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Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti o che non hanno mai inciampato. A loro non si è svelata la bellezza della vita.   Boris Pasternak 

  
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Perchè consultare uno Psicologo


psicologiaxL'individuo non sempre si prende cura della sua salute psicologica tanto quanto fa con la propria salute fisica. Tra l'altro esiste ancora in molti la sfiducia nell’esperto in salute psicologica, visto, per la poca conoscenza in materia, come il "medico dei matti".  In realtà andare dallo Psicologo non vuol dire essere "svitati", o "diversi", ma, al contrario, significa prendersi cura della propria salute mentale, che va di pari passo con quella fisica, migliorando notevolmente la qualità totale della propria esistenza. Un supporto psicologico può essere utile per una crisi temporanea, per favorire una crescita interiore personale, per delle esigenze di orientamento, per raggiungere una maggiore e migliore consapevolezza di sé, degli altri e del proprio contesto familiare, sentimentale, sociale, lavorativo o scolastico.

Un qualsiasi mutamento o evento nella propria esistenza (come cambiare lavoro, sposarsi, crescere, avere dei figli, superare degli esami, etc.) può risultare di difficile elaborazione e superamento; in tal caso una consulenza psicologica può risultare un benefico supporto ed aiuto positivo, traghettando la persona attraverso il disagio interno fino alla sua attenuazione e/o scomparsa. Un supporto psicologico può essere utile per open_your_mind_logomigliorare e capire la propria parte interna, ritrovando un giusto equilibrio in essa e con il mondo esterno. Un supporto psicologico da parte di uno specialista della salute mentale può essere utile per creare uno spazio diverso da quelli abituali della vita di tutti i giorni, dove confidarsi e confrontarsi, ed al quale rivolgersi come punto di riferimento.

 

    
Molto tardi si impara che la debolezza
non è un difetto ma una qualità della persona.
Una qualità rischiosa che non richiede indulgenza o severità ma riconoscenza. Luigi Pintor da Il Nespolo.

 

 

 

In breve che cos'è per me la PSICOTERAPIA

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La psicoterapia è un tipo di terapia diretta a ridurre/eliminare il disagio di persone che soffrono di problemi e disturbi psicologici, utilizzando prevalentemente lo scambio verbale. Attraverso il "colloquio clinico" lo specialista offre al cliente una "consulenza" che si basa su conoscenze scientifiche e l'esperienza applicata, in cui vengono analizzati i processi e le cause alla base del disturbo e applicati metodi finalizzati al cambiamento adattivo. Questo obiettivo può essere perseguito dalla terapia con la ridefinizione positiva e arricchimento del vissuto, l'acquisizione di nuove abilità, la ristrutturazione di convinzioni distorte, disadattive, il raggiungimento di un equilibrio relazionale e più in generale la riorganizzazione della personalità. Il processo di guarigione prevede una partecipazione emotiva ed un impegno attivo del cliente che nello studio dello psicoterapeuta rivive e rielabora la propria "esperienza" presente e passata.

 

DEFINIZIONE DI PSICOTERAPIA TRATTA DA Giovanni JERVIS (1975), Manuale critico di psichiatria, Feltrinelli, Milano:

“La psicoterapia è qualsiasi forma di aiuto e di cura attraverso il rapporto interpersonale. In senso generale, è psicoterapia quanto di utile può derivare al soggetto, per la soluzione dei propri problemi e la scomparsa dei propri disturbi, dall'incontro con un'altra personasymbol_psy o con persone, e dallo scambio diretto di parole e di messaggi non verbali. In modo più preciso e limitato, si può parlare di psicoterapia quando un aiuto del genere venga dato in modo intenzionale da parte di una o più persone che abbiano la capacità [e la professionalità - corsivo mio] di farlo.”

 

 

Lo studio dello psicologo – psicoterapeuta

 

Lo studio di psicologia e psicoterapia viene definito setting psicologico/clinico. 'Setting' è un termine inglese impiegato per indicare un contesto di ricerca che sia delimitato nel modo più rigo­roso possibile, affinché quanto si osserva, si de­scrive, si comprende, si spiega, possa avere un'at­tendibilità scientifica. In psicoterapia è lo spazio, il contenitore in cui viene ricevuto l'utente che ne fa richiesta attraverso, generalmente, un contatto telefonico in cui viene fissato l'appuntamento. Essendo il luogo di lavoro di una psicoterapia segue alcune indicazioni importanti che generalmente rimangono costanti per tutta la durata della terapia.

ansia14oIl setting della terapia, però, non è delimitato al luogo e alla disposizione dello spazio in cui si svolge, il setting è anche il linguaggio, le regole del linguaggio e non solo le regole del linguaggio.
Ogni frase pronunciata è anche una presa di posizione nei confronti dell'altro, è un dire: "Io sono così nella relazione. E tu?". Una richiesta fatta all'interno della relazione pone l'altro di fronte a quattro possibilità, non di più: rispondere di sì, rispondere di no, ignorare la richiesta, negoziare una risposta diversa. In base alla scelta fatta si struttura il seguito della relazione; cioè si costruisce una storia.

Tutto questo, ha a che fare con l'aspetto pragmatico della comunicazione, e quindi parla di qualcosa che costantemente mettiamo in atto nelle nostre relazioni con gli altri. Ciascuno di noi realizza la propria umanità all'interno di relazioni linguistiche, ovvero per chiedere in prestito un'espressione a un filosofo, Wittgenstein, che di queste cose si è molto occupato (Wittgenstein, ansia5Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino) all'interno di determinati "giochi linguistici" (ved. anche Berne E. in ... e degli altri miei Maestri 2). In pratica dobbiamo considerare facenti parte del setting anche quelle regole che mettiamo in atto molte volte senza esserne neppure del tutto consapevoli. 

Ci sono giochi linguistici che ribadiscono la stabilità di una situazione, ci sono giochi che mettono in moto un cambiamento. Fare terapia significa creare una situazione comunicativa - un "gioco linguistico" - favorevole al cambiamento.

Nel corso di una psicoterapia noi costruiamo una storia, dove si affermano mano a mano determinate regole, attraverso il modo in cui abbiamo stabilito la comunicazione col cliente, o abbiamo accettato che la stabilisse lui.

ansia9Questo aspetto è in realtà trasversale ai diversi indirizzi psicoterapeutici. Ognuno di essi ha poi la sua concezione, la sua metapsicologia del cambiamento. Grazie a che cosa il cliente cambia? (potremmo anche dire: "e noi cambiamo con lui": quest'aspetto è senz'altro vero, altrimenti non ci sarebbe relazione; rimane che il cambiamento messo a tema, e desiderato, è quello della persona che viene a "fare terapia".)

 

E poi certo, anche le regole del contratto terapeutico fanno parte del setting.

Tutti gli elementi descritti di seguito vengono definiti comunemente: criteri estrinseci della situazione psicoterapeutica [Merton M. Gill (1994), Psicoanalisi in transizione, Raffaello Cortina, Milano, 1996].

 

1. La frequenza degli incontri
La frequenza può andare da un minimo di una seduta a settimana ad una massimo, per la psicoanalisi classica, di quattro sedute. 

 

2. La durata di una seduta
Generalmente un colloquio dura dai 45 ai 50 minuti, questo però è a discrezione del terapeuta e del suo modello di riferimento. L'aspetto importante è che al di là della durata deve assolutamente essere fissa per tutto il tempo della terapia.
Solo nella psicoterapia lacaniana la durata della seduta può variare.

 


Premessa:

 

Un giovane voleva con tutto se stesso apprendere l'arte della spada, allora andò da un maestro e gli disse:

"Maestro, voglio apprendere l'arte della spada!"

Il maestro rispose:

"Ti ci vorranno 10 anni"

"10 anni?? ma io voglio imparare prima!"

"Allora te ne serviranno 20"  

storiella zen


3. La durata della terapia

Notoriamente una psicoanalisi o una psicoterapia psicoanalitica durano diversi anni, mentre altri metodi terapeutici hanno anche durata più breve; comunque deve cercare di essere adeguata al problema e ai tempi necessari affinché la persona possa acquisire e far proprie quelle risorse necessarie per poter essere autonoma nella gestione delle problematiche portate nella terapia.

 

 

4. La parcella

Dal tariffario nazionale:

 

Psicoterapia

     250px-euro_coins_and_banknotes
Psicoterapia individuale (per seduta)
Min. € 40
Max. € 140
Psicoterapia di coppia o familiare (per seduta)
Min. € 55
Max. € 185
Psicoterapia di gruppo (per seduta e per partecipante)

Min. € 20
Max. € 70

 detraibilità

 

Questo riferimento rimane indicativo perché dal 2006 la legge "Bersani" ha eliminato i corrispettivi minimi, NON I MASSIMI. 

 

ESEMPI DI FATTURAZIONE

Prestazioni esenti da IVA rese a Privato

Onorario professionale

   80,00

2% Contrib. Previd. (art.8 D.Lgs.103/96)

   1,60

Marca da bollo

1,81

Totale Parcella / Totale da incassare

   83,41

Esente IVA art. 10 n°18 DPR 633/72

 

Le spese di psicoanalisi e di psicoterapia si rilevano come oneri per i quali compete la detrazione d'imposta nella misura del 19% dell'importo che eccede € 129.12. Si rammenta che la rilevanza fiscale di questa spesa si è avuta dal 1989, cioè dall'entrata in vigore della legge 18-2-1989, n. 56 istitutiva dell'ordinamento della professione di "Psicologo". In questo senso si è pronunciata anche la Corte Costituzionale nella ordinanza n. 74 del 1-3-1995.
Alla luce della normativa attuale rientrano tra le spese sanitarie detraibili le spese per prestazioni mediche e psicologiche specialistiche sostenute per sedute di psicoterapia rese da medici o da psicologi autorizzati all'esercizio della psicoterapia.
Le spese per la psicoterapia sono detraibili sino ad un massimo annuo di € 15.493,71 a persona. Esse sono esenti da IVA.  Non occorre la prescrizione medica se la prestazione viene resa da uno Psicologo.

