingente di soddisfacimento: "[...] è l'elemento più variabile del­la pulsione, non è originariamente collegato ad essa, ma le è assegnato soltanto in forza della suamotherandbaby01 proprietà di rendere possibile il soddisfacimento". (1915). Una siffatta definizione delle pulsioni e degli oggetti comporta, fondamentalmente e costantemente nell'opera di Freud, il carattere contingente ed "accessorio" degli oggetti: la libido, in altri termini, per Freud è alla ri­cerca del piacere, è in origine completamente orientata verso il soddisfacimento e verso la risoluzione delle tensioni. L'oggetto esiste co6168321-lgme mezzo di de-tensione pulsionale. Il secondo significato del termine "oggetto" indica un qualcosa che prescinde dalla pulsione, ammesso che questa possa essere considerata in maniera indipendente rispetto agli oggetti: e designa ciò che per il soggetto è oggetto di attrazione e di amore. Ma questa seconda concezione, in Freud, è particolarmente sfumata, ed interessa fasi più tardiv12_me dello sviluppo: solo alla pubertà, infatti, interviene per Freud la scelta ogget­tuale. Nel bambino infatti le pulsioni vengono considerate parziali, ed i concetti di "auto-erotismo" e "narcisismo" indicano ambedue l'assenza di un orientamento oggettuale vero, rivolto verso l'atro. L'idea di pulsioni parziali introduce dunque un ulteriore aspetto del problema: spinge cioè a distinguere un oggetto propriamente pulsionale ed un oggetto d'amo10835_a25780re vero e proprio: il primo è quello capace di procurare il soddisfacimento della pulsione in causa; il secondo è quello che soggiace alla dualità degli istinti e delle pulsioni di vita e di morte. Se l'oggetto parziale può essere considerato uno dei poli insuperabili della pulsione sessuale, d'altra parte la psicoanalisi freudiana pone anche l'oggetto totale inserito in una prospettiva narcisistica, ovvero come replica dell'io. Sappiamo infatti che l'io, nel narcisismo, è definito esso stesso come oggetto d'amore, e può, nella concezione di Freud, essere addirittura considerato prototipo di ogni ulteriore oggetto d'amore. allattamento-al-seno

Quella che à stata definita teoria delle pulsioni contiene alcune tra le intuizioni più importanti di Freud, così come alcuni dei maggiori difetti teorici. È ciò che ha spinto molti ad un tentativo di abbandono della teoria stessa delle pulsioni, la quale, tuttavia, ha un enorme significato nella costruzione psicoanalitica intera. [Sarebbe alquanto interessante integrare la "teoria del desiderio" formulata da Freud con la "teoria del desiderio mimetico" di René Girard e ancor di più vedere  confrontandola, la teoria buddhista del desiderio, ma ciò ci porterebbe troppo lontani].

La teoria delle pulsioni, così come formulata da Freud, può cogliersi nella sua interezza, e nelle sue conseguenze, nella teoria che venne successivamente klein-melanieformulata da Melanie Klein (1921-1958). Vi sono, in questa, delle differenze rispetto alla psicoanalisi freudiana, ma sono più apparenti che reali: la teoria delle pulsioni è infatti sostituita, almeno nei termini, dalla teoria dell'oggetto e quindi lo sviluppo emozionale sembra caratterizzato dalle relazioni oggettuali più che dallo sviluppo pulsionale. Inoltre la Klein parla di fantasie più che di rimozioni e definisce compito della psicoanalisi l'interpretazione di esse fantasie più che quella delle difese contro le pulsioni inconsce. I termini di "relazione oggettuale" e di "fantasia" sembrerebbero indicare una strutturazione teorica sensibilmente diversa rispetto a quella freudiana: tuttavia, per Klein, la dualità delle pulsioni di vita e di morte è operante sin dalle primissime fasi della vita e si espri­me sull'oggetto "seno", il primo oggetto del bambino, che viene ad essere scisso in senoallattare-seno-tonico buono (quello che nutre) e seno cattivo (quello che si ritira o si rifiuta). Analoga sorte subiscono tutti gli oggetti, sia quelli parziali che quelli totali, in un vero e proprio circolo vizioso in virtù del quale il bambino proietta il suo amore sull'oggetto buono e la sua aggressività su quello cattivo ed introietta l'amore dell'oggetto buono e la persecutorietà di quello cattivo. Lo sviluppo dell'io è un processo di contallattamento20al20senoinue introiezioni e proiezioni. Klein, al posto delle fasi dello sviluppo di Freud, introduce il termine di posizione: nei primi quattro mesi di vita il bambino attraversa, per Klein fisiologicamente, la posizione schizoparanoidea ovvero una fase di sviluppo durante la quale dominano i meccanismi di scissione dell'oggetto (schizo) ed il carattere persecutorio (paranoideo) di esso oggetto; tale prima fase viene "superata" da quella che Klein definisce "posizione depressiva" che si costituisce appunto al quartopsicoanalisi23 mese di vita e che è caratterizzata da una attenuazione della scissione poiché il bambino scoprirebbe che seno buono e seno cattivo sono nient'altro che il medesimo seno: la madre cioè comincia ad es­sere percepita non come oggetto parziale ma come oggetto totale, con l'unica differenza però che l'angoscia, anziché persecutoria, diviene depressiva (per il pericolo che il bambino avvertirebbe di poter distruggere la madre nella sua totalità a causa del proprio sadismo). Anche la posizione successiva, che Klein definisce riparatoria, consisterebbe nel ripristino dell'integrità dell'oggetto-madre che avviene attraverso difese maniacali, oppure attraverso una realizzazione onnipotente, o ancora attraverso meccanismi ossessivi o, nella migliore delle ipotesi, attraverso il processo breastfeedingbabydi sublimazione: meccanismi tutti, comunque, dettati da un originario ed irrisolvibile senso di col­pa.

La madrina del battesimo del neonato kleiniano è dunque la pulsione di morte freudiana, la cui intollerabile malvagità può essere sostenuta solo attraverso la scissione dell'oggetto in seno buono e seno cattivo. Il successivo adulto, sviluppatosi da siffatta teoria, vivrà un'esistenza tragica, nel continuo ed altrettanto inutile tentativo di riparazione dei danni immaginari prodotti dall'odio e dall'invidia, tentativo comunque destinato al più totale insuccesso. Tutto nasce, ancora una volta, dall'innato istinto di morte; tutto allattamentoswsi svolge attraverso il meccanismo della proiezione di esso istinto su ipotetici oggetti i quali sembrano non avere, di per sé, alcuna capacità o coloritura affettiva. L'io, di fronte all'istinto di morte, lo deflette proiettandolo sul seno.

Si deve quindi considerare che Klein ignora totalmente il concetto di desiderio e, tanto meno, la possibilità di soddisfazione di esso. Ovvero: parlare in termini coerenti di rapporto oggettuale significa considerare l'esistenza di due soggetti diversi, in rapporto tra loro; ciascuno dei due con proprie carat­teristiche umane che non possono essere intese esclusivamente nei termini di presenza-assenza (fisica): il seno non è necessariamente buono solo in virtù del fatto di essere presente, così come non può essere considerato cattivo perché assente.

eugenio_gaddini_1Gaddini (1984) ha sottolineato la possibilità dell'assen­za della madre ma anche che una madre fisicamente presente (che definisce biologica) non sia in grado di essere anche madre psicologica; analogamen­te, l'assenza fisica può essere presenza psichica (immagine interiore), e ciò accade se il seno che nutre ha soddisfatto il desiderio del bambino. Glover (1945) ha criticato duramente il sistema concettuale della Klein: "[...] Invece che il trauma della nascita di Rank ci viene offerto il "trauma d'amore" del terzo mese (cioè ilallattamento_seno trauma della posizione depressiva) che influenza lo sviluppo successivo, come Rank pensava per il trauma della nascita [...] A mio parere il concetto del trauma d'amore del bambino di tre mesi, dovuto alla immaginaria distruzione ingorda di una madre che il bambino realmente ama, è una variante delle dottrina del peccato originale". Lichtenberg (1984) ha sottolineato come non vi sia pressoché alcun riscontro della fantasia kleiniana di distruzione proiettata sul seno ed introiettata attraverso il latte avvelenato, così come non vi è alcuna evidenza di invidie primarie.

dire_11267801_23430Si può cogliere, nella Klein, una contrapposizione, che però solo successivamente sarà realmente sviluppata da altri autori, tra teorie pulsionali e teorie oggettuali: come però abbiamo già detto, a noi pare che questa contrapposizione non sia così reale. Sebbene infatti la Klein rifiuti il concetto di narcisismo primario, in realtà le relazioni oggettuali del neonato sono dominate da quello che Freud aveva definito sadismo originario (che al narcisismo primario è intimamente collegato), come espressione mentale dell'istinto di morte. Una contrapposizione quindi tra pulsioni e relazioni oggettuali più apparente che reale.

La concezione freudiana delle pulsioni e degli oggetti had1475i36782h110628 sollevato obiezioni che possono essere riassunte utilizzando la distinzione proposta da Fairbain: la libido è alla ricerca del piacere oppure, primariamente, dell'oggetto in quanto tale? Il termine "relazione oggettuale" compare raramente in Freud, e certamente il relativo concetto non appartiene alla sua metapsicologia. A partire dagli anni '30 tuttavia tale concetto ha assunto una sempre maggiore importanza; per Balint, ad esempio, tutti i termini della psicoanalisi, ad eccezione appunto del termini "oggetto" e "relazione oggettuale", si riferiscono all'individuo da solo (per usare l'espressione introdotta da Rickman ad una "one-body psychology").
Analogamente, Spitz ha notato come Freud abbia affrontato il problema dell'oggetto libidico dal solo punto di vista del soggetto.
allattamento-seno

La maggiore attenzione posta al concetto di "relazione oggettuale" nel senso di Fairbain comporta un cambiamento radicale di prospettiva sia in campo teorico che clinico. Il cambiamento riguarda diversi aspetti: nella concezione di Freud, l'oggetto non è caratterizzato da altra condizione se non quella di procurare il soddisfacimento. Inoltre, solo un preciso oggetto, per ogni individuo, od un suo sostituto, puòbergognonep procurare tale soddisfacimento: Freud infatti sostiene che la scoperta di un oggetto è sempre una riscoperta. Nelle concezioni successive a Freud viene ridimensionata l'importanza delle pulsioni e l'attenzione viene posta maggiormente sulle qualità dell'oggetto. I concetti di fonte pulsionale e meta (ovvero soddisfacimento) perdono im­portanza, mentre ne acquista il concetto di relazione. La libido dunque ricer­ca in primis la relazione, e non semplicemente la soddisfazione come de-tensione pulsionale. Inoltre, risulta modificato anche lo "status" dell'oggetto, nel senso di una mancanza di unicità individuale: la relazione oggettuale si presenta infine come un concetto "olistico" e differenziatore nello sviluppo della personalità. bimbi-piu-intelligenti-se-allattati-al-seno

La teoria pulsionale di Freud, la preminenza del soddisfacimento pulsionale ed il concetto di "narcisismo primario" sono stati profondamente modificati dalla successiva ricerca psicoanalitica; il contributo della psicologia dell'io, formulata da Hartmann, è inerente l'affermazione che determinate funzioni dell'io si sviluppano in maniera autonoma rispetto al soddisfacimento pulsionale, ed è evidente che tali formulazioni si sono sviluppate in conseguenza di inadeguatezze implicite nella teoria pulsionale freudiana di cui possono essere considerate tentativi di correzione. La psicologia dell'io cioè propone breastcrawl-recommendationsuna alternativa all'ipotesi freudiana che il pensiero si sviluppi poiché il tentativo di "allucinazione del seno" (1899) fallisce, implicitamente affermando che qualora l'allucinare il seno riuscisse, il pensiero e l'io non potrebbero svilupparsi; inoltre le formulazioni di Hartmann si pongono come tentativo di correzione delle incompatibilità esistenti tra la specifica teoria freudiana e la realtà dei processi maturativi e come tentativo quindi di conciliazione tra la teoria psicoanalitica e la realtà biologica e fisiologica che la teoria pulsionale freudiana contraddiceva.

 

La teoria delle relazioni oggettuali, nata allo scopo di 8-attachment-styleaffermare l'autonomia delle relazioni d'oggetto rispetto alle pulsioni, si è spinta sino al rifiuto pressoché totale della teoria pulsionale stessa. Se la psicologia dell'io tendeva a mantenere intatta la validità della teoria delle pulsioni, la teoria delle relazioni oggettuali sostituiva il primato pulsionale con la tendenza alla ricerca dell'oggetto.

È, almeno inizialmente, nella tradizihandsclippedone del pensiero kleiniano che si pone il pensiero di Fairbain (1952) il quale sostituisce in maniera pressoché totale il concetto freudiano di pulsione con quello di "relazione oggettuale", sostenendo che l'indagine psicopatologica deve essere indirizzata allo studio, anziché delle pulsioni, degli oggetti verso i quali esse pulsioni sono dirette. Fairbain sostenne che "la libido ricerca l'oggetto e non il piacere", affermando contemporaneamente che le relazioni oggettuali sono primarie ed autonome e non semplicemente conseguenza secondaria del sod­disfacimento, con ciò contraddicendo l'idea freudiana secondo la quale l'oggetto altro non sarebbe se non il mezzo, lo strumento, attraverso cui la pulsione realizza il proprio scopo.

2Gli assunti della teoria di Fairbain possono essere considerati i seguenti:
1) Vi sarebbe una progressiva evoluzione da uno stato di relativa mancanza di differenziazione tra sé ed oggettti verso una condizione di crescente differenziazione.
2) Caratteristica di tale evoluzione sarebbe il senso crescente della propria separatezza.
3) Vi sarebbe una progressiva acquisizione di capacità relazionali sempre più valide basate sul senso di separatezza.
4) Il tempo di tale evoluzione sarebbe quello della vita precoce, il luogo quello della relazione madre-bambino.
5) La psicopatologia si configurerebbe come conseguenza di alterazioni del rapporto tra madre e bambino e quindi di difficoltà nello svolgersi dello sviluppo preedipico piuttosto che edipico.

D'altra parte Balint (1937) già aveva sostenuto che esistono precocemente relazioni oggettuali, ad esempio nel lattante, quindi un "amore oggettuale primario" sarebbe in pratica inconciliabile con la nozione di narcisismo primario: separatezza e rapporto intersoggettivo sono i risultati comuni dell'attuale ricerca psicoanalitica incentrata sull'osservazione del neonato.005324_foto1_img1

Trevarthen (1977) ha parlato, a proposito della interazione madre-bambino, di "intersoggettività primaria", in evidente contrapposizione al concetto di "narcisismo primario" e con specifici riferimenti alla relazione oggettuale. Emde e Robinson (1979), in una disa­mina di oltre trecento studi, hanno rilevato l'estrema diffusione, derivante dal concetto di narcisismo primario, del pregiudizio relativo al lattante considerato passivo ed indifferente concludendo che l'idea del neonato regolato da pulsioni e scariche è insostenibile.

Brazelton e Als (1979) hanno rilevato risposte affettive già nei primi momenti successivi la nascita.

winni2Già Winnicott (1951) aveva sostenuto che le cure materne rappresentano una componente essenziale senza la quale non potrebbe esistere alcun bambino, prendendo a sua volta radicalmente le distanze dal concetto di narcisismo primario di Freud.

In genere tutti gli autori che hanno privilegiato le teorie delle relazioni oggettuali si sono, esplicitamente o meno, opposti al concetto freudiano di narcisismo primario ed a quello del primato pulsionale.

Parlando di relazioni oggettuali come modello mentale diverso rispetto a quello pulsionalallattamentoe è opportuno brevemente parlare della teoria di Winnicott relativa alla "preoccupazione materna primaria". Per Winnicott l'aspetto relazionale è fondamentale: Winnicott ritenne che nel neonato già potesse esi­stere una vita psichica, affermando contempora-neamente però che il neonato non esiste se non in relazione ad una madre che se ne madre-allattare-seno_wel007prende cura. Il funzionamento psichico si struttura su quello che Winnicott chiama sé, istanza psichica preliminare alla costituzione dell'io: con il termine sé Winnicott indica il senso di continuità garantito dalle capacità di adattamento della madre verso il bambino. Questa consente al neonato l'illusione che il seno sia parte di lui: "[...] la madre pone il seno laddove il bambino è pronto a crearlo, e nel momento giusto". (1964).
L'illusione permette al bambino di esprimere una creatività primaria personale e la madre favorirà poi, progressivamente, una graduale disillusione consentendo la individuazione del bambino. Lo stato definitivo come "preoccupazione materna primaria" è quello in cui la madlinus_deckere sviluppa una sorprendente capacità di identificarsi con il bambino, fatto che le permette di prendersene adeguatamente cura. Prendersi cura assume per Winnicott il significato di abbracciare, contenere, ed il contenimento delle braccia materne sostituisce in qualche modo il contenimento della parete uterina. Il contenimento ha la funzione di lo ausiliario che consente lo sviluppo adeguato del rudimentale lo del bambino. I concetti di illusione - sostegno nella rela­zione materna conducono alla relazione oggettuale, modificazione legata al passaggio dalla fusione alla separazione. Winnicot introdurrà un concetto fondamentale, quello dell'oggetto transizionale.
L’oggetto transizionale può essere un peluche, una copertina o lo stesso pollice del bambino di cui questi non riesce a fare a meno e a cui si dimostra particolarmente affezionato. 102081_1
Attraverso questo oggetto, il bambino impara ad accettare i limiti dei suoi poteri e diventa consapevole dell’esistenza autonoma degli altri. L’emergere della persona comporta, infatti, un movimento da uno stato di onnipotenza illusoria - in cui il bambino, tramite le facilitazioni materne, ha la sensazione di creare e di controllare il mondo in cui vive - ad una percezione obiettiva in cui egli accetta i limiti dei suoi poteri.

bionBion (1963) ha accantonato totalmente il concetto di pulsione di morte attribuendo la priorità dello sviluppo emozionale del bambino al concetto che ha definito di "reverie materna", concetto analogo a quello, già espresso da Winnicott, di "madre sufficientemente buona". Bion ritorna in qualche modo alla antica contrapposizione tra principio di piacere (che definisce desiderio) e principio di realtà, laddove il principio di realtà è rappresentato, questa volta, dalla madre che può essere, o meno, capace di adeguata "reverie". Vi è dunque, in Bion, un prioritario interesse per le qualità dell'oggetto, interesse però che pare stemperarsi intensamente quando afferma che ciò che vi è di centrale, nelchi02-07_chse_longe destino umano, è la capacità del bambino di far fronte alla realtà ed alle frustrazioni, e che tale capacità è innata, ereditata geneticamente. Atti comunicativi hanno luogo sin dalla nascita: l'importanza di questi, derivata dalle conoscenze del rapporto madre-bambino, è al centro dell'attenzione di tutte le teorie dello sviluppo emozionale incentrate sulle relazioni oggettuali. Emde (1981), sottolineando come il bambino, sinwrb1 dal suo esordio nella vita, sia pronto all'interazione sociale e partecipe degli scambi con coloro i quali lo accudisco­no, ha criticato anche il concetto di "relazione oggettuale" come inadeguato a descrivere le capacità interazionali del bambino ed anche a causa della gamma di significati cui la dizione "relazione oggettuale" può condurre (il riferimento agli oggetti kleiniani appare evidente).

Le problematiche relative alla reciprocità affettiva evidenziano anche i limiti della teoria della "libido" di Freud: Spitz (1976) ha sottolineato come Freud abbia considerato l'oggetto libidico quasi esclusivamente dal punto di vista dei desideri inconsci del bambino, e non sullo sfondo della re­lazione reciproca madre-bambino; Thómae e Kachele (1985), a loro volta, sottolineano come il radicamento di questa stessa tradizione abbia consentito a Kohut di derivare l'oggetto-sé dallo stesso, ipotetico, esperire narcisistico del bambino. Meltzer (1992) ha affermato che l'evoluzione psicopatologica nell'essere umano è secondaria, più che alla esistenza di un istinto di morte, al fallimento relazionale, la cui conseguenza è quella di condurre verso una condizione narcisistica.

9788833952338gNon vi è dubbio che le idee espresse dai teorici delle "relazioni oggettuali" abbiano rappresentato un notevole progresso rispetto alle iniziali concettualizzazioni di Freud per il quale la pulsione di morte, oltre ad esprimere la tendenza istintuale conservatrice degli esseri viventi, esprime anche, dal punto di vista pulsionale vero e proprio, la condizione di narcisismo primario che può essere considerata alla base di tutto il successivo sviluppo della teoria psicoanalitica. Se le formulazioni espresse dalla psicologia dell'io potevano essere con facilità integrate nella teoria pulsionale freudiana, considerate un completamento di questa, la teoria della relazioni oggettuali può invece essere ragionevolmente ritenuta un cambiamento di paradigma della teoria psicoanalitica. Nel senso che il primato etiologico dello sviluppo umano spetta non alle vicissitudini del soddisfacimento pulsionale ma alla qualità affettiva delle originarie relazioni oggettuali. È cioè la qualità dell'oggetto ad evere significatività primaria.

In base alla teoria delle relazioni oggettuali, uno stabile e definito senso di sé può essere ottenuto solo ed esclusivamente nel contesto di una relazione oggettuale valida e sostenente. Un mondo psichico privo di relazioni oggettuali sarebbe, in questo senso, di per sé schizoide, ed un adeguato senso di sé sarebbe possibile solo nell'ambito di una relazione d'oggetto soddisfacente. Sottolineare cioè l'importanza di relazioni oggettuali vere (rispetto a quelle della Klein, nelle quali il narcisismo primario esce dalla porta per subito rientrare, prepotentemente, dalla finestra) è sen'altro fondamentale ai fini della comprensione dello sviluppo umano: tuttavia Green (1991) ha sottolineato il rischio di ipervalorizzare l'oggetto e di svilire, conseguentemente, il ruolo svolto dalle pulsioni: l'oggetto infatti può essere considerato, in base alle sue qualità, il rivelatore dell'esistenza delle pulsioni. Analogamente Mancia (1992) ha sostenuto che la teoria delle relazioni oggettuali "[...] non può reggersi da sola, in quanto l'oggetto, senza la pulsione, sembra privo di vita".

Pur introducendo dunque, con tutto ciò, un indispensabile ampliamento della teoria pulsionale sottolineando l'importanza delle relazioni oggettuali, rimane comunque la necessità che teoria pulsionale e teoria delle relazioni oggettuali vengano integrate.

Possiamo ritenere infatti che la psicopatologia psicoanalitica incentrata sulla teoria del conflitto debba partire dal presupposto che non possono esistere disturbi nelle relazioni oggettuali in modo indipendente rispetto a conflitti pulsionali.

 

Bibliografia

Balint M., (1937) - Primi stadi dello sviluppo dell'io. L'amore oggettuale primario, in: "L'amore primario, gli inesplorati confini tra biologia e psicoanalisi", Guaraldi, Rimini, 1973.

Bion W.R. (1963) - Gli elementi della psicoanalisi, Armando, Roma, 1973.

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chaise-longe-largeLa Psicologia Dinamica oggi, pur ricollegandosi alle tradizionali scuole psicoanalitiche, le integra con le moderne acquisizioni teoretiche e applicative soprattutto in riferimento alla psicologia sperimentale, alla gruppoanalisi e allo studio del mondo transpersonale, alla psicologia del Sé e dell’intersoggettività, al sistema delle relazioni familiari e all’influenza della comunicazione al loro interno, infine, ai vari fattori che hanno un ruolo rilevante a livello int2302-1di psicologia di comunità. Un interessante filone della psicologia dinamica riguarda lo studio del ruolo e della valenza del mondo simbolico; il Seminario Itinerante "L’Immaginario Simbolico" rappresenta un modello avanzato di questo tipo di ricerca.
In effetti, le originarie teorie e la pratica della psicoanalisi, con il passare del tempo, sono apparse sempre meno adatte a comprendere l’uomo post-moderno, data l’esigenza non solo di curarlo nei suoi problemi inconsci ma anche di offrirgli un supporto terapeutico sia relativamente ai suoi problemi legati alla realtà umana e ambientale che ha incontrato sin dalla nascita in poi, sia relativamente allo stress di adattamento ad una società troppo velocemente mutevole. Oggi non si può negare che a livello psicoterapeutico il limitarsi allo studio profondo dell’inconscio risulta restrittivo rispetto alla moderna psicologia dinamica che oltre all’analisi del mondo esperienziale del paziente, della relazione con i genitori e con le altre figure importanti della sua infanzia, estende l’analisi alle matrici culturali alla quale l’individuo appartiene e ai problemi che possono sorgere tra la sua soggettività (quale persona unica e irrepetibile) e l’ecosistema ambientale (ambiente umano e ambiente naturale), la comunità, i contesti nei quali si è formato e ha vissuto. Infine, una particolare attenzione deve essere posta alla relazione mente-corpo dato il crescente aumento dei disturbi psicosomatici cioè di quei disturbi fisici nei quali i fattori psicologici risultano determinanti. Dal punto di vista del setting psicoterapeutico le acquisizioni della psicologia dinamica si sono rivelate fondamentali per un lavoro clinico che andasse oltre il famoso lettino psicoanalitico e invece utilizzasse maggiormente la relazione terapeutica vis à vis, le psicoterapie di gruppo e il potenziamento delle capacità espressive e creative del soggetto, e, inoltre, le tecniche di empowerment dirette a fargli ritrovare la forza (o il coraggio) di svolgere un ruolo più attivo nella comunità in seno alla quale egli può portare il suo personale "modo di sentire", le proprie idee e può, insieme agli atri, cercare di costruire una realtà sociale più a misura d’uomo.

 

La psicoterapia dinamica

"[...] Sarebbe molto più agevole se potessimo prescindere dal paziente quando esploriamo i meandri della psicopatologia; sarebbe molto più semplice se potessimo limitarci a esaminare la chimica e la fisiologia del cervello.. (Ma) per vedere nella mente di un altro, noi dobbiamo ripetutamente immergerci nel profluvio delle sue associazioni e dei suoi sentimenti; dobbiamo noi stessi essere lo strumento che lo scandaglia."
                                                               John Nemiah

 

chaise-longeLa psicoterapia dinamica si è modellata sui principi tecnici della psicoanalisi classica ed è stata definita in molte differenti maniere: espressiva, dinamica, a orientamento psicoanalitico, orientata all'insight, esplorativa o intensiva, per citarne solo alcune.

 

 

 

La psicoterapia psicodinamica contemporanea comprende quattro ampie aree teoriche di derivazione psicoanalitica:
1) la psicologia dell'Io, derivata dalla teoria psi­coanalitica classica di Freud;
2) la teoria delle relazioni oggettuali, derivata dal lavoro di Melanie Klein e dei membri della cosiddetta "scuola britanni­ca", che comprende Fairbairn, Winnicott e Balint;
3) la psicologia del Sé, fondata da Heinz Kohut ed elaborata dai contributi dei numerosi successori;
4) la teoria dell'attaccamento.

Questa forma di trattamento, tesa all'analisi delle difese e all'esplorazione del transfert, è stata tradizionalmente considerata completamente diversa da un'altra entità conosciuta con il nome di psico­terapia supportiva, o di sostegno. Quest'ultima, più orientata a reprimere il conflitto inconscio e a rafforzare le difese, è stata spesso considerata infe­ríore alla psicoterapia espressiva. 

Diversi autori hanno espresso la loro perplessità riguardo a questa tradi­zionale dicotomia (Gabbard, 2004). Un problema di ta­le distinzione è l'ímplicazione secondo la quale la psicoterapia di sostegno non avrebbe un orientamento psicoanalitico. In realtà molte forme di psi­coterapia supportiva sono guidate a ogni passo da una comprensione psi­coanalitica. Inoltre, la dicotomia dipinge la psicoterapia espressiva e la psi­coterapia supportiva come se fossero entità altamente differenziate, men­tre, in effetti, è raro che esse si riscontrino in forma pura. Infine, la distinzione di valore che associa un maggior pre­stigío alla psicoterapia espressiva o alla psicoanalisi ha sempre comportato l'assunto secondo cui il cambiamento raggiunto grazie all'insight o alla risoluzione di un conflitto intrapsichico sarebbe in qualche modo superiore a quello ottenuto per mezzo di tecniche supportive. Non vi sono dati empiri­ci a sostegno di tale assunto; non è stato provato che i cambiamenti ottenuti dalla psicoterapia espressiva siano in qualunque modo superiori o più dure­voli di quelli raggiunti dalla psicoterapia supportiva.

Tutte le forme di psicoterapia infatti contengono un misto di elementi espressivi e supportivi, e i cambiamenti ottenuti tra­mite gli elementi supportivi non sono in alcun modo inferiori a quelli otte­nuti mediante gli elementi espressivi. Piuttosto che vedere la psicoterapia espressiva e la psicoterapia supportiva come due distinte modalità di tratta­mento, dovremmo invece considerare che la psicoterapia si attua in un con­tinuum espressivo-supportivo, prospettiva più vicina alla realtà della pratica clinica .

Con certi pazienti, in determinati momenti della terapia, la terapia sarà più fondata su elementi espressivi, mentre con altri pazienti, e in altri momenti, la terapia potrà richiedere una maggiore ai­tenzione agli elementi supportivi.

La psicoterapia individuale tesa verso questo continuum può esser meglio definita come espressivo-supportiva o supportivo-espressíva. Anche la psicoanalisi infatti, situata nel punto più estremo del versante espressivo d continuum, contiene elementi supportivi associati alla struttura stessa del trattamento e alla collaborazione esistente tra analista e paziente nel raggiungere certi obiettivi; al medesimo tempo, la maggior parte delle psicoterapie di sostegno collocate all'estremità opposta talvolta forniscono elementi di insíght e comprensione. Pertanto, il vero terapeuta ad orienra­mento dinamico oscillerà in maniera flessibile avanti e indietro lungo continuum espressivo-supportivo, in relazione ai bisogni del paziente vari momenti del processo psicoterapeutico.