Alcune fonti normative :
Legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 28-29
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 15
Agenzia delle Entrate, Circolare 28 marzo 2008, n. 30/E 84 

 
Confronta il tariffario dell'Ordine degli Psicologi.

 

5. Lo spazio di lavoro
Il luogo dovrà essere abbastanza silenzioso, dovrà esserci una sufficiente illuminazione, dovrà essere confortevole e soprattutto dovrà essere garantita una buona privacy rispetto all'esterno.


6. La poltrona/sedia o il divano/lettino?
matisse5La scelta di queste due posizioni dipende da diversi fattori, l'aspetto che qui mi preme sottolineare è che hanno significati e tecniche diversi e quindi vengono attentamente decise in funzione del modello terapeutico e del cliente.   
Le immagini (entrambe tratte da dipinti di Matisse) mostrano due tipi di setting psicoterapeutico: il primo famatisse-ostrich-feather-hat riferimento alla psicoanalisi classica la quale utilizza il lettino con lo psicoanalista dietro; la seconda fa riferimento ad un setting più diffuso di psicoterapia in cui cliente (paziente, utente) e terapeuta sono seduti in poltroncine quasi frontalmente (o ad angolo l'uno rispetto all'altro - anche la distanza è significativa del tipo di setting); questa posizione viene definita comunemente "vis à vis" (faccia a faccia).
 

Come dice Giorgio Cavallero: “Ciò che rende l'attività terapeutica diversa da un incontro qualsiasi, tra persone che stanno in relazione, sono le regole che ci diamo per questo tipo d'interazione. Tali regole non dovrebbero essere esclusivamente personali ma in larga parte condivise dalla comunità professionale degli psicoterapeuti nel contesto giuridico in cui operiamo. Inoltre abbiamo una teoria con la quale dobbiamo fare i conti. Teoria che possiamo stiracchiare, comprimere, modificare, trasformare ma, che comunque è un elemento di setting centrale nel terapeuta. Cioè, il terapeuta si accinge a fare terapia sulla base di una teoria che dà senso al suo operare. Nella teoria c'è una concezione dell'essere umano e del suo funzionamento [...]. In essa si trova risposta a domande del tipo: come descrivere il comportamento, come rappresentare la salute e la patologia, come avviene il cambiamento, qual è il compito del terapeuta nel processo e perché, eccetera.” 

 

L'obiettivo della psicoterapia:

 

logo_psiE' che la persona diventi protagonista attivo della sua vita, imparando come reagire e risolvere situazioni di sofferenza e stress, migliorando la qualità della propria vita. 

E' lo sviluppo individuale, in cui "l'uomo diventa ciò che è sempre stato", ovvero ciò che avrebbe voluto essere e che non è mai riuscito.

In linea generale possiamo dire che l'obiettivo di una psicoterapia è il miglioramento della qualità delle proprie relazioni. Nella pratica clinica attuale è più facile che una persona richieda una psicoterapia lamentandosi per la qualità delle sue relazioni piuttosto che per una precisa sintomatologia, come avveniva invece ai tempi di Freud.


ELEMENTI COMUNI DI UNA PSICOTERAPIA
Tratto da: M. Ardizzone, M. Grasso, L. Pinkus (1980). Orientamenti in psicologia clinica, Bulzoni, Roma [pp. 101-103].

Al di là delle tecniche specifiche utilizzate da terapeuti di diversa formazione, possiamo definire alcuni elementi comuni presenti in ogni forma di terapia, essi sono:


1. La richiesta d'intervento


2. La sintomatologia


3. Il rapporto interpersonale


Il primo aspetto riguarda la possibilità che una persona riconosca un problema o una difficoltà e decida di chiedere aiuto.
Il secondo aspetto, la sintomatologia, può essere costituita da elementi molto ben delineati oppure da situazioni generalizzate. Possiamo osservare che su di essa si punta l'attenzione del cliente in quanto costituisce una sorta di limitazione alla sua vita.
Il terzo aspetto è costituito dal fatto che una psicoterapia si svolge sempre sulla base di una relazione umana. Il processo di ristruttutazione terapeutica in una persona che avverte un forte disagio, avviene utilizzando proprio il rapporto che si stabilisce con il terapeuta.deprrrr

A questo proposito, osserva Pinkus: "dal momento che la maggioranza delle conoscenze che si possono avere su di una persona come pure delle difficoltà che uno incontra nella vita sorgono dai rapporti interpersonali, sembra logico che sia una situazione simile a permettere il riemergere, lo strutturarsi o il recupero delle cause iniziali della non realizzazione del sé o delle problematiche di disadattamento."
Date dunque queste caratteristiche comuni possiamo notare poi che ogni forma psicoterapeutica accentua l'uno o l'altro dei fattori comuni. Questo non significa necessariamente che gli altri elementi vengono trascurati, ma che, sulle basi del quadro di riferimento teorico, non vengono presi in altrettanta considerazione.

depresssssIn ogni caso l’attività terapeutica viene attivata dopo che lo psicologo ha effettuato un colloquio iniziale che ha posto le basi per una speciale relazione interpersonale che si realizza all’interno dello studio psicoterapeutico. Durante il colloquio iniziale il clinico ha anche raccolto le informazioni anamnestiche fondamentali e ha compreso con sufficiente chiarezza la richiesta d’aiuto del paziente. Un ulteriore momento riguarda l’informazione data dal clinico circa le modalità terapeutiche, alcuni aspetti della tecnica, gli onorari e la frequenza degli appuntamenti.
A questo punto viene effettuato un contratto terapeutico in virtù del quale lo psicoterapeuta e il cliente si vincolano all’osservanza di alcune regole fondamentali. Accettare un progetto di terapia significa mettere in campo molte risorse di tempo, economiche, di investimento personale. Non si tratta di un lavoro facile, tanto meno per il cliente, che deve essere fortemente motivato alla psicoterapia.
Talora può capitare che il cliente venga "portato" in terapia contro la sua volontà (si tratta spesso di adolescenti); è evidente che si tratta di un controsenso che non può avere che esiti scontati: l’interruzione dell’intervento o la fuga del cliente. Nessuna psicoterapia può essere svolta senza il consenso del cliente, tanto è vero che in alcune circostanze, quando nel cliente finisce col prevalere la parte che ha paura della terapia, o che si oppone ai cambiamenti che la terapia si propone di ottenere, o che si adatta bene ai vantaggi secondari che la malattia consente. Per vantaggi secondari della malattia intendiamo quelle condizioni di privilegio di cui può godere all’interno della famiglia, o nel gruppo sociale, in quanto soggetto "ammalato".
Affinché la terapia possa progredire è però necessario che il cliente sappia vincere le potenti resistenze "che possono esprimersi direttamente […] o anche copertamente, in quanto l’adattamento nevrotico, per scomodo che sia, è pur sempre familiare e sicuro, e ogni genere di cambiamento è potenzialmente pericoloso" (Korchin).
Ogni cliente oscilla fra un desiderio di modificare le proprie condizioni e quello di mantenere il suo equilibrio, anche precario.
La terapia procede se si stabilisce una alleanza terapeutica fra il clinico e la parte razionale-emotiva del cliente, quella che sente la condizione patologica ed è quindi motivata a ricercare un aiuto.
In generale l’impegno fondamentale del cliente consiste nella volontà di autoesaminarsi in profondità e senza falsità, mettendo a nudo le proprie debolezze e le ideologie (costrutti) create per giustificarle. Quando una persona è disposta a far questo, l’aiuto dello psicologo può essere recepito e fatto fruttare.
Si tratta di un processo valido per ogni schema terapeutico collegato a ogni singola scuola, perché è la premessa generale di ogni intervento psicoterapeutico.

 

 

Le scuole di psicoterapia

 

1. Psicoterapie a orientamento analitico
divano_psiLe psicoterapie ad orientamento analitico derivano dal punto di vista teorico e metodologico dalla psicoanalisi. Con la psicoanalisi condividono la storia del trattamento terapeutico e la sua struttura. Abbiamo già osservato nel paragrafo precedente come la cura-tipo in psicoanalisi sia caratterizzata da un setting che prevede dalle quattro alle cinque sedute settimanali, alla stessa ora e nello stesso luogo. In questo modo si stabilisce un rapporto del tutto particolare fra terapeuta e "paziente"; rapporto che favorisce l’investimento affettivo su di lui, il trasferimento di vissuti affettivi ed emozionali, che gli psicoanalisti definiscono col termine "transfert".
Anche la psicoterapia a orientamento analitico (che non è la vera e propria "Psicoanalisi") lavora attraverso l’interpretazione del transfert, benché il numero delle sedute settimanali si riduca dalle tre alle due sedute. Talora, alcuni setting di psicoterapia analitica, prevedono un solo incontro la settimana, ma siamo veramente ai limiti di un lavoro ad orientamento analitico.
I fondamenti teorici della clinica psicoanalitica derivano dal complesso delle scoperte di Sigmund Freud e dei suoi allievi. Come osserva Glauco Carloni (che ho avuto come professore all'Università), la scoperta dell’inconscio, "dell’ambivalenza affettiva, dell’esistenza di una sessualità infantile, dell’universalità del complesso di Edipo elasticamente inteso, della interpretabilità del sogno e del delirio, della possibilità di usare terapeuticamente il transfert", rappresentano la base del lavoro dell’analista.
Ma è certamente l’utilizzo del transfert il nucleo della psicoterapia analitica. Il termine "transfert" era stato usato da Charcot, eminente clinico, direttore della Salpetriere di Parigi, presso cui aveva studiato anche il giovane Freud, per definire una sorta di "trasferimento" delle problematiche psicologiche sul corpo nelle pazienti affette da isteria. Freud però lo aveva riutilizzato con una diversa connotazione e, nel 1912 dedica a questo fenomeno un articolo di notevole interesse: "La dinamica del transfert".14b_copy
Siamo ancora lontani dal considerare il transfert come lo strumento principale del trattamento analitico; la sua messa a punto terapeutica è graduale. Nel 1912 Freud considera il fenomeno transferale come una sorta di resistenza che il paziente oppone al trattamento. Egli identificherebbe nel terapeuta l’immagine di una figura parentale (il padre o la madre, o un altro protagonista della sua vita affettiva infantile) e rifletterebbe su di esso i vissuti emozionali che hanno caratterizzato la sua relazione affettiva. L’analista funge cioé da schermo neutralizzante sul quale il paziente proietta le immagini dei suoi rapporti affettivi con i genitori. Il clinico è così trasformato nel padre, o nella madre, visti però con occhio deformante, piegato dai vissuti affettivi del figlio paziente. Egli deve accettare questo ruolo e anzi attraverso la comunicazione di questi stati emotivi e la loro interpretazione, che conduce a svelare questo mascheramento e a creare esperienze emotivamente correttive, affronta il conflitto del paziente e tenta di risolverlo.
Non basta far comprendere al paziente le "ragioni" dei suoi problemi irrisolti, ma è la "comprensione emotiva" di essi che conduce alla "guarigione". L’interpretazione fa sì che il soggetto intuisca "col cuore" il proprio problema e lo possa elaborare, tentando di recuperarlo, mediante l’aiuto del terapeuta. Questo è ciò che gli analisti definiscono col termine "insight", che significa appunto interiorizzazione del problema emotivo.
Anche i contributi della Klein sulle posizioni schizoparanoidi e depressiva, quelle di Winnicott sull’holding e sull’area transizionale, e quelle di Bion sul contenimento e sulla funzione di reverie, che potete leggere nei cenni che ho presentato nelle pagine su ... e degli altri miei Maestri, possono essere considerati come apporti fondamentali alla psicoterapia analitica attuale.
La cura - secondo Carloni - dovrebbe essere depurata dalle sue pretese medicali e intesa piuttosto come un prendersi cura, in una situazione duale nella quale il terapeuta deve esercitare la pazienza e il paziente avere (soltanto) l’intenzione di collaborare, e dove la guarigione non sia intesa anch’essa secondo la tradizione sanitaria, ma concepita come il raggiungimento di un traguardo o l’avvicinamento di un traguardo, che potrebbe essere indicato con diverse e convergenti espressioni: esprimere la propria autentica natura, essere in pace con se stessi, essere relativamente autonomi e autosufficienti, essere capaci di amare e di operare e saper sopportare le sofferenze non evitabili". 
woody_allenÈ un pensiero che compendia tutta l’impostazione psicoanalitica, compresi quei modelli che hanno origine dal lavoro di allievi di Freud che, nel corso della loro opera si sono staccati dal maestro fondando nuovi orientamenti. Fra questi ricordiamo i più famosi: Carl Gustav Jung, per anni discepolo preferito di Freud, erede ideale della società psicoanalitica, poi uscito dal movimento e ideatore di una nuova scuola, detta psicologia analitica; e Alfred Adler, fondatore della psicologia individuale.
Assieme al modello freudiano classico e a quello rivisitato da M. Klein, la psicologia analitica e la psicologia individuale costituiscono l’orientamento detto psicodinamico, nato dalle idee di Freud, e successivamente evoluto secondo principi differenziati.
Il principio teorico avanzato da Jung è quello evidenziato dal processo di individuazione e consiste in uno sviluppo della personalità verso l’acquisizione di una propria identità, libera da stereotipi culturali e sociali.
La malattia è interpretata come un atteggiamento unilaterale del soggetto e il problema diagnostico si pone nel momento in cui il clinico cerca di comprendere il senso di tale unilateralità patologica. La cura assume quindi un carattere interno che si origina dallo stesso paziente, mediante l’aiuto del terapeuta. L’obiettivo della terapia è la guarigione e cioé la proiezione nel futuro della personalità cosciente del paziente.

Come afferma A. Carotenuto: "In questo modo il paziente, pur attraversando e delimitando il suo passato, ricerca importante per qualsiasi psicoterapia, si pone in una posizione propulsiva ed assume il comando della propria storia".
L’orientamento adleriano, che dà vita alla psicologia individuale, si connota per una tensione più alta verso i rapporti fra versante intrapsichico e rapporti interpersonali del soggetto. I suoi principi fondamentali sono ben riassunti in alcuni punti da F. Parenti, uno dei maestri della psicologia individuale italiana.
Secondo Parenti la psicologia individuale possiede una visione più di tipo finalistico, che supera il determinismo tipico della psicoanalisi. Inoltre essa basa la sua interpretazione psicodinamica più sui rapporti interpersonali che sull’istintualità del singolo.
È lo stesso A. Adler che indica in due istanze innate basilari dell’uomo, ossia la "volontà di potenza" e il "sentimento sociale", gli aspetti che costituiscono gli aspetti originari dello psichismo umano. A questi si affianca un "senso di inferiorità" tipico dell’infanzia, che caratterizza i rapporti fra il bambino e il mondo circostante, specie quello degli adulti. Si tratta di una condizione fisiologica, ma che può assumere una connotazione patologica qualora sfociasse in una sua accentuazione e acquistasse il carattere di "complesso d’inferiorità".sfondo-psicologica
L’interesse per il mondo sociale spinge Adler a dare maggiore valore a una elaborazione non standardizzata del materiale analitico, e cioé di quello che il paziente porta come pensieri, ricordi, sogni, ecc. durante le sedute, ma di valutare tutto questo in base al luogo e al tempo che condiziona la vita del paziente. Egli dà molto valore allo stile di vita del paziente tanto da considerare diagnostico il lavoro che tende a soppesarlo.
La terapia deve consentire la realizzazione dei tre "compiti vitali" di ogni uomo: amore, lavoro, amicizia, per giungere a un nuovo stile di vita più integrato, dove si possa esprimere un modo positivo di contatto col mondo, che corrisponde alla guarigione.


 
2. La psicoterapia umanistica
La psicoterapia umanistica ha il suo nucleo propulsore negli studi e negli approfondimenti teorici e clinici che derivano dalla psicologia umanistica espressa nelle opere di autori quali A. H. Maslow e C. Rogers. Ma anche psicoanalisti come E. Fromm e psicoterapeuti come Frieda Fromm Reichmann sono stati spesso collocati nell’ambito di una visione "umanistica" dell’intervento psicotera-peutico.
Il nucleo concettuale che accomuna tutti questi clinici è che lo psicologo debba considerare la persona, utente del servizio psicoterapeutico, come un tutt’uno unico ed inseparabile.
Ogni persona si è formata una personalità che, nel bene o nel male rappresenta la sua "natura"; è certamente meglio cercare di conoscere questa intima costituzione del proprio essere, piuttosto che reprimerla o ripudiarla, o nasconderla. Il soggetto è portatore quindi di un conflitto fra questa natura che preme per uscire e la struttura cosciente che tende invece ad isolarla. Da questo conflitto nasce una sorta di "crisi esistenziale" che potremmo chiamare anche col nome di "patologia".
Il terapeuta, ponendosi sullo stesso piano con il cliente, attraverso il contatto umano di seduta in seduta, è in grado di "facilitare" al cliente il superamento della crisi esistenziale e di giungere a una maggiore integrazione fra le parti della sua personalità.ansia_df
Il trattamento di cura consiste soprattutto nel compiere questo percorso col cliente attraverso un training che faciliti l’attuazione delle sue potenzialità e lo renda più autonomo. "Naturalmente - afferma M. Festa - ci deve essere una strategia ed un ‘piano di lavoro’ da intraprendere, ovvero un itinerario di crescita adeguato ai bisogni, alla persona e alle sue condizioni peculiari; questo presuppone la formulazione di un quadro, sia per una questione di etica professionale che di rispetto per le giuste necessità di informazione e di ‘controllo’ che vuole avere e a cui ha diritto il cliente".
All’interno del modello umanistico assume una particolare importanza l’approccio di Carl Rogers, conosciuto anche come "terapia centrata sul cliente".
L’ipotesi di base è che ogni persona possegga una forte propensione per la propria "realizzazione", ha cioé in se stesso un’ampia gamma di possibilità che gli consentono di capire il suo stato d’animo e a modificare il suo comportamento di conseguenza. Una simile tendenza formativa può essere espressa all’interno di un "ambiente facilitante". Il terapeuta ha il compito di strutturare un ambiente tale da rispettare la realizzazione di questo "clima facilitante", che induce il soggetto a manifestarsi pienamente in tutte le sue potenzialità e a trarre profitto in termini di benessere da questo. I fattori che consentono questa costruzione sono essenzialmente tre:
1. Egli deve essere autentico (trasparente) poiché solo in questo modo può porsi nei confronti del "cliente" come uno specchio, senza coprirsi mediante operazioni di mascheramento, anche professionale. Se il terapeuta è sincero il modello relazionale che ispira è quello della sincerità e del rifiuto di ogni forma di ipocrisia. Anche E. Fromm intende la psicoanalisi in questo senso: come modello di relazione smascherante e critica nei confronti di ogni ideologia deformante.
2. Il terapeuta deve far sentire il paziente sempre in una condizione di totale accettazione.
3. La relazione fra terapeuta e paziente deve essere di tipo empatico. Egli deve sentire i vissuti del paziente, farli propri, mettendosi nei suoi panni e quindi avendo la possibilità di osservare la realtà coi suoi stessi occhi. È però necessario che egli ne sappia anche uscire per aiutare il soggetto ad elaborare le esperienze, poiché l’imbroglio emotivo di cui è vittima, rappresenta la causa della sofferenza connessa alla malattia.
Alberto Zucconi, terapeuta rogersiano afferma che "la terapia centrata sul cliente si è dimostrata la prima rilevante alternativa alle terapie psicodinamiche ed ha spostato l’enfasi su ‘questo cliente’ al processo fenomenologico di ‘questo cliente con questo terapeuta’; la grande importanza data alla creazione di un rapporto genuino, non giudicante e profondamente empatico che vede nel cliente stesso l’agente significante (colui cioé che dà la lettura della realtà), costituisce a mio avviso uno dei migliori esempi di democratizzazione del processo psicoterapico".