Il concetto di continuum espressivo-supportivo offre una cornice all'interno della quale considerare gli obiettivi, le caratteristiche e le indicazioni per la psicoterapia individuale.

fonte: G.O. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, Cortina, Milano.



 


 

 

La sofferenza è dovuta ad un ristagno spirituale, ad una sterilità psichica fede, speranza, amore e conoscenza è ciò di cui ha bisogno il paziente per vivere nessuno guarisce veramente se non riesce a raggiungere un atteggiamento religioso. Carl Gustav Jung

 

 

 

 

Devo però riconoscere che le correnti che considero più significative per la mia attività di psicoterapeuta provengono dalle seguenti figure cardine della Psicologia: 

 

 

 

 

 

CARL GUSTAV JUNG 

 

gustav-jungMa una notevole influenza sulla mia visione della terapia e dei concetti fondanti della stessa mi viene da un'altro grande dell'Analisi Psicoanalitica del profondo: Carl Gustav Jung.

Jung fu uno dei più noti e influenti seguaci di Freud. Nato nel 1875 a Kesswil, in Svizzera, figlio di un pastore protestante, Jung si laurea in Medicina e nel 1900 entra a lavorare nell' ospedale psichiatrico di Zurigo, diretto da Eugen Bleuler (1857-1939). Venuto a conoscenza delle teorie di Freud, intrattiene con lui scambi epistolari ed entra a far parte del movimento psicoanalitico, ma con la pubblicazione del suo volume Trasformazioni e simboli della libido (1912) vengono alla luce i suoi dissensi teorici con Freud e nel 1913 il loro rapporto si interrompe. Nel 1920, Jung intraprende viaggi in vari continenti per studiare le culture primitive e, nel 1921, pubblica il libro Tipi psicologici . Nominato nel 1930 presidente onorario della Società tedesca di psicoterapia, dopo l'avvento del nazismo, nel 1933, non dà le dimissioni, ma collabora con Herman Goring, sino al 1940, alla riorganizzazione della Società. Nel 1948 viene fondato il Carl Gustav Jung Institut per87jfkut l'insegnamento della teoria e dei metodi di quella che è ormai denominata psicologia analitica, per distinguerla dalla psicoanalisi freudiana. Jung muore nel 1961.

Jung condivide inizialmente con Freud l'ipotesi che le manifestazioni delle malattie mentali, per essere comprese, richiedono il riferimento alla storia individuale del paziente e ai processi di rimozione che che l' accompagnano. Successivamente, però, egli comincia a dubitare che i contenuti rimossi siano di natura esclusivamente sessuale e arriva a formulare l'idea che i fenomeni psichici siano manifestazioni di un' unica energia presente nella natura e non riducibili alla sola ses405px-henri_bergsonsualità: la libido. Alla nozione di libido Jung attribuisce caratteristiche che richiamano lo slancio vitale di Bergson: essa è una pulsione dinamica della vita, che garantisce la conservazione degli individui e delle specie. Secondo Jung, Freud privilegiava eccessivamente la componente biologica di essa a scapito di quella spirituale e ne dava una rappresentazione intrisa di pessimismo: si trattava invece, di una forza essenzialmente sana, protesa verso il futuro, dalla quale dipendono le realizzazioni più alte della cultura occidentale. La libido, infatti, è suscettibile di evoluzione, e può essere spostata su oggetti immateriali ed è, dunque, spiritualizzabile; solo quando tale evoluzione è bloccata e avvengono regressioni, si originano le nevrosi. La nevrosi, infatti, è prodotta non tanto da avvenimenti risalenti alla prima infanzia, quanto da un conflitto presente, ovvero dall'incapacità carl_gustav_jungdi adattarsi alle richieste dell' ambiente o di trasformarlo: in questa situazione vince l'inerzia, particolarmente forte nei bambini e nei primitivi, e si regredisce a forme più arcaiche di funzionamento della libido. Grazie all'attività di produzione dei simboli, l'uomo primitivo riuscì a trasferire l'energia psichica da manifestazioni pulsionali immediate, a manifestazioni mediate, orientate verso fini creativi e, in tal modo, effettuò la transizione dal piano della natura a quello della cultura. I simboli della libido manifestano contenuti che trascendono la coscienza e aprono, dunque, al mondo dei valori religiosi; la religione, a sua volta, attraverso i suoi simboli, sposta la libido fuori dall'ambito strettamente familiare, a cui Freud la restringeva, e la rende disponibile agli usi sociali. In tal modo, Jung veniva ad attribuire alla religione una funzione decisiva nello sviluppo della civiltà. Nell'ultima fase della sua attività, egli condannerà la massificazione e la perdita di spiritualità del mondo moderno, nonchè il predominio incontrastato della scienza, e guarderà con crescente interesse alle culture e alle religioni orientali e all' esegesi delle simbologie presenti in esse. Il simbolo, sjung04volgendo una funzione mediatrice fra l'inconscio e la coscienza può operare come agente trasformatore della natura stessa dell'uomo, conducendolo ad individuarsi sempre più articolatamente come un Io. Ogni cosa può essere impiegata e funzionare da simbolo, ma alcuni simboli hanno una ricorrenza universale, che rimanda all'esistenza di quelli che Jung chiama archetipi, cioè letteralmente modelli: i simboli non sono altro che trasformazioni della libido, nelle quali si esprimono gli archetipi. Gli archetipi non sono idee, ma possibilità di rappresentazioni, ossia disposizioni a riprodurre forme e immagini virtuali, tipiche del mondo e della vita, le quali corrispondono alle esperienze compiute dall'umanità nello sviluppo della coscienza. Essi si trasmettono ereditariamente e rappresentano una sorta di memoria dell'umanità, sedimentata in un inconscio collettivo, non puramente individuale, ma presente in tutti i popoli, senza alcuna distinzione di luogo e di tempo: la mia vita è la storia di un' autorealizzazione dell'inconscio, afferma Jung. Gli archetipi lasciano le loro tracce nei miti, nelle favole e nei sogni, che contrariamente a quanto pensavajung Freud, non sono appagamento di desideri puramente individuali legati alla sessualità infantile, ma espressioni dell' inconscio collettivo. Un'analisi comparata di questi materiali è in grado di portarli alla luce: Jung menziona tra gli archetipi più importanti quello del vecchio, della grande madre, della ruota, delle stelle e così via. Essi, però, non si presentano mai all' analisi allo stato puro, ma attraverso loro manifestazioni in simboli: ogni individuo li avverte come bisogni e li può esprimere in modo storicamente variabile, secondo le diverse situazioni etniche, nazionali o familiari. In tal modo, l' inconscio collettivo, attraverso gli archetipi, può condizionare e dirigere la condotta dell' individuo nei suoi rapporti col mondo, inducendolo a ripetere esperienze collettive e, quindi ostacolandolo nel suo ulteriore sviluppo, oppure guidandolo nei suoi progetti. A proposito dell'inconscio collettivo, dice Jung in una conferenza tenuta nel 1936: L'inconscio collettivo è una parte della psiche che si può distinguere in negativo dall'inconscio personale per il fatto che non deve, come questo, la sua esistenza all'esperienza personale e non è perciò un'acquisizione personale. [...] l'inconscio personale consiste soprattutto in "complessi"; il contenuto dell'inconscio collettivo, invece, è formato essenzialmente da "archetipi". Il concetto di archetipo, che è un indispensabile correlato dell'idea di inconscio collettivo, indica l'esistenza nella psiche di forme determinate che sembrano essere presenti sempre e dovunque. La ricerca mitologica la chiama "motivi"; nella psicologia dei primitivi esse corrispondono al concetto di raprésentations colletives di Lévy-Bruhl; nel campo della religione comparata sono state definite da Hubert e Mauss "categorie dell'immaginazione.

Ijung4 complessi di rappresentazioni che mediano questa interazione fra coscienza e inconscio e fra inconscio individuale e inconscio collettivo sono strutturati secondo coppie di opposti. Una di queste coppie è costituita dall' Io, inteso come il complesso di rappresentazioni coscienti e permanenti, in cui è riposta la propria identità, con tutti i principi e valori accolti e riconosciuti, e dall'Ombra, intesa come l'insieme delle possibilità di esistenza respinte dal soggetto come non proprie in quanto considerate negative. Sul piano dell'inconscio collettivo, una variante dell' archetipo Ombra è rappresentata dal diavolo. L'inconscio collettivo è il punto di arrivo dell' analisi, secondo Jung: questa, infatti, risale dal sintomo al complesso e da questo simbolo all'archetipo. Obiettivo della terapia è la realizzazione dinamica del , come espressione individuale di quel che è universalmente umano e, quindi, come superamento continuo del conflitto tra la coscienza e l'inconscio. A tale scopo è necessario che sia superata una fusione e identificazione immediata con gli archetipi e sia, invece, effettuata una integrazione41qrb9mqp8l__sl500_aa240_ di essi nella coscienza, in modo che questa possa allargare i propri confini e diventare capace di operare scelte che portino all' attuazione del Sè. La terapia non mira, dunque, a recuperare il rimosso, come voleva Freud, ma a recuperare gli archetipi, in modo che nella psiche possano coesistere i contrari senza produrre conflitti e scissioni: la razionalità e l'irrazionalità, il maschile e il femminile, l'estroversione e l'introversione, il pensiero e la sensazione. L'obiettivo non è l'eliminazione di uno di questi contrari, perché ciò condurrebbe a un impoverimento del Sè, che diventerebbe unilaterale: si tratta, invece, di integrare armonicamente ciascun contrario con l' altro, assecondando le tendenze vitali del paziente all' autorealizzazione. Su questi presupposti, Jung costruì una tipologia di caratteri, ossia di forme individuali stabili, la quale fondata prevalentemente sulla distinzione fra estroversione e introversione: nel primo caso, l'energia libidica è orientata all' esterno, mentre nel secondo, è distolta dagli oggetti esterni per concentrarsi sul mondo interno 255_1549del soggetto. Però, anche quando predomina uno di questi tratti caratteristici, ciò non significa, secondo Jung, che l'opposto sia del tutto scomparso e inoperante. Jung concepisce il Sé come la totalità psichica rispetto a cui l'Io, la nostra parte cosciente, è solo una piccola parte. Va ricordato che Jung è stato buon lettore di Kant, che a sua volta aveva paragonato la ragione a un'isola nell'oceano dell'irrazionale. Diventar se stessi, o come dice Jung "individuarsi", significa non arroccarsi nella propria identità egoica, ma aprirsi al Sé, ossia a quell'altro da noi che è dentro di noi, senza il quale non c'è sviluppo psichico. La dinamica Io e Sé ha in Jung un'accentuazione intrapsichica, è pensata cioè come una dinamica interna all'individuo, mentre le odierne psicologie del Sé hanno un'accentuazione interpsichica, pensano cioè a una relazione tra due individu200px-carl_jung_1912i (madrebambino). Per quel che riguarda il sentimento, Jung dice: Quando io uso la parola "sentimento" in contrasto con "pensiero", mi riferisco a un giudizio di valore, per esempio: piacevole o spiacevole, buono o cattivo, e via dicendo. Secondo questa definizione il sentimento non è un'emozione (che, come dice la parola, è involontaria). Il sentimento, come l'intendo io, è (come il pensiero) una funzione razionale (cioè imperativa), mentre l'intuizione è una funzione irrazionale (cioè percettiva).
Quando si usa il termine terapia junghiana ci si riferisce ad un approccio terapico che si fonda sui principi della psicologia analitica, la quale trae le sue origini dal pensiero e dalle opere di Carl Gustav Jung (1875-1961). Jung fece parte, per un periodo della sua vita, di quel ristretto circolo di psicanalisti che si riunivano intorno a Freud nella Società psicanalitica di Vienna, collaborando attivamente allo sviluppo e alla crescita delle teorie psicanalitiche, ma successivamente, a causa delle sue divergenze teoriche con Freud, se ne distaccò. Jung elaborò una sua teoria dell'energia psichica, secondo la quale, diversamente da quanto sosteneva Freud, la libido non fosse soltanto una pulsione sessuale pura, ma una vera e propria energia psichica generale che si esprime nell'uomo sotto forma di tendenze e desideri.
Essa rappresenta per Jung lo alch_06 che spinge ogni uomo verso la propria realizzazione (e non solo verso la soddisfazione di pulsioni sessuali, come sosteneva Freud); è energia psichica, una tendenza spontanea che muove l'uomo verso il suo sviluppo più personale, verso la sua individuazione. Anche Jung considera la psiche come composta da più parti, fra cui l'inconscio. L'inconscio da lui teorizzato, tuttavia, è molto più complesso di quello freudiano. Esso non rappresenta soltanto il ricettacolo di ciò che è stato rimosso dalla coscienza dell'individuo, ma piuttosto il luogo di un'attività psicologica diversa, più oggettiva dell'esperienza dell'Io, in diretta relazione con le radici della specie (l'inconscio collettivo) e che si esprime
attraverso il linguaggio archetipico dei simboli, tramite immagini e fantasie. Secondo Freud la natura conflittuale della psiche, da cui originano la coscienza e quindi l'Io, è basata sul dualismo libido-istinto di sopravvivenza/libido-istinto di morte. Jung, invece, sostiene che l'Io si trova nel punto di congiunzione tra il Mondo Esterno ed il Mondo Interno, ed è sempre alla ricerca di un punto di equilibrio che cambia continuamente nel corso della vita umana.alchemy2
Le immagini archetipiche di cui parla Jung sono rappresentazioni interiori di determinate prestrutture ereditarie, definite archetipi, che l'Io costruisce a partire dall'incontro con la realtà esterna. Gli archetipi sono presenti con la stessa simbologia nell'inconscio di ogni uomo, qualunque sia la sua cultura di provenienza; essi sarebbero quindi transculturali e sarebbero funzioni di quella parte di incoscio che Jung definisce inconscio collettivo, ovvero comune alla specie umana. Le immagini archetipiche più importanti sono quelle di: Persona, Ombra, Anima/Animus e . Esse compaiono spesso nei sogni e hanno la funzione di rivelare al sognatore la possibilità di alternative di confronto con la propria realtà esterna ed interna. La Persona rappresenta il ruolo definito che ogni individuo deve avere nella nostra società; in questo senso essa può essere talora molto diversa dalla reale individualità di colui che la interpreta, ma proprio per questo è funzionale a difendere l'individuo da un impatto troppo diretto tra la realtà esterna e la realtà del proprio mondo interiore.
L'Ombra è simile al rimosso freudiano, ma non esattamente la stessa cosa. Essa non è realmente inconscia e inconsapevole, ma soltanto non consapevole: amcl_rs19_jpgpertanto se un individuo vuole realmente essere onesto con se stesso è in grado di vedere la propria Ombra. Per Jung sono invece maggiormente connesse con la realtà psichica più profonda altre immagini archetipiche: l'Anima (Animus o Anima), lo Spirito (il Vecchio Saggio, la Magna Mater etc.) e l'immagine archetipica centrale della psiche, il Sé. L'Anima rappresenta l'immagine interiorizzata che ogni uomo ha del femminile e l'Animus l'immagine interiorizzata che ogni donna ha del maschile. Secondo Jung, Animus e Anima orientano la scelta dei nostri legami affettivi e rappresentano le istanze più profonde della personalità, quelle che noi tendiamo a proiettare sugli altri; per questo motivo costituiscono il reale strumento di conoscenza dell'incoscio. jung_alchemyaIl Sé viene spesso rappresentato nei sogni da una persona di carattere eccezionale oppure da un animale, che rappresenta la natura istintuale del sognatore ed i legami di questa con l'ambiente esterno in cui vive.
L'inconscio contiene dunque energia psichica che si manifesta nella spinta innata verso lo sviluppo della coscienza di sé, la quale tende ad emergere dando luogo al processo di individuazione. L'individuazione costituisce per Jung il naturale fine dell'esistenza umana e idealmente, nel corso di questo processo, l'uomo dovrebbe giungere alla scoperta e alla realizzazione dei propri bisogni individuali più profondi. La psicoterapia Junghiana, come sosteneva lo stesso autore, è indicata prevalentemente nelle crisi di mezza età, o comunque per quei pazienti, in crisi per motivi morali, filosofici o religiosi, che sono alla ricerca del senso della propria vita. Indipendentemente dalla gravità del disturbo e dalla sua diagnosi psicopatologica (nevrosi o psicosi), la terapia junghiana mira a ottenere un riadattamento alla realtà, che sia però inclusivo dei bisogni e delle motivazioni più profonde del soggetto.

 

 
bigposterbookcover1. La causa maggiore della rottura tra Jung e Freud fu il rifiuto da parte di JUNG del "pansessualismo freudiano" ossia il rifiuto della concezione per cui al centro del comportamento psichico degli esseri viventi vi è l'istinto sessuale. Nella concezione junghiana dell'uomo il tratto caratteristico più importante è la combinazione della "casualità" con la "teleologia". Il comportamento dell'uomo non è condizionato soltanto dalla sua storia individuale e di membro della razza umana (casualità), ma anche dai suoi fini e dalle sue aspirazioni (teleologia). Sia il passato come realtà, sia il futuro come potenzialità, guidano il nostro comportamento presente.
Jung sostiene che entrambi le posizioni sono necessarie in psicologia per giungere a capire perfettamente la personalità. Il presente, infatti, è determinato non solo dal passato (casualità), ma anche dal futuro (teleologia). Un atteggiamento puramente casuale porta l'uomo alla disperazione perché lo rende prigioniero del passato. L'atteggiamento finalistico, invece, dà all'uomo un senso di speranza e uno scopo per cui vivere.carl20gustav20jung
La concezione junghiana della personalità considera la direzione futura dell'individuo e nello stesso tempo è retrospettiva, nel senso che si rifà al passato. Jung vede nella personalità dell'individuo il prodotto e la sintesi della sua storia ancestrale. Egli pone l'accento sulle origini razziali dell'uomo. L'uomo nasce già con molte predisposizioni trasmesse dai suoi antenati e queste lo guidano nella sua condotta. Quindi esiste una personalità collettiva e razzialmente preformata che è modificata ed elaborata dalle esperienze che riceve.

 

2. La struttura della personalità

carl_gusta67v_jungLa personalità consta di un certo numero di istanze e sistemi separati ma interagenti. I principali sono: l' Io, l'Inconscio Personale e i suoi Complessi, l'Inconscio Collettivo e i suoi Archetipi, la Persona, l'Animus e l'Anima, l'Ombra.

 

 

 

L'IO è la mente cosciente:

 

INCONSCIO PERSONALE è formato dalle esperienze che sono state rimosse, represse, dimenticate o ignorate, e da quelle troppo deboli per lasciare una traccia cosciente nella persona. Complessi: il complesso indica un contesto psichico attivo i cui elementi molteplici (sentimenti, pensieri, percezioni, ricordi) sono unificati dalla comune tonalità affettiva. Un esempio è il complesso materno.

 

 

INCONSCIO COLLETTIVO appare come il deposito dicarl_gustav_jungg tracce latenti provenienti dal passato ancestrale dell'uomo. Esso è il residuo psichico dello sviluppo evolutivo dell'uomo, accumulatosi in seguito alle ripetute esperienze di innumerevoli generazioni. Così, dal momento che gli esseri umani hanno sempre avuto una madre, ogni bambino nasce con la predisposizione a percepirla e a reagire ad essa. Tutto ciò che si impara dall'esperienza personale, è sostanzialmente influenzato dall'inconscio collettivo che esercita un'azione diretta sul comportamento dell'individuo sin dall'inizio della vita. Archetipi: un archetipo è una forma universale del pensiero dotato di contenuto affettivo. Tale forma di pensiero crea immagini o visioni che corrispondono, nel normale stato di veglia, ad alcuni aspetti della vita cosciente. Il bambino eredita una concezione preformata j2di una madre generica, che in parte determina la percezione che egli avrà dalla propria madre. In tal modo l'esperienza del bambino è la risultante di una predisposizione interna a percepire il mondo in un determinato modo e dell'effettiva natura di tale realtà. Vi è di regola corrispondenza tra le due determinanti, poiché l'archetipo stesso è un prodotto delle esperienze del mondo compiute dalla razza umana, e tali esperienze sono in gran parte simili a quelle di ogni individuo.
 

PERSONA la persona è una maschera chejung123 l'individuo porta per rispondere alle esigenze delle convenzioni sociali. E' la funzione assegnatagli dalla società, cioè il compito che essa attende da lui. Questa maschera spesso nasconde la vera natura dell'individuo. La persona è la personalità pubblica, quegli aspetti che si palesano al mondo o che l'opinione pubblica attribuisce all'individuo, in opposizione alla personalità privata che esiste dietro alla facciata sociale.

 

ANIMA e ANIMUS l'archetipo femminile nell'uomo è detto anima, quello maschile nella donna animus. cgjung4

 

L'OMBRA è costituita dagli istinti animali ereditati dall'uomo nella sua evoluzione. Di conseguenza l'ombra simboleggia il lato animale della natura umana.
Nella teoria della personalità di Jung occupa un posto centrale il Sé ("Selbst") che è il punto centrale della personalità, intorno a cui si raggruppano tutti gli altri sistemi, esso li mantiene uniti e dà alla personalità l'equilibrio, la stabilità e l'unità. Il Sé è lo scopo della vita, un fine per cui l'uomo lotta costantemente ma che di rado riesce a raggiungere.
Jung concepiva la personalità o psiche come un sistema dotato di energia e parzialmente chiuso, perché a esso si deve aggiungere l'energia proveniente da fonti esterne, per esempio dal mangiare. Per spiegare la dinamica della personalità, Jung ricorre, come Freud, al concetto della libido, ma mentre per Freud la libido è un concetto collettivo delle tendenze sessuali dell'uomo, per Jung il termine libido è sinonimo di energia psichica e a seconda che la libido sia diretta preminentemente verso l'interno o carl_gustav_jung0verso l'esterno, Jung distingue tra introversione ed estroversione.
L'atteggiamento introverso tende ad orientare la sua energia psichica verso il mondo interiore (pensieri ed emozioni) mentre l'atteggiamento estroverso orienta la sua energia verso il mondo esteriore (fatti e persone). Ambedue questi opposti atteggiamenti sono presenti nella personalità, ma di regola uno di essi è dominante e cosciente, mentre l'altro è subordinato e inconscio.
Vi sono quattro funzioni psicologicamente fondamentali: il pensiero, il sentimento, la sensazione e l'intuizione. Ciascuna di queste funzioni ci consente di adattarci al mondo e alla vita. Il pensiero utilizza dei processi logici, il sentimento utilizza dei giudizi di valore, la sensazione percepisce i fatti e l’intuizione percepisce le possibilità presenti dietro i fatti.
Il pensiero è intellettivo, con esso l'uomo cerca di comprendere la natura del mondo e sé stesso.
Il sentimento è il valore delle cose in rapporto al soggetto.cj
La sensazione ha la funzione percettiva, apporta fatti o rappresentazioni concrete del mondo.
L'intuizione è la percezione attraverso processi dell'inconscio, l'uomo intuitivo va al di là dei fatti e costruisce elaborati modelli della realtà.
Il pensiero e il sentimento sono denominati funzioni razionali, poiché fanno uso del ragionamento. La sensazione e l'intuizione sono funzioni irrazionali, perché basate sulla percezione del concreto e del particolare.
Nell'individuo sono presenti tutti e quattro le funzioni ma di regola una delle quattro è altamente differenziata e jung2psvolge un compito preminente nella coscienza, viene detta funzione superiore. La meno differenziata delle quattro è detta funzione inferiore ed è rimossa e inconscia, si esprime nei sogni e nelle fantasie.
JUNG fondò le sue concezioni psicodinamiche su due principi fondamentali: il "principio di equivalenza" e quello di entropia. Il primo asserisce che, se un valore diviene più debole o scompare, la quantità di energia a esso legata non andrà perduta per la psiche, ma riapparirà in un nuovo valore. L'indebolimento di un valorejungstonework si accompagna inevitabilmente al sorgere di un altro (la fine di un hobby sarà in genere compensata dal sorgere di un altro).
Il "principio di entropia" afferma che la distribuzione di energia nella psiche tende a un equilibrio o armonia. Fra due valori di diversa forza, l'energia tenderà a passare dal più forte al più debole fino a raggiungere uno stato di equilibrio. Tutta l'energia psichica di cui la personalità dispone viene utilizzata per due fini generali. Una parte è spesa nell'esecuzione del lavoro necessario al mantenimento della vita e alla propagazione della specie: queste sono funzioni istintive. L'energia eccedente quella utilizzata dagli istinti può essere impiegata in attività culturali e spirituali.
virgoPer Jung lo sviluppo può svolgersi in senso progressivo o regressivo. Per progressione JUNG intende un soddisfacente adattamento dell'IO alle richieste dell'ambiente esterno e ai bisogni dell'inconscio. Se un evento frustrante interrompe il movimento progressivo, la libido non potrà più essere investita in valori orientati verso il mondo o estroversi, di conseguenza regredirà verso l'inconscio legandosi a valori introversi. Tuttavia Jung ritiene che uno spostamento in senso regressivo non debba avere necessariamente effetti negativi permanenti: esso infatti può aiutare l'Io a trovare il modo di aggirare l'ostacolo e riprendere il suo cammino.
Il fine ultimo dello sviluppo è rappresentato dall'auto-realizzazione. Per raggiungere tretestetale scopo è necessario che le diverse istanze della personalità si differenzino ed evolvano completamente. Una personalità sana ed integra si otterrà solo consentendo a ogni istanza di raggiungere il più alto grado di differenziazione e di sviluppo. Il processo attraverso il quale si raggiunge tale stato è detto processo di individuazione. La "funzione trascendente" è in grado di conciliare gli indirizzi opposti dei diversi sistemi e di ojung20perare per il raggiungimento del fine ideale della totalità perfetta. L'energia psichica può essere spostata, cioè trasferita da un processo di un dato sistema ad un altro processo dello stesso o di un sistema diverso. La "sublimazione" è lo spostamento dell'energia dai processi primitivi, istintivi e meno differenziati, a processi altamente spirituali, culturali e maggiormente differenziati.

 

Si presume generalmente che il medico curante debba avere una linea di condotta. Ma mi sembra che, specialmente per la psicoterapia, sia consigliabile che il medico non si prefigga una meta troppo precisa. E' difficile che egli sappia, meglio della natura e della volontà di vivere della persona malata, ciò che è necessario.
da Il problema dell'inconscio nella psicologia moderna, 1942

 


 

 

 

 

 

 

 

SANDOR FERENCZI

Psicoanalista
 

                              A cura della Redazione di psicolinea.it
 

ferenczi5Così scriveva nel 1931 Ferenczi (1873-1933), uno dei primi allievi di Freud: "Sono conosciuto come uno spirito inquieto, o, come mi hanno detto recentemente a Oxford, come l’ enfant terrible della psicoanalisi." Ed infatti fu uno degli psicoanalisti più controversi, per le sue teorie come per i suoi metodi di cura, che potevano comprendere, ad esempio, quello di prendere la paziente sulle sue ginocchia, per offrirle quel rapporto umano che le era mancato nell’infanzia...

Figlio di una famiglia numerosa con una madre depressa, ricercherà per tutta la vita quel calore e affetto che non aveva ricevuto nell'infanzia. Riuscirà comunque a trasformare un limite iniziale in risorsa generatrice di guarigione e crescita.
Nel 1908 incontra Freud ed è subito un colpo di fulmine. Nel 1913 fonda la società psicoanalitica nella sua patria ungherese. Inoltre è l'analista di varie personalità che diverranno autori importanti per la futura psicoanalisi (M. Klein, E. Jones, M. Balint).
Nel 1919 i rapporti con Freud si raffreddano, sia per motivi teorici che personali. Ferenczi sente sempre più stretta la presunta imparzialità dell'analista e ricerca una tecnica attiva, gettando le fondamenta per il dibattito riguardante la relazione, con particolare attenzione al controtransfert.
Messo ai margini dalla comunità psicoanalitica per le sue idee rivoluzionarie, tuttavia non risulta abbastanza carismatico per fondare una nuova corrente psicoanalitica, come fecero Jung e Adler.
La ricerca di una relazione paritaria trova ostacoli nel padre - Freud - che non vuole recedere dal ruolo.
La storia della psicoanalisi è un continuo succedersi di padri e figli ribelli, come se Edipo, anche se scovato, continuasse a vendicarsi e ad avere l'ultima parola.
Allora da un lato si continua a parlare di figli immaturi, (Ferenczi fu dall'ortodossia bollato come infantile) e dall'altro di padri cattivi che non mollano. Non è un caso che paternalismo e distanza sono le accuse che Ferenczi rivolge a Freud.
Distaccandosi sempre più da Freud, egli scrive opere la cui originalità è evidente e dove vengono toccati argomenti ancora oggi di grande attualità.

Sandor Ferenczi nacque il 7 luglio 1873 a Miskolc, una piccola cittadina dell’Ungheria settentrionale, in una famiglia dove Sandor era l’ottavo figlio, (forse il prediletto dal padre). In tutto i figli viventi furono dodici. I suoi genitori erano entrambi polacchi cracoviani immigrati ed ebrei ortodossi, osservanti delle tradizioni, sia nella nozione di clan familiare sia nella assegnazione dei ruoli. Il padre, Baruch Fränkel aveva partecipato attivamente alla rivoluzione liberale progressista e nazionalista del 1848 unendosi agli insorti che si opponevano all’impero asburgico.

Faceva il libraio ed il piccolo editore di testi di letteratura radicale e politica di prima linea ed era anche organizzatore di concerti con artisti di risonanza mondale. Nel 1879 il padre cambiò il suo cognome da Ferenczy, cognome nobile, al più popolare Ferenczi e nel 1880 fu nominato Presidente della Camera di Commercio di Miskolcs. Grazie agli interessi culturali del padre, Sandor trascorse la sua infanzia in un ambiente intellettualmente stimolante, distinguendosi come un allievo particolarmente brillante nel collegio protestante del suo paese. Leggeva di tutto ed in particolare gli piaceva la poesia.