 

3. La terapia della Gestalt
Vicina alle posizioni della psicoterapia umanistica si è sviluppata durante gli ultimi trent’anni la terapia della Gestalt. Essa possiede in comune con la psicologia della Umanista un atteggiamento "olistico" nei confronti della realtà e cioé una concezione globale dell’uomo.
Il suo fondatore, lo psicoanalista Frederick S. Perls, condivide con C. Rogers la convinzione che l’uomo possegga una sorta di natura buona e costruttiva a cui occorre dar modo di esprimersi. La malattia coincide con la negazione di questo aspetto fondamentale della personalità, pertanto la terapia della Gestalt propone esercizi creativi ed espressivi della persona nella sua globalità, piuttosto che concentrarsi su problematiche e conflitti, come avviene nel trattamento psicoanalitico.
Secondo Milton Erickson la malattia del paziente è ciò che lo porta in terapia e la terapia è quell’insieme di interventi che ha come scopo il condurlo fuori.
"Il paziente che arriva per chiedere aiuto - scrivono Fagan e Shepherd nel 1970 - cerca di relazionarsi con gli altri in modo più adeguato e di riuscire ad esprimere i suoi sentimenti in modo più diretto, viene addestrato ad esprimere ciò che egli sta provando in quel momento verso un’altra persona. Il modo in cui egli si ferma, si blocca o si inibisce, diventa subito manifesto ed egli allora può essere assistito nell’esplorare e nello sperimentare le proprie inibizioni ed incoraggiato a tentare altri modi per esprimere se stesso e per mettersi in rapporto con gli altri. L’approccio generale della teoria e della terapia della Gestalt richiede pertanto al paziente di specificare i cambiamenti che egli desidera apportare a se stesso, lo assiste nell’accrescere la consapevolezza delle frustrazioni che opera su se stesso, lo aiuta a sperimentare e a cambiare. I ‘blocchi’ nella consapevolezza e nel comportamento emergono durante la seduta nello stesso modo in cui essi si manifestano nella vita della persona; l’accresciuta consapevolezza dei propri atteggiamenti di evitamento e il miglioramento quando diventa capace di ampliare la propria esperienza e il proprio comportamento si riflettono immediatamente in aumentate capacità per l’esistenza" (in Davison, Neale, 1989).
Possiamo riassumere in tre punti i concetti fondamentali della terapia della Gestalt.
1. Tutta l’esistenza della persona si racchiude nel qui ed ora. Non ha senso la vita passata, se non come ricordo, come rimpianto, come storia che ha condotto comunque ad un presente, ed è il presente che attualizza i percorsi vitali espressi dal soggetto. Anche il futuro è valido nel presente: sotto forma di progettualità, di piani e di prospettive o di possibili conseguenze di scelte avvenute nell’oggi.
2. L’esperienza è direttamente vissuta, sentita, senza bisogno di introdurre alcuna sorta di interpretazione. È questo ciò che i clinici della Gestalt chiamano col nome di "consapevolezza". Questa consapevolezza genuina e spontanea è affrontata dal terapeuta che tenta di plasmarla in direzione del cambiamento. Un cambiamento verso situazioni di vita ecologicamente più adattative.
3. L’ultimo punto riguarda la responsabilità. Ognuno è responsabile, di fatto, di quello che sente, pensa e fa. "La terapia gestaltica dice solo che acettare la verità, riconoscere le responsabilità per ciò che sentiamo, pensiamo e facciamo, è un modo per stare meglio, di guarire almeno dalle nostre menzogne. Diventare consapevoli porta ad assumersi delle responsabilità" (B. Simmons). Nella Gestalt, se ad esempio il paziente esprime un "blocco", il terapeuta lo invita ad affermarlo, accrescerlo e ad evitare di nascondersi per non vederlo. Questo conduce a una consapevolezza che rende poi possibile il cambiamento.


 
4. La terapia esistenziale
I principi teorici che sostengono la terapia esistenziale posseggono un potente aggancio filosofico nelle idee espesse da S. Kierkegaard, M. Heidegger, K. Jaspers. In campo psichiatrico hanno contribuito alla formazione del paradigma esistenzialista L. Binswanger e, in parte anche V. Frankl, creatore della "logoterapia", un modello terapeutico abbastanza vicino alle posizioni dei cultori della cosiddetta "analisi esistenziale".
In epoche più recenti, negli Stati Uniti, tale paradigma è stato rivisitato e proposto all’attenzione della comunità psicoterapeutica da autori quali Rollo May e soprattutto dal già citato Abraham Maslow.
Ford e Urban presentano un quadro abbastanza chiaro della concezione dell’uomo, così come emerge dal contesto culturale e clinico della terapia esistenziale: "L’uomo ha la capacità di essere consapevole di se stesso, di ciò che sta facendo e di ciò che gli sta accadendo. Di conseguenza, egli è capace di prendere decisioni su questi eventi e di assumersi la responsabilità su di sè. Egli può anche diventare consapevole di quella possibilità di isolamento completo o solitudine, cioé un nulla, simbolizzato dall’estrema nullità della morte. Questo fatto viene temuto sin dalla nascita. L’uomo non è un’entità statica ma si trova in un continuo stato di transizione. Egli non esiste; non è un’entità; piuttosto egli tende ad essere, ad emergere, a diventare, a evolvere verso qualcosa. Il suo modo di comportarsi verso se stesso e verso gli altri cambia continuamente. Il suo significato sta non in ciò che egli è stato nel passato, ma in ciò che egli è ora e nella direzione del suo sviluppo che è rivolto verso l’appagamento delle sue potenzialità innate".
Abbiamo innumerevoli fonti di disperazione esistenziale, specie se ci soffermiamo sugli eventi che accadono attorno a noi, verso i quali non possiamo che assumere un atteggiamento di accettazione, nel momento in cui non siamo in grado di modificarli. La casualità spesso ci trova impreparati, e il nostro sistema psichico, già precario, rischia di soccombere travolto dal peso del "trauma".
Per questo è necessario che il soggetto segua un percorso che conduce alla crescita personale, intesa come possibilità di scelta e di maturazione.
Queste scelte portano spesso con loro connotazioni negative, vissute secondo un registro relazionale cupo e triste.
Essere vivi consiste nel sentire l’ansia legata alle scelte esistenziali: scelta di un amore, o di interrompere una relazione sentimentale, di abbandonare una professione, cambiare facoltà, o addirittura di lasciare o no questo mondo.
Evitare di porsi il problema, accantonandolo facendo poi finta di non esserne posseduto, può peggiorare la situazione, lasciando il soggetto a profonde crisi d’ansia.
La terapia esistenziale si pone come obiettivo "curativo" l’entrare in relazione con gli altri, e pertanto, benché la logica esistenzialista privilegi un’ottica di tipo individuale, presenta un modello di lavoro terapeutico in cui il gruppo può offrire un ampio contenimento alle problematiche del soggetto.
"Lo scopo principale della terapia esistenziale è quello di rendere più consapevole il paziente delle sue capacità di scelta e di crescita. Nell’ottica esistenziale le persone costruiscono ad ogni momento la loro esistenza in modo nuovo. È sempre presente la possibilità di sviluppare un disturbo così come la possibilità di crescere. La persona deve essere incoraggiata ad accettare le responsabilità della propria esistenza e a rendersi conto che, entro certi limiti, può ridefinire se stessa in ogni momento e comportarsi e sentirsi in modo diverso nell’ambito del proprio ambiente sociale" (Davison e Neale).


 
5. L’approccio comportamentale
L’approccio comportamentale in psicoterapia deriva dalle teorie psicologiche americane collegate al comportamentismo e dall’evoluzione che questo modello ha subito in relazione all’incontro con la corrente cognitivistica.
Le tecniche comportamentali, a differenza di quanto osservato finora, non si basano su una ristrutturazione della personalità, discendendo da ipotesi forti sulla natura del conflitto psichico, come quelle a orientamento psicodinamico, o sullo stile di vita della persona, come quelle di origine umanistica. Il punto di vista comportamentale assume una posizione più limitativa, proponendo metodi d’intervento specifico a seconda di determinati quadri sintomatologici.
Naturalmente non manca ad esse un modello di riferimento teorico che si richiama in modo particolare al condizionamento operante di Skinner, al modeling di Bandura e alla ristrutturazione cognitiva.
L’ipotesi fondamentale del trattamento comportamentale consiste nella manipolazione strategica dei fattori ambientali per rendere più bassa la possibilità di produrre determinati comportamenti, considerati difunzionali e quindi patogeni.
La condizione di malattia riguarda quindi il sintomo ed è la sua definizione e l’analisi dei contesti entro cui questo compare, il significato del lavoro "diagnostico".
Il trattamento è sempre finalizzato a procedure tecniche, il più delle volte individualizzate, per raggiungere come obiettivo ciò che il terapeuta si era fissato inizialmente e cioé l’eliminazione o la riduzione del sintomo all’interno dei limiti di tollerabilità.
Fra le tecniche maggiormente utilizzate dai comportamentisti ricordiamo le cosidette terapie aversive, il condizionamento operante e il modeling.
Le terapie aversive sono state utilizzate specialmente nel trattamento del tabagismo. Si tratta di far collegare le sensazioni piacevoli che derivano dal fumo con effetti disgustosi che provocano un attenuamento dell’attrazione. Si può associare l’accensione di una sigaretta con una scossa elettrica, oppure con sostanze emetiche che provocano il vomito.
Il condizionamento operante è utilizzato spesso in situazioni di ospedalizzazione, con pazienti deteriorati e gravi, al fine di riportare le situazioni ad un certo livello di ordine.
Un esempio classico di condizionamento operante è rappresentato dalla cosiddetta "economia a gettoni" proposta da Ayllon e Azrin (1968). In un reparto femminile era stato introdotto il principio che ogni comportamento di cura e di riordino dei propri ambienti veniva ricompensato con un gettone che poteva essere "speso" per acquistare particolari benefici, come l’ascolto di dischi, l’andare al cinema, ecc. Gli autori hanno notato come la mancanza di rinforzo portasse a un profondo abbassamento dell’attività di cura, mentre il rinforzo fosse un potente stimolo per tali comportamenti.
Il modeling sfrutta l’importanza dell’imitazione nell’acquisire risposte complesse o nell’eliminazione di inibizioni personali. Attraverso il modeling vengono trattate le fobie, campo di lavoro classico dell’orientamento comportamentale, ma anche in alcuni programmi con i soggetti psicotici.
La terapia comportamentale sta ottenendo un buon successo anche nel campo dei disturbi dell’apprendimento e nel trattamento dei deficit cognitivi nell’età evolutiva. 


6. La psicoterapia a orientamento relazionale e sistemico
L’orientamento terapeutico relazionale e sistemico ha origine da un profondo ripensamento scientifico ed epistemologico, condiviso non solo da coloro che si sono occupati di scienze umane, e di psicologia clinica in particolare, ma da una larga schiera di teorici: chimici, come il premio Nobel Ilya Prigogine, biologi come Ludwig Von Bertalanffy, veri e propri epistemologi, come Heinz Von Foester. Sicuramente un grande contributo alla elaborazione del modello è stata data anche dai cibernetici, che hanno aperto la strada alle considerazioni che conducono poi gli autori appartenenti alla cosiddetta Scuola di Palo Alto (fra cui Beavin, D. D. Jackson, P. Watzslawik, C. Szluski) e a Gregory Bateson di mettere a fuoco il modello che poi si è evoluto nella direzione della terapia sistemica che oggi conosciamo.
In questa prospettiva, la persona viene collocata all’interno di una dimensione "sociale", facente cioé parte di un sistema relazionale, all’interno del quale egli deve continuamente definire e riferifinirsi.
Questa necessità della relazione può provocare delle situazioni in cui l’essere insieme con l’altro è sentito con insoddisfazione. In certi casi il comportamento viene designato dal gruppo e la persona finisce col "vestire abiti che non gli sono propri". Questa designazione, mantenuta costante nel tempo, può anche favorire nel soggetto l’accettazione di un simile mascheramento, conducendolo ad interiorizzarne i contorni, ed assumendo condotte adeguate a questo ruolo del tutto fittizio, ma pericoloso. Ricucendo cioé l’abito su se stesso.
Ciò che appare interessante nel modello relazionale e sistemico è l’allargamento del campo psicologico. Questo tende a superare i limiti dell’individualità, pur rispettando la soggettività del singolo e ammettendo anche la possibilità di un lavoro congiunto su individuo e relazioni, ma colloca il vertice del lavoro clinico sul chiarimento delle posizioni relazionali e la formazione di un reticolo globale che tenga in conto la complessità dei fattori in campo.
L’attività clinica tende cioé a chiarire l’intreccio relazionale e a smascherare le ipocrisie e le ideologie espresse dal gruppo.
Nella storia dell’approccio sistemico il gruppo di riferimento primario è stato da sempre identificato nell’unità sociale minima (per la società occidentale e industrializzata): la famiglia.
È talmente radicato questo riferimento alla famiglia che, talora, il modello terapeutico sistemico-relazionale viene anche chiamato col termine di "terapia familiare".
Il concetto teorico-clinico di base consiste nel considerare il sistema familiare come un intreccio che collega tutti i membri, dando significato ai comportamenti di ognuno. L’attenzione del clinico è diretta sulla organizzazione interattiva che il sistema familiare si è dato.
È questo il dato di partenza che emerge all’inizio del trattamento. Mara Selvini Palazzolo definisce questo aspetto il "gioco" familiare.
Il concetto di malattia - spiega la stessa Selvini Palazzolo, che è passata alla elaborazione di questo approccio dopo essere stata per ben diciassette anni psicoanalista - è sostituito da quello di modalità relazionale insoddisfacente; quello di diagnosi è sostituito dalla osservazione delle retroazioni sia del sistema familiare che dei suoi singoli membri a una prescrizione e a un intervento del terapista; quello di cura è sostituito dal lavoro che il terapista fa insieme con la famiglia per comprenderne le modalità della organizzazione relazionale onde riuscire a cambiarla; per "guarigione" si intende la scomparsa di quei fenomeni che avevano indotto la famiglia a chiedere aiuto o, per lo meno, a denunciare un disagio".
La terapia relazionale e sistemica può essere utilizzata con buoni risultati all’interno di situazioni in cui il disagio è molto elevato e ha trovato un ottimo terreno di sviluppo all’interno dei servizi pubblici territoriali, sia quelli a carattere psichiatrico, maggiormente interessati al trattamento delle psicosi, sia nei servizi per l’età evolutiva, dove l’approccio è sicuramente il più adatto visto che il bambino o l’adolescente vivono immersi nel contesto familiare benché, l’adolescente senta spesso la famiglia come un ostacolo contro cui facilmente finisce per scontrarsi nel corso del suo processo di individuazione.
Dal punto di vista tecnico il setting del terapeuta sistemico relazionale è un po’ particolare. Gli interventi sono normalmente contenuti in una decina di sedute di circa due ore l’una. È prevista la formazione di una team composta dal terapeuta e da almeno un supervisore. L’ambiente in cui si effettua la terapia è solitamente suddiviso da una parete in cui è collocato uno specchio unidirezionale per l’osservazione diretta delle sedute.
Il supervisore o il gruppo dei supervisiori si colloca al di là dello specchio ed assiste alla seduta. Una postazione video registra l’intero incontro per consentire poi una revisione del lavoro.
Naturalmente, in sede di primo colloquio, la famiglia (o il soggetto, se siamo in un setting individuale) viene avvisata della presenza del gruppo di supervisione e della registrazione video delle sedute e può decidere di non sottoporsi al trattamento, ma accade assai poco di frequente che questa proposta non venga accettata.

 

 

 

In linea di massima come si svolge il colloquio:

Innanzi tutto dobbiamo premettere logofaroche lo Psicoterapeuta è tenuto ad osservare rigorosamente le norme sul "segreto professionale" e a rispettare le leggi sulla privacy. Lo psicoterapeuta non può riferire ad altri quanto detto da un cliente nelle sedute, deve proteggere dalla vista di altri e tenere al sicuro qualsiasi informazione scritta (test, appunti, cartella clinica ecc.). Esiste un codice deontologico degli Psicologi e degli Psicoterapeuti che siamo tenuti a rispettare in quanto disciplina il "corretto ed etico" svolgimento della professione. Solo psicologia1in un caso siamo tenuti, proprio in osservanza del codice deontologico, al non rispetto del segreto professionale, quando valutiamo realistica la possibilità che il cliente possa recare danno serio a se stesso o a terze persone, nel qual caso, non potendo trovare soluzioni migliori siamo tenuti a predisporre un trattamento sanitario obbligatorio (in gergo T.S.O.)

Nella pratica si tratta di colloqui individuali della durata di 50 min. in un ambiente protetto, tranquillo e che, per il rispetto della privacy di ogni cliente, preservi anche da possibili incontri con altri clienti (ad es. uscita diversa dall'entrata, o appuntamenti con intervallo di orario tra un cliente ed un altro).

psicologo20psicologiaNel corso del primo incontro, si mette a fuoco un primo "abbozzo" dei problemi/disturbi più rilevanti così come vengono percepiti dal cliente e si concorda un "contratto terapeutico" (orari delle sedute, durata prevista della terapia, costi, assenze, privacy ecc.). Nelle sedute successive si procede con l'"assesment" che è la valutazione approfondita dei disturbi e problemi del cliente e la raccolta di informazioni generali sulla sua vita quotidiana, i suoi affetti, le sue relazioni familiari e sociali, la sua storia ecc.. Si prosegue dunque insieme al cliente a concordare degli obiettivi di intervento e un ordine di priorità su cui lavorare nel corso della terapia. A questo punto, il percorso prosegue con la terapia applicata al raggiungimento degli obiettivi terapeutici definiti nella fase precedente. Una volta che il cliente raggiungemolteplicit_2 i risultati desiderati, si passa ad una fase di verifica e consolidamento di quanto acquisito. Infine viene concordato il termine della terapia, a cui potranno seguire alcuni incontri distanziati di controllo (follow up).