Quando Sandor aveva 15 anni morì il padre, che ne aveva 58, lasciando nel ragazzo un grande senso di vuoto. Sua madre, Róza Eibenschütz, era una donna attiva e dinamica che aveva sempre aiutato il marito nelle attività culturali e sociali, ed era presidente dell’unione delle mogli ebree della città. A 48 anni, alla morte del marito, malgrado i dodici figli, si fece carico della conduzione della libreria, aprendo perfino una filiale nella vicina città di Nyiregyhaza. Sandor tuttavia si sentì poco amato da questa donna, molto intelligente e forte, ma anche troppo severa e parca di carezze. Sandor Ferenczi descrisse questo periodo della sua vita come segretamente dedito alla masturbazione ed ai giochi infantili, sia di tipo omosessuale che eterosessuale.

E’ sempre in questo periodo che la famiglia Ferenczi si relaziona con Gizella Altschul, che all’epoca aveva 23 anni, la quale sposa Géza Pálos, dal quale avrà poi due figlie, Elma e Magda. (Magda si sposerà poi con il fratello minore di Sandor, Lajos). E’ un incontro importante, perché in seguito Sandor si innamorerà profondamente di Gizella e poco dopo anche di sua figlia Elma, costruendo un difficile ed estenuante rapporto a tre. Un altro interesse del giovane Ferenczi riguarda lo spiritismo e i fenomeni paranormali. A Vienna, i suoi anni di studio universitario rappresentarono la sua prima esperienza di indipendenza dalla famiglia ed in questo periodo più che agli studi preferì dedicarsi alla bella vita. Si laureò comunque in medicina nel 1894 a 21 anni, poi partì per svolgere il servizio militare nell’esercito austroungarico. Al ritorno, decise di specializzarsi in neurologia e psichiatria, seguendo la sua passione per l’ipnosi, rafforzata dalle letture sull’ipnosi e sull’isteria.

Durante il 1897, si iscrisse dunque come interno al Rókus Hospital di Budapest, specializzandosi in neurologia e neuropatologia, e nel 1898 divenne medico ausiliario nell’Ospizio dei poveri Elizabeth, a Budapest, al servizio degli emarginati e delle prostitute. Le pubblicazioni di questo periodo vengono chiamate “Gli scritti di Budapest 1899-1907“ nei quali possiamo scorgere i suoi interessi antecedenti al periodo psicoanalitico come nei testi: “Spiritismo” del 1899 “L’omosessualità femminile” del 1902, ”Encefalopatie saturnine” del 1903, “Il valore terapeutico dell’ipnosi” del 1904.

Stabilitosi a Budapest, incontrò Freud tramite un collega, Philip Stein nel febbraio del 1908. L’anno precedente aveva infatti letto l’interpretazione dei sogni, rimanendone particolarmente colpito. A 30 anni partecipava in modo attivo alla vita politica ungherese e soprattutto, accettava di essere rappresentante del Comitato Umanitario Internazionale per la Difesa degli Omosessuali , fondato da Magnus Hirschfeld nel 1897. Il suo intento era quello di opporsi alle terie elaborate da Krafft-Ebing e Möebius, che ritenevano l’omosessualità un’infermità degenerativa.

L’incontro con Freud andò così: Jung andò a Vienna nel Marzo del 1907 per vedere Freud, poi proseguì per Budapest dove si incontrò col Dr. Stein, amico e collega di Ferenczi. Jung e Ferenczi parlarono molto in questo incontro ed il 28 giugno Jung scrisse a Freud che ”Il Dr. Stein di Budapest e l’altro specialista di malattie mentali, il Dr. Ferenczi, desiderano visitarla a Vienna e mi hanno chiesto di domandarle quando potrebbe essere comodo per lei questo incontro“.

La domenica del 2 Febbraio 1908 Stein e Ferenczi visitarono finalmente Freud a Vienna, che allora aveva 52 anni (Ferenczi ne aveva solo 34). Nonostante la differenza di età i due si capirono al volo, tanto che il Maestro lo invitò a presentare un lavoro nel Primo Congresso Psicoanalítico di Salisburgo (1908) e, fatto inaudito, ad incontrarsi in Agosto con lui e la sua famiglia a Berchtesgaden, dove i Freud trascorrevano le vacanze estive. Al ritorno da Salisburgo Ferenczi era infatti passato completamente dalla parte di Freud. Un giorno (5 Ottobre 1909) scrisse al Maestro: "Mi sento come il famoso ingegnere che dopo cinquant'anni di servizio va in pensione, e se ne sta a guardare una locomotiva ferma sul binario, finché esclama con ingenua ammirazione: "E' proprio una bella invenzione! Da anni trascorro le mie giornate ad arrovellarmi sulla psicoanalisi, sono un manovale di questo metodo, è la mia arte e il mio pane quotidiano. Eppure non passa giorno che io non mi fermi, spesso nel mezzo di una seduta, ad ammirare gli straordinari progressi nella comprensione degli uomini malati e di quelli sani. E' davvero una bella invenzione!"

Cominciò così un’amicizia durata 25 anni. Malgrado la differenza di età con Freud (17 anni) Ferenczi fu quello che si avvicinò più di ogni altro allievo al Maestro, fu il primo ad essere definito ‘caro amico’ nelle lettere, l’unico chiamato a fargli compagnia durante le vacanze, gelosamente nascoste ai più. Questa amicizia visse di un profondo rapporto epistolare,definito da Freud come ‘un’intima condivisione della vita, dello spirito e degli interessi’. L’interesse principale dei due era certamente quello per la psicoanalisi ed in particolare i due discutevano di transfert, contro-transfert, paranoia, relazioni oggettuali.

I due psicoanalisti viaggiarono insieme negli USA (1909), quando Freud fu invitato a tenere un ciclo di conferenze insieme a Jung. Ferenczi li accompagnò ed i tre ebbero così modo di conoscersi a fondo e di commentare le conferenze di Freud. Questa esperienza inoltre permise loro di analizzarsi reciprocamente. Ma Ferenczi fu compagno di viaggio di Freud anche a Parigi, Roma, Napoli, Palermo, Siracusa (1910), nelle Dolomiti (1911), di nuovo a Roma (1912), in Dalmazia (1912), a Corfu’, in Grecia (1913).

Nel 1913 Ferenczi fondò la società psicoanalitica ungherese e fu psicoanalista di personaggi che a loro volta sarebbero diventati imprtanti nel movimento, M. Klein, E. Jones, M. Balint.

Quanto alla tormentata vita sentimentale del nostro, dobbiamo sapere che a 31 anni, Ferenczi aveva iniziato una relazione con Gizella (1904), che aveva allora 39 anni, ed era sposata con Géza Palos, con il quale aveva avuto due figlie, Elma e Magda. Géza era un uomo malato e la relazione fra i due fu clandestina. Sette anni dopo, nel luglio del 1911, quando Sandor aveva 38 anni e Gizella 46, Elma Palos, la figlia maggiore di Gizella, una bella ragazza di 24 anni chiese alla madre di poter consultare Ferenczi per una depressione generata dal suicidio del suo fidanzato. Ferenczi si innamorò anche della figlia di Gizela e cominciò quindi un rapporto a tre dal quale i personaggi non riuscivano ad uscire. Per questo Elma fu mandata in analisi da Freud. Così scriveva Ferenczi a Freud: ‘Le lettere di Elma e il Suo rapporto, non sfavorevole, hanno mitigato il mio stato d'animo e in parte si sono dissolte le impressioni riguardo agli aspetti patologici di Elma; più spesso hanno cominciato a riemergere dalla memoria, scene che sembravano dimostrare la sua capacità di amare, e ho cominciato a contemplare la possibilità di una soluzione positiva. nel frattempo facevo visita ogni giorno alla signora G., che ha continuato a consolarmi nonostante la sua tristezza. tanta capacità di amare e tanta abnegazione, tanta ricchezza intellettuale e affettiva mi ricordano ogni volta dolorosamente quel che invece potrebbe essere in serbo per me con Elma. E tuttavia, per rispetto alla verità, devo riconoscere che malgrado tutto quel che ho rilevato, e constatato consciamente per quanto riguarda fascino, intelletto e sensibilità, con la signora G. non sento quell'entusiasmo, quello slancio spensierato, gioioso e naturale che Elma ha liberato in me. L'amore è irrazionale! "

Gizella era disposta a rinunciare questa relazione per la felicità di entrambi, ma Ferenczi non riusciva a decidersi. Così scriveva Elma a sua madre: “Cara mamma, Lei non mi parla mai di sé. Se Lei e Sandor avete deciso di comune accordo che non potete vivere l'uno senza l'altra, me lo scriva sinceramente. Finché Lei si sentirà così profondamente colpita dalla perdita di Sandor, egli non potrà staccarsi interiormente da Lei, né io potrò accettare a cuor leggero il suo amore. Ci rendiamo ben conto del Suo dolore, anche se Lei vuole nasconderlo; sarà meglio essere sincere. I suoi sentimenti limpidi, senza alcuna ombra, meritano di essere salvaguardati più dei miei. Tanto il mio futuro sarà una successione di difficoltà; una rinuncia in più o in meno non conta gran che per me…".

Per fortuna, Elma fece un viaggio negli Stati Uniti dove conobbe Laurvick, un americano e lo sposò. Sandor si sposò così con Gizella nel 1919, quando lui aveva 46 anni e lei 55. Tuttavia, come accadde per altri seguaci di Freud (Jung, Adler, Frank, ecc.) anche il rapporto di Ferenczi con il Maestro non avrebbe retto nel tempo. Per le sue idee, considerate 'infantili' dall'ortodossia psicoanalitica, Ferenczi fu messo progressivamente ai margini del movimento. Tuttavia, a differenza di quanto accaduto con gli altri oppositori interni alla psicoanalisi, le divergenze teoriche fra Ferenczi e Freud non incrinarono del tutto il loro rapporto personale: nelle ultime lettere che i due si scambiarono appare ancora un rapporto di stima e di amicizia. La rottura avvenne sulla questione della causa della nevrosi: Ferenczi era convinto che la vera causa della nevrosi fosse l’abuso sessuale subito dai bambini da parte degli adulti. Queste convinzioni contraddicevano la tesi freudiana per cui la nevrosi si basava sulla fantasia di aver subito degli abusi da parte dell’adulto e non su abusi veri e propri. Anche nei metodi clinici, Ferenczi riteneva giusto non essere dei semplici osservatori, ma empatizzare col paziente, assisterlo, anche attraverso manifestazioni di affetto: quelle manifestazioni di affetto che gli erano mancate nelle prime relazioni oggettuali. Le sue ‘tecniche attive’ non piacevano a Freud, che ripudiò l’innovazione del ruolo attivo dell’analista e insorse contro l’idea che l’analista potesse dare soddisfazione emotiva al paziente: per Freud l’analisi doveva, al contrario, essere condotta in un’atmosfera di astinenza.

Ferenczi si allontanò ancor di più da Freud quando formulò la teoria della corrispondenza fra sviluppo dell’individuo (ontogenesi) e sviluppo della specie (filogenesi). La vita intrauterina rappresentava una ripetizione dell’esistenza delle più semplici forme di vita oceanica. Quando, nelle età passate, una specie vivente era emersa dal mare, per continuare la sua evoluzione sulla terraferma, aveva sperimentato un dramma, di cui quello della nascita non era che una ripetizione. L’uomo avvertiva con dolore non solo la nostalgia del ritorno nel grembo materno (come sosteneva anche Rank, ma soprattutto quella del ritorno alla propria primordiale esistenza nelle profondità marine.

Troviamo queste idee in Formazione e scomparsa dei sintomi nevrotici 1914, Isteria e patonevrosi 1919, Il punto di vista sociale in psicoanalisi, 1922, Thalassa, psicoanalisi della vita sessuale 1924. Dopo la partenza di Elma per gli Stati Uniti (1913) Ferenczi fisicamente non stette più bene: soffrì delle conseguenze di un’operazione alla narice, poi di emorragie interne, somatizzazioni, mal di testa, difficoltà di respirazione, stanchezza intellettuale e fisica, attribuita ai suoi processi intellettuali creativi, accompagnati da una sistematica preoccupazione per il problema della morte. Vittima di un’anemia perniciosa, Ferenczi morì nel maggio del 1933.
 

In questi ultimi anni Ferenczi è stato riscoperto e le sue idee appaiono davvero innovative per il tempo in cui furono elaborate.


Pensiero e Opere
In Thalassa (1924), lo scritto forse più discutibile ed eccessivo, si cerca di connettere biologia e psicologia nell'ambito della sessualità. L'aspetto più importante di questo studio consiste nell'attenzione che Ferenczi pone sulla nascita psicologica del bambino nella relazione con la madre, inaugurando un filone che attualmente, con l'infant research, ha molto messo in risalto.
In Lo sviluppo della psicoanalisi (1924) si discute sulla tecnica analitica, ponendo in rilievo il coinvolgimento dell'analista e il conseguente controtransfert. Dunque la riflessione tocca direttamente la relazione analista-analizzando, termine quest'ultimo coniato da Ferenczi. Ne La confusione delle lingue (1933) il soggetto è il bambino con i traumi continui a cui va incontro. Tali traumi non sono visti solo come violenze esplicite ma, in modo più sottile e inconsapevole, vengono indotti dai genitori stessi in termini di aspettative nei confronti dei figli. Il bambino, in quanto soggetto debole e in un processo di identificazione, tende a compiacere il genitore, sviluppando una soggettività non genuina. Tali concetti saranno poi ripresi da Winnicott col falso Sé, nonché da A. Freud, con l'identificazione con l'aggressore.
In Diario clinico (1932), Ferenczi lascia il suo testamento spirituale:
notazioni tecniche delle sedute analitiche che evidenziano l'amore e l'attenzione verso il paziente e che danno numerosi spunti di riflessione.
Nonostante il disconoscimento ufficiale di allora, oggi sappiamo che la psicoanalisi ha ripreso una grande quantità di idee che Ferenczi, magari in modo anche confuso e ingenuo, formulò per primo.
Elasticità è parola chiave che egli usa spesso per connotare una seduta analitica. Con questa parola si intende un misto di autorevolezza, disponibilità a mettersi in gioco, immedesimazione, compassione e rispetto per le emozioni e pensieri del paziente. Il tutto all'insegna della responsabilità dell'analista: "riconoscimento ed elaborazione della propria influenza e delle proprie funzioni nel processo psicoanalitico, limiti inclusi".
Ferenczi si "mescola" col paziente, senza timori o remore, e accoglie molto di più degli analisti dell'epoca. Una modalità che oggi, al di là delle singole scuole, è ormai ampiamente riconosciuta e utilizzata, ma che allora era a dir poco rivoluzionaria. Il problema per Ferenczi era la sua solitudine professionale concreta e teorica, che spesso gli precluse la possibilità di assimilare, sostenere ed elaborare le sue intuizioni. La relazione intersoggettiva è la sua preoccupazione primaria il che emerge nei suoi scritti, specie nel "Diario clinico" .
Per esempio, vengono denunciate le possibili imposizioni, magari in modo inconscio, di ideali e valori dell'analista al paziente, nell'ambito di una relazione in cui il transfert gioca un ruolo fondamentale. Il rischio sempre in agguato è quello di una "identificazione acritica e mimetica", che può avvenire tanto nei bambini verso figure adulte, quanto negli analizzandi verso l'analista. In vari scritti anche iniziali si sottolinea che "in psicoanalisi non si può convincere qualcuno, ma solo convincere se stessi", e ancora "paziente e analista non possono raggiungere un vero convincimento attraverso la solo cognizione logica, ma occorre aver vissuto affettivamente le cose, averle provate nel proprio corpo".
Le intuizioni di Ferenczi riguardanti la seduta analitica sono ricchissime: la ricerca di condizioni emozionali democratiche per una vera relazione col paziente, l'attenzione a comportamenti non verbali, le risposte frenanti dei pazienti ai comportamenti dell'analista come indizi su ombre dell'analista stesso. In sostanza viene ricercato uno spazio di confronto tra due persone, dove l'elemento inizialmente più debole, il paziente, può a poco a poco assumere maggiore dignità e consapevolezza, al fine di creare un vero rapporto alla pari, intersoggettivo.
A questo proposito, il primo scritto di Ferenczi di una certa importanza, Il significato dell'eiaculazione precoce (1908), mette in evidenza, partendo da un atto fisico ben preciso, l'importanza della relazione e della specificità di entrambi i partner.
In seduta, il rischio dell'analista è proprio quello: l'eiaculazione precoce e precipitosa, quando l'interpretazione di un sogno o di una dinamica avviene secondo schemi ben collaudati che seguono una teoria di riferimento, una masturbazione insomma, senza che l'altro esista.
Le sue intenzioni generose di tecnica attiva lo portarono talvolta a commettere errori e ingenuità. Tra le molte, basti ricordare la tecnica di scambio di ruoli tra paziente e analista all'interno di una seduta. Compiuta con l'intento democratico di valorizzare il paziente nella relazione, rischiava di far subire al paziente le stesse dinamiche di iper responsabilizzazione già subite nell'infanzia.
Nel lavoro clinico dell'autore possono essere rilevate altre ingenuità simili, e spesso i detrattori hanno evidenziato solo questo aspetto. Occorre ricordare tuttavia che, come precursore di un modo nuovo di fare analisi, Ferenczi si trovava ad affrontare da solo situazioni molto più grandi di lui, che solo oggi possono essere viste con un occhio un po' più distaccato nel loro aspetto di coraggio e originalità feconda.