La frequenza delle sedute nello specifico della Terapia Centrata sulla Persona è in genere di una volta alla settimana o al massimo due, per un periodo breve (solo se si rende necessario o richiesto), fino a quando, con il miglioramento della condizione iniziale della persona, saranno ridotte ad incontri quindicinali o mensili prima della conclusione.

I tempi necessari per il completamento del percorsoanimated_clock terapeutico sono molto vari e possono dipendere da tante condizioni: dalle scelte del terapeuta, dal particolare caso clinico, dalle contingenze sorte nel corso della terapia, dai tempi di cui il cliente necessita per l'acquisizione di nuovi "saperi" e per il cambiamento di paradigmi (costrutti) disfunzionali e non ultimo dalla qualità dell'interazione che si riesce a costruire tra terapeuta e cliente.

 

 

Conclusione della terapia 

 

La terapia si può interrompere (perché una delle parti non ritiene più utile o possibile l'interazione), sospendere (di comune accordo tra le parti), fissando comunque un appuntamento a distanza e concludere (sempre e solo di comune accordo tra le parti).

 

image004La psicoterapia può essere individuale ma anche di coppia e di gruppo. Nella terapia di coppia i due partner partecipano insieme alle sedute (ma almeno una seduta viene svolta individualmente). Entrambi dovrebbero essere il più possibile motivati ad elaborare una soluzione/compromesso del loro conflitto (in assenza di questa motivazione il risultato è predestinato al fallimento). Il terapeuta svolge la funzione di consulente esperto delle dinamiche e dellaimage005 comunicazione nella coppia, mantenendosi in posizione di mediatore neutrale che ricerca l'interesse di entrambi i partner tenendo anche in considerazione le necessità dei figli (ove ve ne siano). Le sedute di terapia di coppia necessitano di un tempo superiore alla terapia individuale (in genere un'ora e 30 minuti) e hanno anche un costo superiore. Le terapie di gruppo sono caratterizzate dalla partecipazione di un certo numero di pazienti, in genere da 5 a 8 ma anche più.


thumb_image002Esistono molte tipologie di terapia di gruppo che si differenziano in base all'approccio terapeutico e alle esigenze specifiche per cui sono sorte. Ad esempio il terapeuta di gruppo può avere un ruolo più o meno direttivo, il gruppo può essere finalizzato su una tematica/disturbo specifica o essere libero da obiettivi ecc. Le terapie di gruppo hanno dei vantaggi specifici per chi vi partecipa come lo scambio esperienziale tra i partecipanti, le maggiori possibilità di role play ed esercitazioni, l'analisi delle dinamiche emergenti nel gruppo, il mutuo aiuto, la motivazione e spinta al cambiamento prodotta dal cambiamento degli altri membri ecc. Anche nella terapia di gruppo la durata delle sedute è maggiore (in genere da un'ora e trenta a due ore) ma i costi individuali sono inferiori.

 

 

Chi è lo psicoterapeuta?

 

Se la psicoterapia fin dall'origine era considerata una cura dell'anima, in senso non religioso, lo psicoterapeuta non è semplicemente un "agente della cura", ma un compagno che partecipa alla cura (Carl Gustav Jung).

foto_fari_360E' uno specialista che aiuta le persone a superare uno stato di sofferenza psichica, che può essere accompa- gnato a volte a malessere fisico. Lavora per la rimo- zione dei disturbi mentali, emotivi e comportamentali (Dizionario di Psicologia).


In altre parole, attraverso il dialogo, l'ascolto delle emozioni, la conoscenza dei pensieri, l'espressione dei desideri e delle fantasie, l'analisi dei conflitti, leggendo le manifestazioni simboliche, partecipando alla ricerca delle parole per esprimere il disagio personale, il terapeuta punta insieme alle persone allo sblocco di situazioni di impasse e al raggiungimento di uno star bene, per una migliore qualità della vita.
Star bene diventa possibile attraverso la miglior cono- scenza da parte delle persone dei propri pensieri e delle proprie emozioni, mettendo a fuoco, sviluppando o ridimensionando i propri desideri, i propri progetti, le proprie aspettative.
amore_e_psiche_2

Lo psicologo e lo psicoterapeuta sono dei professionisti abilitati all'esercizio della professione.

Lo psicoterapeuta, a differenza dello psicologo clinico, che auspicabil- mente dovrebbe essere esclusiva- mente psicologo, può essere sia psicologo, che medico.

Se è uno psicologo, lo psicoterapeuta ha, dopo essersi laureato e abilitato all'esercizio della professione, consegui- to la specializzazione e la qualificazione in psicologia clinica e psicoterapia, il che significa che oltre agli approfondimen- ti specialistici propri della specializzazione clinica, egli ha seguito per almeno quattro anni, una formazione qualifi- cante specialisticamente psicoterapeutica, in uno dei vari indirizzi della psicoterapia.

sky20birdIn particolare, inoltre, per divenire psicoterapeuta, egli si è sottoposto per anni (nel caso la scuola di specializ-zazione sia ad indirizzo dinamico - cioè non si limiti a dare compiti a casa, come per la corrente comportamenti- sta, ma intervenga partecipando alle emozioni che entrano in gioco durante una seduta) ad un'analisi personale, sia per sperimentare in prima persona su di sè l'applicazione della psicotera- pia e sia per individuare e risolvere le proprie discrasie psicologiche, prima che gli venga consentito di cominciare a seguire dei pazienti. Non tutte le scuole di specializ- zazione sono uguali e seppur unificate nei programmi dal Ministero, nel metodo si differenziano notevolmente.

Da alcuni anni in Italia questo percorso è stato regola-mentato per legge, per cui attualmente la specializzazione e la qualificazione in psicoterapia, dopo la laurea, possono e devono essere conseguite sia presso le Scuole di Specializzazione universitarie, sia presso le scuole private che abbiano ottenuto il riconoscimento dallo Stato dal Mini- stero dell'Università. In ogni caso, durante la fase finale di formazione, il futuro psicoterapeuta normalmente comincia a seguire i primi pazienti sotto la supervisione dei didatti e normalmente è prassi diffusa e in alcuni casi obbligo, che il terapeuta già qualificato, siautres-deserts-tamanrasset-algerie-1899377704-3665 sottoponga a supervisione clinica e personale, perio-dicamente, per tutta la sua vita professionale. Inoltre egli deve costantemente mantenersi aggiornato nel vasto campo delle neuro- scienze, quasi sempre essen- do membro di istituzioni scientifiche a carattere inter-nazionale.

Se medico, lo psicoterapeuta segue dopo la laurea e l'abilitazione, esattamente lo stesso percorso già descritto per lo psicologo. Nel suo caso, però, gli è possibile, oltre che conseguire la specializzazione in psicologia clinica, scegliere di conseguire in alternativa la specializzazione in psichiatria o altro. Per cui lo psicoterapeuta psicologo è esclusivamente psicologo-clinico-psicoterapeuta, mentre lo psicoterapeuta medico è medico + altra specializzazione varia + psicoterapeuta. Ovviamente per il medico è indicato, se vuole validamente svolgere il lavoro dello psicoterapeuta, seguire dopo la laurea e il corso universitario di psicologia clinica o alla specializzazione in psichiatria, anche il corso quadriennale di psicoterapia, specialmente perchè a differenza dello psicologo, egli proviene da un corso di studi universitari, che per la loro organizzazione, lo hanno praticamente lasciato del tutto ignaro anche dei minimi fondamenti, non solo della psicologia, ma anche della psicofisiologia, cioè lo studio del cervello psichico oltre che delle pratiche psicoterapeutiche di cura. Infatti quasi sempre il medico mantiene la visione del cervello e del sistema nervoso centrale, soltanto dall'ottica neurologica e ciò lo rende spesso poco preparato e inadeguato al trattamento delle malattie psicosomaticlogoqigonghe.