 

Riferimenti bibliografici

-- Il significato dell'eiaculazione precoce (1908)

-- Thalassa (1924)

-- Lo sviluppo della psicoanalisi (1924)

-- Diario clinico (1932)

-- La confusione delle lingue (1933)

-- Sandor Ferenczi - Georg Groddeck, Corrispondenza 1921-1933, Astrolabio, Roma, 1985.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA ITALIANA

 

- S. Ferenczi, Opere, Raffaello Cortina, 1989-92.

- Thierry Bokanowsky, Sandor Ferenczi, Armando, Roma, 2001

- Carlo Bonomi - Franco Borgogno, La catastrofe e i suoi simboli: il contributo di Sandor Ferenczi alla teoria psicoanalitica del trauma, UTET, Torino, 2001

- F. Borgogno, Psicoanalisi come percorso, Boringhieri, Torino, 1999

- Franco Borgogno (a cura di), La partecipazione affettiva dell'analista. Il contributo di Sandor Ferenczi al pensiero psicoanalitico contemporaneo, Franco Angeli, Milano, 1999

- Giorgio Antonelli, Il mare di Ferenczi: la storia, il pensiero, la tecnica di un maestro della psicoanalisi, Di Renzo, Roma, 1997

- Andre Haynal, Freud, Ferenczi, Balint e la questione della tecnica. Controversie in psicoanalisi, Centro Scientifico Torinese, Torino, 1990

- Enrico Mangini, Lezioni sul pensiero post-freudiano. Maestri, idee, suggestioni e fermenti della psicoanalisi del Novecento, LED, Padova, 2003


Opera che illustra l'evoluzione del pensiero di Freud, nelle sue diverse espressioni e ramificazioni dei vari studiosi. In particolare, vengono prese in esame le concezioni di autori come: Rank, Ferenczi, Jung, Anna Freud, Sullivan, Hatmann, Fromm, M. Klein, W. R. Bion, Winnicott, Balint, Lacan, Bowlby. 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

Il bambino si costruisce un modello interno di se stesso in base a come ci si è preso cura di lui.

 

Se il fatto che i bambini piccoli non siano mai completamente o troppo a lungo separati dai loro genitori fosse diventato parte della tradizione, allo stesso modo in cui il sonno regolare e la spremuta d’arancia sono diventate consuetudini nell’alleva-mento dei piccoli, credo che molti casi di sviluppo nevrotico del carattere sarebbero stati evitati. John Bowlby

 

 

 

 

John Bolwby

 

 

bowlbyJohn Bolwby nasce a Londra il 26 febbraio del 1907. Suo padre, il generale maggiore Sir Anthony Bowlby, era un medico chirurgo di successo, nominato chirurgo reale di re Edoardo VII.
Il valore intellettuale del giovane John risultò gia evidente all’università dove vinse parecchi premi e si guadagnò la laurea di prima classe in scienze precliniche e psicologia.
Invece di seguire la strada più ovvia da percorrere, studiare medicina clinica, Bowlby trovò un lavoro in una scuola all’avanguardia per bambini disadattati. Qui fece due tipi di esperienze che avrebbero influenzato l’intero corso della sua vita professionale.
La prima fu l’incontro con i bambini disturbati, con i quali scoprì di poter comunicare e le cui difficoltà sembravano essere in relazione alla loro infanzia infelice e frammentata.
La seconda fu l’incontro con John Alford, il quale consigliò a Bowlby di recarsi a Londra per seguire il training di psicoanalista.
Nell’autunno del 1920 Bowlby tornò a Londra seguendo il suggerimento di Alford e nel 1933, terminati gli studi medici presso l’University College Hospital, frequentò il tirocinio in psichiatria degli adulti; nel 1936 fu assegnato alla Child Guidance Clinic (clinica per l’assistenza del bambino) di Londra fino al 1940, anno in cui diventò psichiatra dell’esercito britannico con l’incarico di fornire un fondamento scientifico alla selezione degli ufficiali.
Immediatamente dopo la guerra Bowlby fu nominato vice direttore di Jock Sutherland della prestigiosa Tavistock Clinic di Londra, fucina di grandissimi psicoanalisti, con lo specifico compito di sviluppare un dipartimento infantile.
Egli assunse questo incarico con la consueta energia, efficienza e determinazione alternando la cura dei pazienti ai seminari clinici e alla ricerca.
Nel 1950, su incarico ricevuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, elaborò uno studio sulla “salute mentale dei bambini orfani o privati della loro famiglia per altre ragioni che devono essere affidati a famiglie educative, istituti o altre organizzazioni di assistenza collettiva”.
Dal 1956 al 1961 fu vice presidente di Donald Winnicott alla Società psicoanalitica dove i suoi lavori suscitarono notevoli discussioni e poco entusiasmo, accolti con aperta ostilità soprattutto dai kleiniani.
Bowlby ha dedicato gli anni dal 1964 al 1979 alla stesura della sua imponente trilogia: Attaccamento (1969), Separazione (1973) e Perdita (1980).
Egli ricoprì molte cariche prestigiose e importanti posti di consulenza, ricevette molte onorificenze a livello mondiale. Andò in pensione dal National Health Service e dal Medical Research Council nel 1972, rimanendo però alla Tavistock Clinic.
Nel 1980 fu “Freud Memorial Professor of Psychoanalysis” all’University College of London e le sue conferenze tenute durante questo incarico furono raccolte in “Costituzione e rottura dei legamenti affettivi” e “Una base sicura”.
Mentalmente e fisicamente attivo come sempre, da settantenne iniziò la psicobiografia di Darwin, da lui sempre ammirato, pubblicata pochi mesi prima della sua morte.
Il suo ottantesimo compleanno fu celebrato a Londra con una conferenza alla quale parteciparono moltissimi insigni oratori provenienti da tutto il mondo, circondato da omaggi floreali e dall’affetto di amici e colleghi, in una atmosfera carica di palpabile emozione.
Tre anni dopo ebbe un ictus mentre si trovava nella sua amata Skye con la famiglia.
Pochi giorni dopo, il 2 settembre 1990, John Bowlby morì.
Fu seppellito a Trumpan, in un piccolo cimitero con la vista sui picchi di Waternish, un luogo selvaggio dove, spinto dalla sua grandissima passione per la natura, vi aveva fatto lunghissime passeggiate; era stato egli stesso a chiedere di essere sepolto in quel luogo.
La sua tenacia e la sua costanza nei propositi sono celebrate nell’incisione sulla pietra tombale che recita: “Essere un pellegrino”.

 

 

 

 

Teoria dell'attaccamento di

John Bowlby

di Nicola Schiavone

 

 

Negli anni ’50-’60, lo psicologo americano Harry Harlow condusse una serie di esperimenti per studiare gli stimoli harryharlow3determinanti la formazione della risposta affettiva del figlio verso la madre. “Sfortunatamente – scrive Harlow – il neonato umano presenta dei limiti come soggetto sperimentale per ricerche di questo tipo perché le sue capacità motorie sono inadeguate”: per questo, egli adoperò scimmie neonate sottratte alla madre biologica a poche ore di vita ed alimentate artificialmente. Costruì poi due madri-surrogato, una di stoffa ed una di metallo: la prima offriva un contatto molto piacevole, la seconda no. Le scimmiette furono divise in due gruppi, uno veniva allattato dalla madre harlow-monkeydi stoffa, l’altro dalla madre di metallo: ma tutte le scimmiette cercavano il contatto con la madre di stoffa, soprattutto in presenza di stimoli che provocavano paura. La madre di stoffa era una presenza rassicurante per le scimmiette durante l’esplorazione della stanza; ma in assenza della madre di stoffa, esse rimanevano accucciate, oppure correvano per la stanza da un oggetto all’altro urlando. Harlow ne concluse che lharlowmonkeys5’attaccamento psicologico alla madre non è causato dalla soddisfazione del bisogno fame, ma dalla ricerca di un contatto confortevole, dell'affetto. Se ne deduce che l'affetto è ancora più importante del cibo. Anche la psicoanalisi aveva da tempo affinato gli studi sull'importanza e la qualità della relazione affettiva del bambino con la madre per un sano sviluppo psicologico; per giungere con Bowlby ad una teoria strutturata sulla qualità dell'attaccamento tra madre e figlio dopo molteplici osservazioni (v. Strange situation).

 

2391Il comportamento di attaccamento è quella forma di comportamento che si manifesta in una persona che consegue o mantiene una prossimità nei confronti di un’altra persona, chiaramente identificata, ritenuta in grado di affrontare il mondo in modo adeguato.

La teoria dell’attaccamento nasce con un esplicito interesse verso i primi anni di vita dell’essere umano e, più in generale, dei mammiferi.mother-child
Il più grande sostenitore e studioso di questa teoria è stato sicuramente John Bowlby, considerato uno dei tre o quattro più grandi psicoanalisti del ventesimo secolo.
Egli sosteneva che “l’attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba”.
All’inizio della vita l’essere nutriti equivale all’essere amati, il bisogno biologico legato all’alimentazione è presente insieme a un altro bisogno, anch’esso fondamentale, quello di essere amati, nutriti d’amore, di essere desiderati, voluti, accettati per quello che si è.

fatherandchildGli effetti nocivi della deprivazione materna, l’importanza del legame tra genitori e figli, il bisogno di una base sicura e il sentimento di attaccamento, il rendersi conto che il lutto ha un corso da seguire e che può essere suddiviso in fasi, tutti questi sono concetti familiari anche a persone molto lontane dal mondo della psicologia e della psicoterapia. Tali concetti, in tutto o in parte, possono essere fatti risalire all’opera di John Bowlby. Egli ha avuto un notevole influsso su un gran numero di discipline specialistiche come la pediatria, la psicologia dello sviluppo, il servizio sociale, la psichiatria.madame_georges_charpentier
All’inizio della vita umana l’essere nutriti equivale all’essere amati, il bisogno biologico legato all’alimentazione è presente insieme ad un altro bisogno, anch’esso fondamentale, quello di essere nutriti d’amore, di essere amati, di essere desiderati, voluti, accettati per quello che si è.

 

Per Bowlby prendere in braccio il proprio piccolo che piange è la risposta più adeguata, da parte della madre, ad un segnale di disagio del bambino: esso non si configura come un rinforzo nè come un comportamento che condiziona il piccolo rendendolo “viziato” come asseriscono i comportamentisti e i teorici familypicture-054-smalldell’apprendimento sociale.
Bowlby, psicanalista, aveva il terrore del mondo chiuso della psicoanalisi post-freudiana e, essendo trattato con freddezza, come altri prima di lui (Jung, Adler, Ferenczi, Reich), dopo un po’ abbandono la lotta e se ne distaccò per seguire i propri interessi.

 

Le origini

lettone_lettinoLe coccole, i giochi, le intimità del poppare attraverso le quali il bambino impara la piacevolezza del corpo di sua madre, i rituali dell’essere lavati e vestiti con i quali il bambino impara il valore di se stesso, attraverso l’orgoglio e la tenerezza della madre verso le sue piccole membra, queste sono le cose che mancano” (Bowlby)

Bowlby aveva intuito che l’attaccamento riveste un ruolo centrale nelle relazioni tra gli esseri umani, dalla nascita alla morte.
Insieme a Mary Ainsworth, anch’ella psicanalista e sua collaboratrice, lavorando all’applicazione di tale teoria ha contribuito a dimostrare come lo sviluppo armonioso della personalità di un individuo dipenda principalmente da un adeguato attaccamento alla figura materna o un suo sostituto.

Bowlby ripudia il modello di sviluppo di Freud a “senso unico” nel quale il bambino avanza dalla fase orale a quella anale ed a quella genitale.
Bowlby contrasta la teoria freudiana secondo la quale il legame madre-bambino si basa solo sulla necessità di nutrimento del piccolo, infatti ritiene che il legame che unisce il bambino alla madre non è una conseguenza del soddisfacimento del bisogno di nutrizione, bensì è un bisogno primario, geneticamente determinato, la cui funzione è garantire la crescita e la sopravvivenza biologica e psicologica del bambino.
Egli ritiene che la ricerca della vicinanza sia la manifestazione più esplicita dell’attaccamento.
Gli esseri umani hanno una predisposizione innata a formare relazioni con le figure genitoriali primarie.
Queste relazioni si formano durante il primo anno di vita del bambino ed hanno la funzione di proteggere la persona “attaccata”.

A Bowlby l’idea dell’attaccamento venne “in un lampo”, dopo aver letto i lavori etologici di Konrad Lorenz e Nikolaas Tinbergen.
Difatti, tale teoria prende spunto dagli studi etologici di Lorenz sull’imprinting e dagli esperimenti di Harlow con i macachi Rhesus fornendo a Bowlby il fondamento scientifico che egli riteneva necessario per aggiornare la teoria psicoanalitica.
Lorenz dimostrava come i piccoli di anatroccolo, privati della figura materna naturale, seguivano un essere umano o qualsiasi altro oggetto, nei confronti del quale sviluppavano un forte legame che andava oltre la semplice richiesta di nutrizione, dato che questo tipo di animale si nutre autonomamente di insetti.
Harlow aveva dimostrato come, in una serie di esperimenti, i piccoli di scimmia venivano messi a confronto con una “madre fantoccio” fatta di freddo metallo alla quale era attaccato un biberon e con un’altra “madre fantoccio” senza biberon, ma coperta di una stoffa morbida, spugnosa e pelosa. Le piccole scimmie mostrarono una chiara preferenza per la madre “pelosa” passando fino a diciotto ore al giorno attaccate ad essa (come avrebbero fatto con le loro madri reali) anche se erano nutrite esclusivamente dalla madre fantoccio “allattante”.

La teoria dell’attaccamento fornisce un valido supporto per lo studio di fenomeni legati a storie infantili di gravi abusi e trascuratezza, correlate con lo sviluppo di un ampio spettro di disturbi di personalità, sintomi dissociativi, disturbi d’ansia, depressione e abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti. In questi ultimi anni la teoria dell’attaccamento ha sviluppato un notevole interesse verso un approccio che indaghi sui possibili eventi negativi nell’età evolutiva, il contesto relazionale in cui questi fatti hanno avuto luogo e gli aspetti psicologici dell’adulto rispetto alle esperienze precoci.
Questo approccio postula che gli effetti a lungo termine di comportamenti genitoriali inadeguati e, quindi, di esperienze traumatiche all’interno della famiglia, siano in gran parte mediati dai modelli mentali sviluppati dall’individuo rispetto alle relazioni di attaccamento.
Ciò permette di acquisire importanti indizi riguardo alle caratteristiche di personalità e di funzionamento interpersonale.
La ricerca della relazione tra stili di attaccamento e psicopatologia è ancora agli albori.

 

Una base sicura

 

Bowlby osservando il comportamento dei macachi e quello dei bambini nei primi mesi di vita poté notare come si trovasse alla presenza degli stessi schemi di comportamento.
In particolare verificò come la madre (e la relazione con lei) fornisce al bambino una “base sicura” dalla quale egli può allontanarsi per esplorare il mondo e farvi ritorno, intrattenendo forme di relazione con i membri della famiglia.
Il concetto di “base sicura” è stato elaborato da Bowlby nel 1969. La persona fidata, ossia la figura di attaccamento, è quella che “fornisce la sua compagnia assieme a una base sicura da cui operare”. Lo sviluppo della personalità risente della possibilità o meno di aver sperimentato una solida “base sicura”, oltre che della capacità soggettiva di riconoscere se una persona è fidata può o vuole offrire una base sicura. La personalità sana consente di far affidamento sulla persona giusta e, allo stesso tempo, di avere fiducia in sé e dare a propria volta sostegno.
Al momento in cui il bambino avverte qualche minaccia, cessa l’esplorazione per raggiungere prontamente la madre per poter ricevere conforto e sicurezza.
Il piccolo protesta vivacemente se vi è un tentativo di separarlo dalla madre.
Per Bowlby i legami emotivamente sicuri hanno un valore fondamentale per la sopravvivenza e per il successo riproduttivo. Egli sottolinea che il conflitto è una dimensione ordinaria della condizione umana e che la malattia psichica è data dall’incapacità di affrontare efficacemente i conflitti.

Il termine “base sicura” è da attribuirsi a Mary Ainsworth la quale ideò nei tardi anni ’60 un valido strumento di indagine, la “Strange Situation”, per classificare i tre pattern base di relazione in bambini di età prescolare ricongiuntisi ai genitori dopo un lungo periodo di degenza in un sanatorio.
La Ainsworth distinse un primo gruppo di bambini che manifestava sentimenti positivi verso la madre, un secondo che manifestava relazioni marcatamente ambivalenti ed un terzo che intratteneva con la madre relazioni non espressive, indifferenti o ostili.

  

Strange situation

 

Valutazione del legame di attaccamento nei bambini Attraverso venti minuti di osservazione in cui si trovano in una stanza il bambino, la mamma ed un estraneo, si possono osservare i diversi comportamenti e le reazioni emotive del bambino in presenza della madre, al momento della separazione da questa ed in compagnia di un estraneo.

Da queste osservazioni nacque il famoso sistema di classificazione della Strange Situation che prevedeva inizialmente tre stili di attaccamento: sicuro, insicuro ansioso ambivalente e insicuro evitante.
Lo stile di attaccamento che un bambino svilupperà dalla nascita in poi dipende in grande misura dal modo in cui i genitori, o altre figure parentali, lo trattano. In base a tale interazione si strutturerà uno dei seguenti stili attaccamento:

- Stile Sicuro: l’individuo ha fiducia nella disponibilità e nel supporto della Figura di attaccamento, nel caso si verifichino condizioni avverse o di pericolo. In tal modo si sente libero di poter esplorare il mondo. Tale stile è promosso da una figura sensibile ai segnali del bambino, disponibile e pronta a dargli protezione nel momento in cui il bambino lo richiede.
I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: sicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di essere amabile, capacità di sopportare distacchi prolungati, nessun timore di abbandono, fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri, Sé positivo e affidabile, Altro positivo e affidabile. L’emozione predominante è la gioia.


- Stile Insicuro Evitante: questo stile è caratterizzato dalla convinzione dell’individuo che, alla richiesta d’aiuto, non solo non incontrerà la disponibilità della Figura di attaccamento, ma addirittura verrà rifiutato da questa. Così facendo, il bambino costruisce le proprie esperienze facendo esclusivo affidamento su se stesso, senza l’amore ed il sostegno degli altri, ricercando l’autosufficienza anche sul piano emotivo, con la possibilità di arrivare a costruire un falso Sé.
Questo stile è il risultato di una figura che respinge costantemente il figlio ogni volta che le si avvicina per la ricerca di conforto o protezione.
I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: insicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di non essere amato, percezione del distacco come “prevedibile”, tendenza all’evitamento della relazione per convinzione del rifiuto, apparente esclusiva fiducia in se stessi e nessuna richiesta di aiuto, Sé positivo e affidabile, Altro negativo e inaffidabile. Le emozioni predominanti sono tristezza e dolore.


- Stile Insicuro Ansioso Ambivalente: non vi è nell’individuo la certezza che la figura di attaccamento sia disponibile a rispondere ad una richiesta d’aiuto. Per questo motivo l’esplorazione del mondo è incerta, esitante, connotata da ansia ed il bambino è inclina all’angoscia da separazione. Questo stile è promosso da una Figura che è disponibile in alcune occasioni ma non in altre e da frequenti separazioni, se non addirittura da minacce di abbandono, usate come mezzo coercitivo.
I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: insicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di non essere amabile, incapacità di sopportare distacchi prolungati, ansia di abbandono, sfiducia nelle proprie capacità e fiducia nelle capacità degli altri, Sé negativo e inaffidabile (a causa della sfiducia verso di lui che attribuisce alla figura di attaccamento), Altro positivo e affidabile. L’emozione predominante è la colpa.

Dalle osservazioni della Strange Situation è emerso che alcuni bambini manifestavano comportamenti non riconducibili a nessuno dei tre pattern sopra descritti, rivelando così la necessità di aggiungere un quarto stile di attaccamento alla classificazione originaria. Main e Salomon hanno proposto la definizione “disorientato/di-sorganizzato” per descrivere le diverse gamme di comportamenti spaventati, strani, disorganizzati e apertamente in conflitto, precedentemente non individuati, manifestati durante la procedura della Strange Situation di Mary Ainsworth.

- Stile Disorientato/Disorganizzato: sono considerati disorientati/disorganizzati gli infanti che, ad esempio, appaiono apprensivi, piangono e si buttano sul pavimento o portano le mani alla bocca con le spalle curve in risposta al ritorno dei genitori dopo una breve separazione. Altri bambini disorganizzati, invece, manifestano comportamenti conflittuali, come girare in tondo mentre simultaneamente si avvicinano ai genitori. Altri ancora appaiono disorientati, congelati in tutti i movimenti, mentre assumono espressioni simili alla trance. Sono anche da considerarsi casi di attaccamento disorganizzato quelli in cui i bambini si muovono verso la figura di attaccamento con la testa girata in altra direzione, in modo da evitarne lo sguardo. 
Come anzidetto, tutti i bambini normali si “attaccano” entro i primi 8 mesi di vita, per portare a compimento tale processo entro il loro secondo anno.
L’indicatore per eccellenza che il legame di attaccamento è stabilito, si identifica nell’angoscia da separazione. È normale la presenza di attaccamenti multipli. Tali legami vengono collocati gerarchicamente e gli stessi nel corso dello sviluppo sono suscettibili di variazioni.
Lo stesso legame genitoriale, col passare del tempo, potrebbe passare in secondo piano rispetto al legame affettivo sentimentale.
Non è stato stabilito quando avvenga esattamente il passaggio dall’attaccamento genitoriale a quello tra pari.
Nell’adolescenza l’attaccamento attraversa un periodo di transizione. In questo periodo l’adolescente sembra spesso impegnato ad un allontanamento intenzionale dalla relazione con i genitori e familiari. Si cominciano così a stabilire le relazioni di attaccamento con coetanei (partner sentimentali e amici molto stretti). La componente sessuale di queste relazioni, che in questa fase comincia a manifestarsi, aiuta a favorire la componente dell’attaccamento, fornendo motivazioni stabili, l’esperienza di emozioni intense, intime.

 

 

Modelli Operativi Interni

I Modelli Operativi Interni sono rappresentazioni mentali che gli individui, secondo Bowlby, costruiscono nel corso dell’interazione col proprio ambiente.
Essi hanno la funzione di veicolare la percezione e l’interpretazione degli eventi da parte dell’individuo, consentendogli di fare previsioni e crearsi aspettative sugli accadimenti della propria vita relazionale.
I Modelli Operativi Interni consentono all’individuo di valutare e analizzare le diverse alternative della realtà, scegliersi quella ritenuta migliore, reagire alle situazioni future prima che queste si presentino, utilizzare la conoscenza degli avvenimenti passati per affrontare quelli presenti, scegliendo un’azione ottimale in relazione agli eventi stessi. Quindi permettono al bambino, e poi all’adulto, di prevedere il comportamento dell’altro guidando le risposte, soprattutto in situazioni di ansia o di bisogno.

Lo sviluppo dei M.O.I. fa riferimento alla teoria dello sviluppo senso-motorio di Jean Piaget ed ai relativi processi di assimilazione e di accomodamento.
Gli schemi interiorizzati del bambino, nei primi anni di vita, possono continuamente essere ridefiniti sulla base dei cambiamenti della realtà esterna e della relazione con la figura di attaccamento che muta con il mutare del bambino.
I M.O.I. possono successivamente cambiare quando, ad esempio, un genitore cambia radicalmente il suo atteggiamento nei confronti del figlio. Questi cambiamenti dei Modelli Operativi Interni sono intesi sia in senso positivo che in senso negativo a seconda della variazione comportamentale del genitore.
In conclusione, è proprio attraverso lo studio dei M.O.I. è possibile individuare un ponte tra la teoria dell’attaccamento e la psicoanalisi, essendo a Bowlby molto familiare il pensiero di Klein, Winnicott e di Freud.

 

Adult Attachment Interview Valutazione del legame di attaccamento nell’età adulta

Per valutare i Modelli Operativi Interni dell’adulto fu messa a punto da Mary Main una procedura chiamata Adult Attachment Interview.
Si tratta di un’intervista semi-strutturata condotta secondo le linee di una valutazione psicoterapica.
Tali interviste vengono registrate e classificate secondo otto diversi parametri.
A questo punto può essere stabilito a quale dei quattro stili di attaccamento viene assegnato l’individuo adulto esaminato.

- Stile Sicuro: modello di Sé positivo e dell’Altro positivo. Basso esitamento, bassa ansia. Alta coerenza, alta fiducia in se stesso, approccio positivo con gli altri, alta intimità nelle relazioni. Il modello positivo dell’individuo sicuro lo porta ad avere una grande fiducia in se stesso ed un grande apprezzamento degli altri, dai quali viene considerato come tipo positivo.
Le sue relazioni di coppia sono caratterizzate da intimità, rispetto, apertura emotiva ed i conflitti con il partner si risolvono in maniera costruttiva.


- Stile Preoccupato: è assimilabile allo stile insicuro ansioso ambivalente (Ainsworth). Modello di Sé negativo e dell’Altro positivo. Il modello negativo che l’individuo preoccupato ha di sé lo porta ad avere una bassa autostima tendente alla dipendenza del giudizio degli altri. Invece, il modello positivo che ha dell’altro lo porta alla continua ricerca di compagni e di attenzione. Necessita continuamente di intimità nelle relazioni tanto da la sua insaziabilità nella richiesta di attenzione tende a far allontanare gli altri. Le sue relazioni sentimentali sono costellate di passione, rabbia, gelosia e ossessività. Tende ad iniziare i conflitti con il partner rimandando, però, la rottura del legame.



- Stile Distanziante: è assimilabile allo stile Evitante (Ainsworth). Modello di Sé positivo, dell’Altro negativo. Il modello positivo dell’individuo distanziante lo porta ad avere alta fiducia in se stesso senza interessarsi del giudizio degli altri anche se pensa di essere considerato arrogante, furbo, critico, serio e riservato. Il modello negativo che ha dell’altro lo porta a dare l’impressione di non apprezzare molto le altre persone apparento, talvolta, cinico o eccessivamente critico. Svaluta l’importanza delle relazioni e sottolinea l’importanza dell’indipendenza, della libertà e dell’affermazione. Le sue relazioni di coppia sono caratterizzate dalla mancanza dell’intimità, tendendo a non mostrare affetto nelle relazioni. Preferisce evitare i conflitti e si sente rapidamente intrappolato o annoiato dalla relazione.



- Stile Timoroso-Evitante: è assimilabile allo stile disorientato-disorganizzato (Ainsworth). Modello di Sé negativo, dell’Altro negativo. Il modello negativo che l’individuo timoroso-evitante ha di se stesso lo porta ad avere bassa autostima e molte incertezze verso se stesso e verso gli altri. Il modello negativo che ha dell’altro lo porta ad evitare le richieste d’aiuto, evita i conflitti ed ha difficoltà a fidarsi degli altri. È difficile trovarlo coinvolto in una relazione sentimentale e quando vi si trova assume un ruolo passivo. In tali relazioni è dipendente ed insicuro. Tende ad autocolpevolizzarsi per i problemi di coppia ed ha difficoltà a comunicare apertamente e a mostrare i sentimenti al partner.

 

 

  Attaccamento e perdita. Vol. 1: L'Attaccamento alla madre Bowlby John, Bollati Boringhieri
  Attaccamento e interazione Marrone Mario, Borla
  Attaccamento e rapporto di coppia. Il modello di Bowlby nell'interpretazione del ciclo di vita Carli Lucia, Cortina Raffaello
  La teoria dell'attaccamento. John Bowlby e la sua scuola Holmes Jeremy, Cortina Raffaello
  Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell'attaccamento Bowlby John, Cortina Raffaello
  Attaccamento e formazione. Studio su John Bowlby Boffo Vanna, Unicopli.