Una volta formatosi, lo psicoterapeuta, da qualsiasi delle due facoltà univer- sitarie provenga, è uno specialista qua- lificato alla diagnosi e cura dei disturbi psichici e delle malattie mentali. Poichè nella maggior parte dei casi dove il disagio è più grave, il trattamento dei disturbi psichici e delle malattie mentali, richiede la somministrazione binaria sia della psicoterapia che della psicofarmacoterapia, ovvia- mente lo psicoterapeuta psicologo deve affiancarsi ad una o più figure mediche. Ciò non significa, comunque, che lo psicoterapeuta psicologo non sia competente sul versante biologico dei disturbi e delle malattie che tratta, ma significa che, non essendo medico, non può stabilire in proprio nè diagnosi, nè terapie, quando implicano anche valutazioni di medicina generale o specialistica. Per questo deve avvalersi della collaborazione di medici. Lo psicologo psicoterapeuta comunque è in grado di eseguire i_logo_psicologia_12autono-mamente le anamnesi, cioè le indagini cliniche che possano condurlo compe-tentemente al "sospetto diagnostico", cioè a sospettare le variabili per la dia- gnosi differenziale, in modo da potere interagire competentemente con il medico del quale si avvale della collaborazione. Questa competenza dello psicoterapeuta psicologo, è indispensabile affinchè possa essere evitato il rischio di intrattenere in monoterapia psicoterapica un paziente che potrebbe invece giovarsi tempestivamente del supporto degli psicofarmaci, o di altre terapie mediche. Oppure per evitare che disturbi psicologici con eziologia primariamente organica, vengano trattati eludendo la malattifarmaci-01a somatica che li produce. Inoltre questa competenza da parte dello psicologo psicoterapeuta è indi- spensabile, affinchè la somministrazione degli psicofarmaci, a volte necessaria durante la psicoterapia, non avvenga da parte del medico in funzione isolata rispetto alla contemporanea psicoterapia. Anzi, lo psicologo psicoterapeuta deve essere in grado di valutare autonomamente, circa gli psicofarmaci, ipotesi sulla categoria farmacologica, la posologia, la combinazione e la durata del trattamento e inoltre circa le varianze osservabili relativamente all'interazione fra i farmaci e gli accadimenti in psicoterapia. Queste sue ipotesi autonome, che deve essere in grado di produrre con competenza indipendente, saranno condivise con il medico affinchè questi, a sua volta, possa fare le altre valutazioni mediche necessarie e di sua competenza, per passare alla fase pratica della prescrizione che, in ambito psichico, non deve mai essere un atto isolato del medico.

psiLo psicoterapeuta medico, in linea puramente teorica potrebbe anche agire in modo soggettivamente isolato nei vari passaggi descritti nel paragrafo precedente, poichè potrebbe coagulare in sè sia la figura psicoterapeutica, che medica. Ciò, pur essendo teoricamente possibile, è, da un punto di vista clinico, fortemente sconsigliabile, se non addirittura errato e controproducente. Infatti l'efficacia del trattamento psicoterapeutico, si fonda su una moltitudine di fattori, uno dei quali è il fatto che lo psicoterapeuta deve rimanere rigorosamente una figura di riferimento con cui condividere ed elaborare i contenuti e i processi mentali e, qualunque sia il metodo e la tecnica dello psicoterapeuta, è fondamentale che le questioni circa le situazioni, l'ambiente, gli eventi quotidiani del paziente, restino in secondo piano rispetto ai contenuti e ai processi mentali, nel senso che esse devono essere trattate soltanto come elemento di riferimento per giungere subito ai contenuti e ai processi mentali coinvolti con quelle situazioni o eventi. Altrimenti la psicoterapia si deforma e si trasforma rapidamente in una qualsiasi forma di consulenza, o peggio, di chiaccherata sulle varie situazioni, per esordire in consigli, pareri, conforto e così via. Se accade questo, non c'è più psicoterapia.

vitruvio2E' dunque evidente che se lo psico-terapeuta medico fa anche il medico con il paziente che segue in psico-terapia, somministrandogli farmaci, inevitabilmente si trasferisce dalla mente al corpo, agli oggetti reali del quotidiano, deve praticamente intervenire nel mondo reale del paziente e offre a questi un pretesto formidabile per contaminare continuamente le sedute di psicoterapia, con questioni organiche, farmacologiche, familiari e situazionali, organizzative, implicando spesso altri familiari nelle visite e nelle cure e così via. In pratica lo psicoterapeuta medico deve scegliere con ogni paziente se essere il suo psicoterapeuta, o il suo medico, evitando con molta w_logo_mente_psicologia_2attenzione di essere ambedue insieme. Senza farmacipoi voler parlare degli effetti nocivi legati all'inquinamento del setting terapeutico a danno del cliente se il terapeuta in questione fosse anche il medico, o ancor peggio lo psicoterapeuta, di un altro familiare.

Queste considerazioni implicano la conclusione circa il fatto che è indifferente che lo psico-terapeuta sia psicologo o medico: egli deve essere comunque un bravo psicoterapeuta, con serie competenze psicologiche e psico-biologiche, nel momento diagnostico e psicofarmaco-terapeutico. Per tutto il resto deve intervenire un altro medico con il quale lo psicoterapeuta deve interagire nei modi già descritti.

 

Effetti biologici della PSICOTERAPIA

 

 Recentemente, molti neuroscienziati – ancora una volta un nome per tutti: Kandel – hanno sostenuto che la psicoterapia non è solo un efficace trattamento psicologico, in grado di indurre dei significativi cambiamenti nella sfera psichica dei soggetti affetti da un disturbo, mutamenti persistenti negli atteggiamenti, nelle abitudini e nel comportamento conscio e inconscio, ma che lo fa anche producendo alterazione dell’espressione dei geni che producono mutamenti strutturali nel cervello e, più precisamente, dei cambiamenti nell’attività funzionale di alcune aree del cervello (Kandel 1998, 1999; Siegel 1999).

Questi studi sperimentali, condotti per lo più negli ultimi decenni con differenti gruppi di pazienti psichiatrici – come soggetti affetti da disturbo ossessivo-compulsivo o disturbo depressivo, ecc. –, si sono avvalsi dell’uso delle moderne tecniche di visualizzazione in vivo del  cervello, come la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fRMI).

Accanto a questi studi, sono state condotte anche delle ricerche che hanno esplorato, anziché i cambiamenti nell’attività funzionale del cervello, i cambiamenti indotti dalla psicoterapia in alcuni parametri biologici, nei soggetti affetti da uno specifico disturbo psichico (Paquette-Lévesque-Mensour et al. 2003; Berti-Ceroni 2003).

I risultati forniti da questi primi gruppi di ricerche, permettono di avanzare alcune importanti conclusioni teoriche, nell’attesa che nuovi studi sperimentali confermino i dati disponibili.

Un primo importante dato emerso è che la psicoterapia apporta dei significativi cambiamenti nell’attività funzionale del cervello dei soggetti affetti da disturbi psichici e che tali cambiamenti cerebrali si correlano al miglioramento clinico di questi soggetti, per cui solo nei soggetti in cui alla fine di un periodo di trattamento psicologico si osserva una significativa riduzione dei sintomi clinici è rinvenibile un cambiamento significativo dell’attività funzionale del cervello (Wykes-Brammer-Mellers et al. 2002). Un secondo dato di non minore importanza è che la psicoterapia induce un cambiamento nell’attività funzionale di specifiche aree cerebrali, ossia induce un cambiamento nell’attività di quelle aree corticali e/o sottocorticali il cui funzionamento anormale sostiene i sintomi clinici che caratterizzano una specifica patologia psichica (Kandel 1999).

Negli studi in cui si sono confrontati i cambiamenti neurobiologici indotti da un trattamento psicologico e quelli prodotti da una terapia farmacologia è emerso, infine, che la psicoterapia e il farmaco sono entrambi efficaci nella cura delle diverse patologie psichiche indagate, ossia sono entrambe in grado di indurre un significativo miglioramento clinico nei soggetti in questione, e che tali modalità di trattamento agiscono entrambe a livello cerebrale, modificando l’attività neuronale delle stesse aree del cervello e, a livello neurobiologico, inducendo un uguale cambiamento di alcuni parametri biologici come determinati fattori neuroendocrini (Baxter, Schwartz et al. 1992).

Questi risultati ampliano la possibilità di dialogo tra le neuroscienze e la psicoanalisi: infatti gli studi di imaging sulla psicoterapia, i modelli animali ed umani della relazione tra geni ed ambiente, gli studi genetici sulla personalità e le ricerche sulla memoria, stanno aprendo la strada ad una nuova comprensione delle caratteristiche biologiche della psicoterapia.

A questo proposito, una buona spiegazione dell’influenza della psicoanalisi sulla struttura cerebrale, viene fornita da LeDoux, il quale ha proposto che la pratica psicoterapica non fosse altro che un modo di rewire the brain, ossia di riorganizzare l’assetto delle connessioni: la terapia, dunque, produrrebbe un potenziamento sinaptico nelle connessioni che governano l’amigdala potenziando così la funzione inibente, di controllo, da parte della corteccia sull’amigdala stessa (LeDoux 1994).

Tuttavia, la connessione tra l’amigdala e la neocorteccia non è simmetrica, per cui l’amigdala proietta all’indietro sulla neo-corteccia molto più fortemente di quanto lo faccia la neo-corteccia sull’amigdala.

Pertanto, la capacità di quest’ultima di controllare la neo-corteccia è maggiore rispetto a quella della neo-corteccia su di essa. Ciò potrebbe spiegare anche perché è difficile “spegnere” le emozioni una volta che sono entrate in gioco.

Per di più, poi, le emozioni rilasciano nel corpo ormoni e altre sostanze a lunga durata, che tornano al cervello e tendono a bloccarlo in quello stato: a questo punto è molto difficile per la neo-corteccia trovare una via d’accesso all’amigdala e spegnerla. Probabilmente, è per questo che la terapia è un processo così lungo e difficile.

La neo-corteccia usa canali di comunicazione imperfetti per cercare di assumere il controllo dell’amigdala, mentre, al contrario, quest’ultima può controllare con grande facilità la neo-corteccia, in quanto le basta eccitare una serie di aree cerebrali in modo non specifico (LeDoux 1994, 1996).

Le esperienze lasciano segni duraturi su di noi, in quanto sono immagazzinate come memorie all’interno dei circuiti sinaptici e, dal momento che la terapia stessa rappresenta un’esperienza di apprendimento, essa implica anche dei cambiamenti nelle connessioni sinaptiche.