 

 

 

 

Ancora sulla Teoria dell'attaccamento  

Mara Galluccio

 

 

 

La capacità di creare relazioni è stata uno dei principali oggetti di studio della psicologia dello sviluppo che in anni recenti si è concentrata particolarmente sul primo legame affettivo del bambino. Tale relazione è generalmente chiamata attaccamento e può essere definita come un legame di lunga durata, emotivamente significativo, che il bambino sviluppa nei confronti dell' adulto che si prende cura di lui.
A rigore bisogna effettuare una distinzione tra i diversi concetti connessi all'attaccamento: l'attaccamento come legame; i comportamenti di attaccamento, cioè il mezzo tramite il quale viene espresso e mantenuto il legame stesso; il sistema comportamentale di attaccamento, che regola i comportamenti del bambino coordinandoli in vista di uno scopo.
Il legame di attaccamento, perlomeno nei bambini piccoli, sembra possedere le seguenti caratteristiche: a) ricerca di vicinanza fisica alla figura di attaccamento; b) effetto base sicura, cioè l'atmosfera di benessere e sicurezza che il bambino avverte una volta stabilita la vicinanza fisica c) protesta alla separazione, quando la prossimità diventa impossibile.
Un'ulteriore caratteristica individuata da Bowlby, il cosiddetto monotropismo, si è rivelata più controversa. Infatti, è apparso presto evidente che un bambino non stabilisce un legame d'attaccamento con un'unica persona ma con più figure. Appare, pertanto, più corretto parlare di selettività dell'attaccamento, per mettere in luce che questo specifico legame si sviluppa nei confronti di un numero comunque ristretto di persone, spesso con una riconoscibile gerarchia di significatività.
La ricerca di vicinanza fisica appare come il fulcro dell'attaccamento; infatti, anche se successivamente la relazione di attaccamento diventa estremamente sofisticata e astratta, spostandosi progressivamente da un piano spaziale e fisico a uno relazionale, la sua finalità immediata, almeno nell'infanzia, sembra risiedere proprio nel produrre come risultato la prossimità fisica al genitore. Ciò non sorprende se si considera che presumibilmente il suo fine evolutivo (cioè il valore di sopravvivenza in forza del quale è stato plasmato dalla selezione naturale) sembra consistere nel fatto di garantire ai piccoli, tramite la stretta vicinanza alle figure accudenti, la protezione dai predatori e dai pericoli in genere.
Va a John Bowlby (1969, 1973, 1980) il merito di aver fornito una prima formulazione della natura e della genesi dell'attaccamento, anche se nella sua forma attuale la teoria si basa soprattutto sui risultati del lavoro congiunto di Bowlby e della Ainsworth. Importanti, inoltre, i contributi di parecchi altri autori che hanno ulteriormente arricchito la teoria; alcuni di questi ampliamenti sono però avvenuti lungo linee divergenti e solo la ricerca futura potrà dire quale direzione si rivelerà più feconda. Malgrado le divergenze e i punti ancora in discussione esiste tuttavia un vasto corpus di nozioni condivise.
Per delineare la sua teoria Bowlby si è basato su concetti mutuati da diverse fonti quali la psicoanalisi, la teoria dell'informazione e la teoria dei sistemi, ma ha subito soprattutto l'influenza dell'etologia che da sempre si era dedicata allo studio di pattern comportamentali animali; il merito di Bowlby sta proprio nell'aver adottato un'ottica etologica per studiare funzioni molto più complesse quali quelle che coinvolgono lo sviluppo delle relazioni sociali dell'uomo.
Secondo Bowlby, il bambino piccolo possiede una predisposizione innata, su base biologica, a sviluppare un legame di attaccamento verso chi si prende cura di lui. E anche se al giorno d'oggi il pericolo non è più costituito dai predatori, il comportamento di attaccamento continuerà ad essere attivato da qualsiasi percezione di pericolo e avrà fine quando verrà ripristinato uno stato di sicurezza. L'attaccamento ha quindi la funzione biologica di garantire al piccolo una protezione e quella psicologica di fornirgli sicurezza.


Lo sviluppo dell'attaccamento

Bowlby individua quattro fasi nella genesi dell'attaccamento. Nella prima fase (0-2 mesi), definita anche di preattaccamento, il bambino mette in atto - all'avvicinarsi di qualsiasi essere umano- una serie di comportamenti sia di orientamento (volgere la il capo nella direzione del nuovo arrivato, seguirlo con lo sguardo) che di segnalazione ( il pianto, il sorriso, la lallazione, eccetera). In questo periodo la discriminazione tra una persona e l'altra è assente o comunque assai limitata: accade così che il bambino possa smettere di piangere non appena ode la voce o vede il viso di una persona qualsiasi.
In una seconda fase, dai 2 ai 7 mesi circa, il bambino comincia a distinguere coloro che si prendono cura di lui da tutti gli altri. Infatti, mentre in generale persiste un atteggiamento amichevole verso tutte le persone è comunque rilevabile adesso una capacità di discriminazione e quindi la comparsa di reazioni differenziate nei confronti di una o più figure preferenziali. Di conseguenza, a esempio, il bambino sorride più pienamente e più frequentemente alla vista della madre che a quella di altre persone oppure cessa di piangere solo quando in braccio alla madre e non a un'altra persona.
Nella terza fase, che spazia tra i 7 mesi e i 2 anni, vengono meno le risposte amichevoli indiscriminate mentre compaiono, al contrario, diffidenza e timore verso persone non familiari. Compaiono in questa fase anche i comportamenti di avvicinamento e di mantenimento del contatto (a esempio, l' aggrapparsi; oppure dapprima il gattonare dietro la madre e quindi successivamente il seguirla quando si allontana). Sempre nel corso di questa fase i diversi comportamenti si organizzano secondo un modello corretto secondo uno scopo: quello di mantenere una certa vicinanza alla madre, anche se naturalmente il bambino non è ancora in grado di cogliere l'intenzionalità di quest'ultima e di influenzarne in modo consapevole la condotta.
L'ultima fase, infine, dopo i 2 anni, è caratterizzata dallo sviluppo di una relazione, sempre corretta in vista di uno scopo, ma questa volta di tipo reciproco. E' in questa fase infatti che, secondo Bowlby, il bambino comincia a intuire i sentimenti e le motivazioni della madre, i suoi obbiettivi e i piani che mette in atto per raggiungerli. In questo modo egli può anche cercare di influenzarne i comportamenti: si creano così le premesse per una complessa relazione reciproca.


I modelli operativi interni

Nell'inquadrare lo sviluppo dell'attaccamento dapprima come un insieme di relazioni semplici, attivate automaticamente alla presenza di un qualsiasi adulto e poi come sistema complesso rivolto a persone specifiche e ben differenziate un altro aspetto risulta fondamentale e riguarda ciò che sono definiti Modelli Operativi Interni.
In generale, i Modelli Operativi Interni non sono da intendere come delle copie fedeli del mondo quanto piuttosto come degli schemi che raccolgono certe relazioni essenziali tra elementi della realtà esterna ( a esempio, connessioni temporali, di causa-effetto oppure spaziali) in modo da rendere il soggetto capace di formulare previsioni sull'andamento futuro dei fenomeni rappresentati (Craick, 1943). Il termine 'operativi' mette bene in luce la natura dinamica di questi schemi che possono andare incontro a ripetuti aggiustamenti sulla base delle esperienze intercorrenti.
Naturalmente, tra gli aspetti del mondo importanti per il bambino, nessuno risulta così importante come quello riguardante le relazioni interpersonali da cui dipende la sua stessa sopravvivenza fisica e il suo benessere emotivo: proprio per questa ragione egli costruirà un modello interno delle figure di attaccamento, interiorizzando la qualità delle ripetute interazioni con queste ultime. Strettamente connesso al modello delle figure d'attaccamento è il modello che il bambino svilupperà di sé e che appare delinearsi in modo complementare al primo: infatti, un bambino che ha costruito un modello della figura d'attaccamento come disponibile e attenta, tenderà a sviluppare un modello complementare di sé come degno e meritevole di cure.
Un problema aperto resta quello di comprendere la natura dei modelli operativi interni che il bambino svilupppa nel caso di relazioni d'attaccamento con più figure significative. Si assisterà, in questo caso, a una molteplicità di modelli di sé in relazione ai diversi modelli delle varie figure d'attaccamento? In realtà è poco plausibile che avvenga una cosa del genere ma le ipotesi formulate in alternativa sono piuttosto diverse: alcuni autori ritengono che il modello di sé sia plasmato soprattutto dal legame con la figura d'attaccamento primaria ( Main, Kaplan, Cassidy, 1985), mentre altri ritengono che nel corso dello sviluppo il bambino integri i diversi modelli in un unico metamodello (Bretherton, 1995).


I pattern d'attaccamento

La maggior parte della ricerca si è concentrata sull'analisi degli aspetti qualitativi della relazione di attaccamento ed in particolare sulle differenze esistenti, nella prima infanzia, per ciò che riguarda la sicurezza della relazione di attaccamento iniziale. Il primo contributo in merito è stato dato da Mary Ainsworth e collaboratori (1978), che hanno ideato una procedura osservativa, definita Strange Situation, che sottoponendo i bambini a una serie di stress relativamente blandi, ma progressivamente crescenti, permette di rilevare i comportamenti nei confronti della figura di attaccamento e di formulare delle ipotesi attendibili sui sentimenti e sulle motivazioni che li sottendono.
La procedura comprende otto episodi che avvengono all'interno di un contesto non familiare al bambino e che permettono agli osservatori di descriverne il comportamento in diverse fasi: al momento dell'introduzione nella stanza insieme con la madre; quando è da solo con la madre; dopo l'arrivo di un adulto estraneo; quando resta da solo con quest'ultimo; completamente da solo; al ritorno dell'estraneo; e infine al ritorno della madre. Viene analizzato il modo in cui il bambino reagisce alla separazione dalla madre, i comportamenti di esplorazione che mette in atto, il comportamento in presenza dell'estraneo, la reazione al ricongiungimento con la madre.
Secondo la Ainsworth, le reazioni dei bambini a questa situazione possono essere classificate in tre categorie di attaccamento: il sicuro (B), l' insicuro-evitante (A), l' insicuro-ambivalente (C). In particolare, il bambino classificato come sicuro alla Strange Situation, gioca serenamente quando la madre è vicina, non ha bisogno di controllarne continuamente la presenza, la utilizza come base sicura per esplorare l'ambiente e mostra interesse per la presenza di persone estranee. Il bambino evitante, al contrario, non sembra giovarsi della vicinanza della madre né risentire della sua lontananza; tende a ignorarla quando vengono riuniti dopo la separazione dedicandosi di più al gioco e all'esplorazione. Infine, il bambino ambivalente mostra di avere molte difficoltà in una situazione estranea, cerca il contatto con la madre e non esplora l'ambiente; la separazione appare turbarlo molto e alla riunione con la madre manifesta un misto di ricerca di contatto e di riluttanza allo stesso.
Successivamente alcuni ricercatori si sono resi conto che non tutti i bambini avevano comportamenti riconducibili alla classificazione della Ainsworth. Sono state così proposte nuove categorie: Main e Solomon (1986, 1990), a esempio, hanno individuato un quarto pattern, definito disorganizzato/disorientato (D), che fa riferimento a quei bambini i cui comportamenti non appaiono organizzati all'interno di una strategia coerente. Sono caratteristici di questo pattern, a esempio, comportamenti contraddittori, movimenti incompleti o interrotti, posture immobili o espressioni di paura. Successivamente, Crittenden (1988) ha descritto una tipologia mista di attaccamento, denominata evitante/ambivalente, osservata di frequente in bambini maltrattati. Questa categoria differirebbe dalla precedente in quanto comportamenti e atteggiamenti appartenenti a tipologie diverse, cioè al pattern evitante e a quello ambivalente, sembrerebbero comunque manifestarsi all'interno di una strategia comportamentale coerente e ben definita.


Pattern d'attaccamento e stile materno

Secondo la Ainsworth e collaboratori (1978), le differenze qualitative nel tipo di attaccamento sviluppato dai bambini sarebbero determinate dalla sensibilità mostrata dalla madre nei confronti del piccolo durante i primi mesi di vita. In particolare, è stato mostrato come le madri di bambini classificati come sicuri siano in grado di recepire i segnali di comunicazione del bambino, rispondendo prontamente a segni di disagio o di malessere e mostrandosi nel contempo disponibili e affettuose. Di conseguenza, il bambino -confidando nella disponibilità della madre a sostenerlo- riuscirebbe a sviluppare un senso interno di sicurezza che gli permette di esplorare il mondo circostante.
Differentemente, le madri di bambini classificati come insicuri-evitanti sembrerebbero non essere in sintonia con i comportamenti del bambino, mostrandosi poco sensibili ai segnali di disagio e poco accoglienti anche sul piano fisico. In rapporto a ciò, il figlio svilupperebbe una scarsa fiducia circa una pronta e adeguata risposta alle proprie difficoltà. Tenderebbe così a mantenere una sorta di atteggiamento di autosufficienza con il risultato di minimizzare le occasioni di vicinanza alla madre e quindi il rischio di un possibile rifiuto.
Infine, le madri di bambini classificati come insicuri-ambivalenti, mostrano un atteggiamento piuttosto imprevedibile: alcune volte, infatti, appaiono affettuose e accudenti mentre altre volte, magari proprio quando il bambino ha più bisogno, si rivelano di fatto poco pronte e disponibili. Ciò naturalmente ha delle conseguenze per il bambino: quest'ultimo, infatti, svilupperà presumibilmente un'incertezza circa la disponibilità della madre a fornire protezione in caso di bisogno e come risultato resterà tenacemente coinvolto con la figura d'attaccamento, non riuscendo però a utilizzarla come base sicura per l'esplorazione.
In definitiva, il nesso tra sensibilità materna e qualità dell'attaccamento appare a livello teorico sicuramente convincente. Tuttavia la considerazione delle ricerche empiriche sull'argomento induce a ritenere che esso non sia l'unico fattore in gioco e che anche altri elementi possano essere importanti. Ai fini di quale pattern d'attaccamento andrà a svilupparsi sembra, a esempio, significativo -per lo meno in alcuni casi- il ruolo del temperamento del bambino: in particolare è stata studiata la 'suscettibilità a irritarsi' (Belsky, 1999). Naturalmente il temperamento potrebbe finire con influenzare l'atteggiamento della madre, modificandone il tipo di sensibilità.
E' possibile, pertanto, che più che i singoli fattori siano importanti le interazioni complesse tra più elementi, capaci di influenzarsi e, almeno entro certi limiti, plasmarsi vicendevolmente.


 

Bibliografia

- Ainsworth M.D.S. et al. (1978) Patterns of Attachment, Elbaum, Hillsdale, NJ
- Belsky J. (1999) Influenza delle interazioni e del contesto sulla sicurezza dell'attaccamento. In: Cassidy J., Shaver P.R. (a cura di) tr.it. Manuale dell'attaccamento, Fioriti, Roma, 2002
- Bowlby J. (1969) tr.it. Attaccamento e Perdita, vol. 1: L'attaccamento alla madre, Bollati Boringhieri, Torino 1972.
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