Dunque, circuiti cerebrali ed esperienze psicologiche non sono cose distinte, ma due diverse modalità per descrivere la medesima cosa.

La psicoterapia è, dunque, essenzialmente un processo di apprendimento per i suoi pazienti e come tale un modo di cambiare l’assetto delle connessioni cerebrali: è, in tal senso, che la psicoterapia usa meccanismi biologici per curare i disturbi psichici.

La psicoanalisi viene, quindi, ad essere trasformativi, in quanto situazione di apprendimento relazionale. Richard Brockman ha coniato il termine psychological freedom in riferimento al grado in cui la mente corticale ragionante può influenzare il cervello affettivo, dal momento che ci sono alcuni momenti in cui la corteccia influisce in modo significativo, riuscendo a contestualizzare in modo adeguato l’esperienza affettiva, ed altri invece in cui la mente simbolizzante ha poca libertà nella sua interazione con stati affettivi troppo intensi (Brockman 1998).

In questa prospettiva, potremmo quindi considerare l’instabilità affettiva come il risultato di differenze anche costituzionali per quanto riguarda i modi con cui il talamo o la corteccia istanziano la processazione emozionale nei confronti dell’amigdala.

Solo quando il paziente può disporre di abbastanza libertà psicobiologica per mantenere uno spazio riflessivo, le interpretazioni del transfert in merito a credenze illogiche o comportamenti auto-distruttivi possono essere efficaci: infatti, una minore libertà biologica di giudicare cognitivamente gli eventi, provocando una risposta riflessiva più primitiva, rende quasi inutili queste interpretazioni, dal momento che l’informazione non sarebbe sentita o processata dal cervello (Brockman 1998).

Di conseguenza, il lavoro terapeutico potrebbe diminuire l’intensità di queste esperienze e rendere possibile una maggiore acquisizione di libertà da parte del cervello corticale nella simbolizzare e influenzare le successive esperienze affettive.

Molti dei cambiamenti che si verificano durante un’analisi hanno a che fare non solo con l’introspezione conscia, che è legata alla memoria dichiarativa, ma anche con l’elaborazione inconscia legata invece alla memoria procedurale e che si sviluppa in momenti particolari e significativi di incontro tra il terapeuta e il suo paziente.

Il rapporto dialettico tra l’amigdala e la corteccia, nonché il rewiring cerebrale concordano con il modello terapeutico proposto da Solms, che, occupandosi di neurobiologia e psicoanalisi, ha sostenuto che uno degli scopi della neuropsicanalisi è estendere la sfera funzionale di influenza dei lobi prefrontali.

Gli studi condotti per controllare empiricamente gli effetti delle diverse forme di psicoterapia attraverso le contemporanee tecniche di imaging funzionale hanno condotto a mostrare che l’attività funzionale del cervello è di fatto alterata dalla psicoterapia; a indicare come i cambiamenti specifici siano correlati con i risultati terapeutici; a localizzare nei lobi prefrontali questi cambiamenti strettamente correlati agli esiti terapeutici.

Tuttavia, si sa ancora poco sui modi attraverso cui la mente cambia. Questo è un punto che neuroscienze e psicoanalisi, solo collaborando, possono sciogliere, dal momento che la psicoanalisi sottolinea l’importanza dell’esperienza soggettiva e il potere di una relazione nella trasformazione di una mente in crescita, mentre le neuroscienze hanno a che fare con dati oggettivi e quantificabili ed elaborano  modelli scientifici del funzionamento cerebrale e mentale.

 

 

 

 

PERCHE' SCEGLIERE UNO PSICOTERAPEUTA ISCRITTO ALL'ELENCO REGIONALE E' IMPORTANTE?

emilylogoFarsi "curare" un sintomo o un problema da uno psicoterapeuta o al contrario da un non psicoterapeuta fa la stessa differenza che corre, tra il farsi curare un dente da un dentista o da un odontotecnico o da un rappresentante di biancheria.
In altre parole, lo psicoterapeuta ha seguito un percorso di studi e di formazione che garantisce l'aver acquisito tecniche e competenze riconosciute; un non psicoterapeuta può fornire spunti di riflessione, può stimolare la crescita personale, ma non è curativo e può creare complicazioni anziché essere facilitante. E' importante sapere a chi ci si rivolge e per che cosa.

 

 

 

LA PSICOTERAPIA… FUNZIONA?

homeLa ricerca sull'efficacia delle psicoterapie comincia ormai a dare risultati di un certo interesse. Gli studi internazionali, svolti negli Stati Uniti e dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, stanno dimostrando che il lavoro psicoterapeutico, il sostegno terapeutico alle famiglie, integrato là dove necessario con l'utilizzo delle strutture intermedie di tipo comunitario, e con un accorto impiego di farmaci, contribuisce ad evitare nuove ospedalizzazioni e ricadute dei pazienti, migliorando la qualità della vita del singolo e della sua famiglia.
Se a breve termine i risultati dell'intervento farmacologico sono analoghi a quelli della psicoterapia, nel lungo periodo, i vantaggi legati all'uso della psicoterapia nella prevenzione sono ammessi senza riserve sia da clinici che da ricercatori.
Il farmaco infatti tende a cronicizzare il paziente e ad essere più costoso, nel tempo, di ogni terapia preventiva. Ciò non toglie nulla alla necessità di utilizzare farmaci, in talune situazioni, in concomitanza con un trattamento terapeutico.soleluna
Valutazioni similari sono fatte nel trattamento delle psicosi, dei disturbi di personalità, delle nevrosi soprattutto quelle all'origine di tossicodipendenze, dove la psicoterapia si rivela quattro volte più efficace di qualsiasi farmaco.
Un valore preventivo straordinario viene poi riconosciuto a proposito dei disturbi del bambino e delle difficoltà dell'adolescente se l'intervento è messo in atto per tempo ed insieme alle famiglie.
Per queste ragioni anche in Italia è stato da poco presentato un Disegno di Legge volto a garantire a tutti i cittadini la possibilità di accedere a un servizio con la compartecipazione economica dello Stato.

 

 

 

COME PUO' UNA PERSONA CHE NON MI CONOSCE AIUTARMI A CONOSCERMI MEGLIO?

psicheLo psicologo, certo, non è un mago né un indovino, né fa letture della corporeità seguendo le teorie che un tempo cercavano di collegare a tratti fisici personalità distinte.
La regola generale, se di regola si vuole parlare, dice che lo psicologo può conoscere solo nella misura in cui la persona si rende disponibile e desidera farsi conoscere, raccontando esperienze di vita, proprie riflessioni, blocchi, vissuti, domande, aspettative.
Ma perché poi parlare con uno psicologo sarebbe più efficace che parlare con un amico?
Sicuramente si tratta di relazioni differenti: lo psicologo usa tecniche e modi che non si utilizzano tra amici, aiuta a trovare parole e significati, condivide ed empatizza con la persona su aspetti che sono molto intimi, privati e profondi; gli amici sono dei compagni di avventure, di esperienze nuove, simpatizzano nelle situazioni come non succede in terapia.

 

 

CHE DIFFERENZA C'E' TRA PSICOLOGO, PSICOTERAPEUTA, PSICOANALISTA?

rosa-de-los-vientosLo psicologo è un professionista che, dopo la Laurea in Psicologia, ha superato l'esame di Stato e si è iscritto all'Albo Professionale della sua Regione, per poter esercitare la professione. Se non ha l'iscrizione all'Albo, è come un laureato in altra disciplina, ad esempio in Legge, che può insegnare o fare altro, ma non è avvocato.
Lo psicologo può fare diagnosi, valutazioni, interventi di prevenzione, ma non "cura". Non utilizza farmaci come metodologia di lavoro.
Lo psicoterapeuta è un professionista che ha proseguito il percorso di formazione, di cui l'Ordine ha riconosciuto la validità iscrivendolo all'Elenco degli psicoterapeuti. E' colui che "cura", che lavora per eliminare il sintomo, la patologia, il disagio e aiutare la persona a tornare ad una condizione di benessere, magari migliore di quello precedente. Non utilizza farmaci per lavorare con le persone, benchè possa prevedere la combinazione di psicoterapia e psicofarmacologia.freud_main640
Con la normativa attuale, può essersi specializzato dopo una Laurea in Psicologia o Medicina.
Lo psicoanalista è un professionista che ha seguito una formazione analitica, freudiana o post freudiana (classicamente lavora col lettino); l'esplorazione dell'inconscio viene finalizzata ad un migliore adattamento al presente e ad una migliore conoscenza di sé.

Vi sono poi altre professioni, come quella del sociologo, del pedagogista e del filosofo, che non hanno obiettivi di cura, in quest'area, ma piuttosto di consulenza non psicologica.

 

 

 

CHE DIFFERENZA C'E' TRA PSICHIATRA E NEUROLOGO?

q_logo_psicologia_movi_14Lo psichiatra è un laureato in Medicina che ha proseguito la formazione specializzandosi in Psichiatria. Sono coloro che si occupano delle malattie della Mente, curano utilizzando la terapia farmacologia. Gli Psichiatri possono essere anche Psicoterapeuti.
Il neurologo è un laureato in Medicina che ha proseguito la formazione specializzandosi in Neurologia. Si occupa di malattie del cervello, dei nervi e dei muscoli, quindi Ictus, Sclerosi a Placche, Morbo di Parkinson, malattie Neuromuscolari, Epilessie, Diagnostica di Tumori e malattie Cerebro-vascolari.
Esistono delle patologie di confine tra le due specializzazioni: per es. Demenze e Disturbi del sonno.

 

 


 

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